Reintegrato il lavoratore licenziato… ma le sanzioni per ritardato pagamento dei contributi non sono dovute

In tema di reintegrazione del lavoratore per illegittimità del licenziamento, ai sensi dell'art. 18 l. n. 300/70, anche prima delle modifiche introdotte dalla l. n. 92/12, occorre distinguere, ai fini delle sanzioni previdenziali, tra la nullità o inefficacia del licenziamento, che è oggetto di una sentenza dichiarativa, e l'annullabilità del licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo, che è oggetto di una sentenza costitutiva.

Nel primo caso, il datore di lavoro, oltre che ricostruire la posizione contributiva del lavoratore ora per allora , deve pagare le sanzioni civili per omissione ex art. 116, comma 8, lett. a , l. 23 dicembre 2000, n. 388 nel secondo caso, il datore di lavoro non è soggetto a tali sanzioni, trovando applicazione la comune disciplina della mora debendi nelle obbligazioni pecuniarie, fermo che, per il periodo successivo all'ordine di reintegra, sussiste l'obbligo di versare i contributi periodici, oltre al montante degli arretrati, sicché riprende vigore la disciplina ordinaria dell'omissione e dell'evasione contributiva. Principio enunciato dalla Corte di Cassazione, sezione Lavoro con la sentenza n. 23438, pubblicata il 17 novembre 2016. La vicenda domanda di riconoscimento dell’indennità di mobilità negata in via amministrativa dall’Inps e conseguente azione giudiziaria del lavoratore. Un’azienda si opponeva alla cartella esattoriale riguardante omessi contributi INPS dovuti per la posizione di un lavoratore licenziato e poi reintegrato a seguito di annullamento del licenziamento intimato e impugnato dal lavoratore. L’azienda, dopo la sentenza di annullamento del licenziamento, aveva provveduto a pagare i contributi dovuti per il periodo di reintegrazione, ma non aveva corrisposto le relative sanzioni derivanti dal ritardo nel pagamento. Da qui l’emissione della cartella. Il Tribunale accoglieva l’opposizione, annullando la cartella. La sentenza veniva impugnata dall’INPS, ma il gravame veniva rigettato dalla Corte d’appello. Ricorreva in Cassazione l’Inps. Le sanzioni ex l. n. 388/2000. La pretesa dell’ente previdenziale si fonda sull’articolo 116, comma 8, l. 23 dicembre 2000 n. 388 che così stabilisce I soggetti che non provvedono entro il termine stabilito al pagamento dei contributi o premi dovuti alle gestioni previdenziali ed assistenziali, ovvero vi provvedono in misura inferiore a quella dovuta, sono tenuti a nel caso di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi, il cui ammontare è rilevabile dalle denunce e/o registrazioni obbligatorie, al pagamento di una sanzione civile, in ragione d'anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti la sanzione civile non può essere superiore al 40 per cento dell'importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge omissis . Poiché l’azienda aveva provveduto a versare i contributi dovuti per il periodo intercorrente tra la data del licenziamento e quella di effettiva reintegrazione ma non le sanzioni per il ritardato pagamento, l’INPS aveva agito per la riscossione coattiva di queste ultime. Da ciò è scaturito il contenzioso giunto fino al vaglio della Suprema Corte. Le conseguenze dell’ordine di reintegrazione. Il motivo di doglianza proposto dell’ente previdenziale si fonda sulla ritenuta erronea interpretazione data dalla Corte di merito delle norme sopra richiamate in materia di sanzioni per ritardato pagamento dei contributi. Sostiene l’INPS che la declaratoria di illegittimità del licenziamento comporta due conseguenze l’una risarcitoria in favore del lavoratore licenziato l’altra di pagamento dei contributi riferiti al periodo oggetto della reintegrazione. Poiché il datore di lavoro diviene obbligato a pagare i contributi per tutte le mensilità lasciate scoperte” dal licenziamento annullato, sarà parimenti tenuto a versare le relative sanzioni civili per il ritardato pagamento. Ciò in quanto con la sentenza di annullamento del licenziamento, viene a ricostituirsi la continuità nel rapporto di lavoro. Diversamente opinando, sostiene l’INPS, i contributi sarebbero dovuti unicamente per il mese della reintegrazione, anziché per l’intero periodo ricostruito. Licenziamento nullo e licenziamento annullabile. Il Supremo Collegio non condivide la tesi sostenuta dall’ente previdenziale. Già le Sezioni Unite della Corte, con la decisione 18 settembre 2014 n. 19665 avevano affermato il principio secondo cui occorre distinguere tra licenziamento radicalmente nullo o inefficace pensiamo ad un recesso orale o per motivi discriminatori da un licenziamento annullabile perché privo di giusta causa o giustificato motivo. Nel primo caso il licenziamento rimane privo di effetti di sorta e di conseguenza il rapporto di lavoro permane in essere senza alcun tipo di interruzione. Conseguentemente permangono tutti gli obblighi derivanti dalla sussistenza del rapporto di lavoro, compreso quello contributivo. E dunque, rimanendo in essere l’obbligo contributivo, saranno dovute anche le sanzioni per ritardato pagamento. Nel caso invece di annullamento del licenziamento perché privo di giusta causa o giustificato motivo, il giudice, come disposto dall’articolo 18 l. n. 300/1970, ordina la reintegrazione del lavoratore e condanna il datore di lavoro al pagamento dei contributi previdenziali dal licenziamento all’effettiva reintegrazione, senza applicazioni di sanzioni . Peraltro, osservano gli ermellini, la distinzione tra licenziamento nullo e annullabile, opera sia nella vigenza dell’articolo 18 l. 300/1970 ante riforma, che successivamente alle modifiche introdotte dalla riforma di cui alla l. n. 92/2012. La decisione assunta da entrambi i giudici di merito appare pertanto corretta nell’applicazione delle disposizioni previste dall’articolo 18 e conforme al dettato delle Sezioni Unite della Corte. Viceversa, conclude Il Supremo Collegio, il ricorso proposto dall’INPS appare infondato, poiché in contrasto con i principi di diritto affermati dalle Sezioni Unite sopra richiamate. Con conseguente suo rigetto.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 27 settembre – 17 novembre 2016, n. 23438 Presidente D’Antonio – Relatore Doronzo Svolgimento del processo 1.- La Milano assicurazioni S.p.A. ha proposto opposizione avverso la cartella esattoriale, notificata dal concessionario per la riscossione nell’interesse dell’INPS in data 2 gennaio 2006, con la quale era stato richiesto il pagamento di una somma a titolo di contributi previdenziali omessi e relative sanzioni civili. L’omissione previdenziale riguardava la posizione del lavoratore R.G. , dipendente de La Previdente Assicurazioni S.p.A. incorporata poi nella Milano Assicurazioni S.p.A. , licenziato con lettera del omissis per gravi comportamenti riferiti alla gestione di alcune pratiche di sinistri. Il licenziamento, impugnato dinanzi al Tribunale di Napoli, era stato dichiarato illegittimo con sentenza depositata in data 25 marzo 2005 ed era stata così ordinata la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 18 della legge n. 300/1970. La società aveva provveduto a pagare nel mese di aprile 2005 i contributi richiesti dall’Inps, ma non anche le sanzioni previste dall’art. 116, comma ottavo, lettera a , L. n. 388/2000 in ragione del ritardo con cui era avvenuto il pagamento della contribuzione previdenziale, e per le quali era stata emessa la cartella oggetto di contestazione. 2.- Nel contraddittorio con l’Inps e con il concessionario l’adito tribunale ha accolto l’opposizione e ha revocato la cartella opposta, dichiarando non dovuti gli importi richiesti dall’Inps. 3.- Contro la sentenza, l’Inps ha proposto appello e la Corte d’appello di Milano, con sentenza depositata il 6/11/2009, richiamando il precedente di questa corte n. 7934/2009, ha rigettato l’impugnazione affermando che l’obbligazione contributiva a favore del dipendente licenziato sorge unicamente per effetto della sentenza che ha dichiarato illegittimo il licenziamento e ripristinato il rapporto di lavoro. Pertanto, rilevato che la sentenza che ha ordinato la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e condannato la datrice di lavoro al pagamento dei contributi previdenziali è stata depositata solo in data 25/3/2005 e che i contributi sono stati versati entro il giorno 16 del mese successivo a quello della notificazione della sentenza, ha ritenuto insussistente un inadempimento della società con la ulteriore conseguenza che non possono trovare applicazione le sanzioni previste per l’omissione contributiva. 4.- L’Inps, in proprio e quale procuratore speciale della Società di Cartolarizzazione dei Crediti INPS SCCI s.p.a., ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di due motivi. Resiste la Milano Assicurazioni S.p.A., incorporata nella Fondiaria Sai s.p.a. e nuovamente denominata Unipolsai Assicurazioni S.p.A., che deposita memoria illustrativa. La concessionaria per la riscossione, Equitalia Esatri s.p.a., non svolge attività difensiva. Motivi della decisione 1.- Nel primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, l’Istituto ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del combinato disposto della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 181e della L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 116. Deduce che, in forza del quarto comma dell’art. 18, nel testo sostituito dalla legge n. 118 del 1990, in caso di declaratoria dell’illegittimità del licenziamento sorgono a carico del datore di lavoro due obbligazioni, quella del risarcimento del danno in favore del lavoratore e quella del pagamento della contribuzione in favore dell’ente previdenziale. Il parallelismo tra le due obbligazioni impone di ritenere che la contribuzione previdenziale deve essere accreditata mese per mese, al pari della retribuzione, e ciò anche affinché il lavoratore non perda la naturale redditività della contribuzione. Deduce ancora che la fictio iuris di continuità del rapporto di lavoro, desumibile dall’art. 18 cit., opera anche per gli aspetti previdenziali, in quanto, ove così non fosse, i contributi dovrebbero essere accreditati al lavoratore solo sul mese della reintegrazione, anziché mese per mese come impone il principio di neutralità economica del licenziamento illegittimo. All’esito dell’illustrazione del motivo pone il quesito se, in conseguenza di una sentenza dichiarativa dell’illegittimità di un licenziamento con ordine di reintegra del lavoratore, il datore di lavoro sia tenuto nei confronti dell’Inps, con riferimento al periodo intercorso tra il licenziamento e l’effettiva reintegra del lavoratore, a pagare le sanzioni civili connesse all’omissione contributiva ai sensi dell’art. 116, comma 8, lett. a L. n. 388/2000. 2.- Con il secondo motivo l’Inps deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 116, comma ottavo, L. n. 388/2000, e lamenta cheta fronte di una pronuncia di reintegra del 18 novembre 2004, il pagamento dei contributi è avvenuto solo nell’aprile del 2005 e tale circostanza configurava un’ipotesi di evasione, non avendo il datore di lavoro presentato i modelli DM10 attraverso i quali denuncia le retribuzioni corrisposte e i contributi dovuti, e così occultato ancorché temporaneamente il rapporto di lavoro con l’intenzione specifica di non versare i contributi. Chiede pertanto che si accerti se la mancato o tardiva presentazione da parte del datore di lavoro dei cosiddetti modelli DM10, configuri la fattispecie dell’evasione di cui all’art. 116, comma 8, lett. b l. cit. 3.- Il ricorso è infondato alla luce della sentenza resa dalle Sezioni unite di questa Corte il 18 settembre 2014, n. 19665, alla quale va prestata adesione e data continuità. Il principio di diritto, espresso nella citata sentenza, è nel senso che In tema di reintegrazione del lavoratore per illegittimità del licenziamento, ai sensi dell’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, anche prima delle modifiche introdotte dalla legge 28 giugno 2012, n. 92 nella specie, inapplicabile ratione temporis , occorre distinguere, ai fini delle sanzioni previdenziali, tra la nullità o inefficacia del licenziamento, che è oggetto di una sentenza dichiarativa, e l’annullabilità del licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo, che è oggetto di una sentenza costitutiva nel primo caso, il datore di lavoro, oltre che ricostruire la posizione contributiva del lavoratore ora per allora , deve pagare le sanzioni civili per omissione ex art. 116, comma 8, lett. a, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 nel secondo caso, il datore di lavoro non è soggetto a tali sanzioni, trovando applicazione la comune disciplina della mora debendi nelle obbligazioni pecuniarie, fermo che, per il periodo successivo all’ordine di reintegra, sussiste l’obbligo di versare i contributi periodici, oltre al montante degli arretrati, sicché riprende vigore la disciplina ordinaria dell’omissione e dell’evasione contributiva . 4.- Prendendo le mosse dall’esegesi dell’art. 18, nella sua originaria formulazione, la Corte ha evidenziato la netta distinzione che vi era nell’ordinamento tra licenziamento inefficace/nullo e licenziamento annullabile in ragione del tipo di vizio che inficia il recesso datoriale da una parte inefficacia o nullità del licenziamento quale ad es. il licenziamento discriminatorio d’altra parte il licenziamento annullabile perché intimato in mancanza di giusta causa o di giustificato motivo. Nella prima ipotesi la sentenza del giudice che dichiarava l’inefficacia o la nullità del licenziamento aveva natura dichiarativa e quindi anche il rapporto contributivo doveva considerarsi come mai interrotto. Invece, in caso di licenziamento annullabile perché intimato in mancanza di giusta causa o di giustificato motivo aveva natura costitutiva la pronuncia del giudice che ripristinava ex tunc anche il rapporto previdenziale perché non vi fosse soluzione di continuità. 5.- Questa distinzione, già predicabile nel testo della L. n. 108 del 1990, art. 18 risulta ora ben esplicitata nella nuova ed attualmente vigente formulazione dell’art. 18 introdotta dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, il cui comma 2 prevede che il giudice, con la sentenza che ordina la reintegrazione di cui al comma 1, oltre a condannare il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata la nullità, condanna altresì il datore di lavoro al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. È la stessa formulazione del previgente art. 18, comma 4 il datore di lavoro deve ripristinare la posizione previdenziale del lavoratore in modo che non abbia a subire pregiudizio alcuno a causa del licenziamento illegittimo perché nullo. Il medesimo art. 18, comma 4, prescrive che il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al comma 1 e al pagamento di un’indennità risarcitoria. Inoltre condanna il datore di lavoro al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale, senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione, per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall’illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative. La Corte ha ritenuto che vi sia un continuum normativo che nell’art. 18, sia nella formulazione del 1990 che in quella del 2012, si fonda sulla distinzione tra licenziamento inefficace/nullo e licenziamento annullabile. 6.- Si desume da ciò che, quanto al periodo che va dal licenziamento all’ordine di reintegrazione, deve essere rettificato l’arresto rappresentato dalla sentenza n. 7934 del 2009 cit. nella sentenza impugnata, che esclude in ogni caso la debenza delle sanzioni civili. Per contro, deve ritenersi che le sanzioni civili da omissione contributiva sono dovute in caso di licenziamento inefficace o nullo omissione e non già evasione contributiva perché in ogni caso mancherebbe quella che l’art. 116, comma 8, lett. b qualifica come intenzione specifica di non versare i contributi atteso che l’omissione contributiva è invece conseguenza della ritenuta, dal datore di lavoro legittimità del licenziamento. In conclusione, occorre distinguere, anche prima della L. n. 92 del 2012, tra licenziamento nullo o inefficace e licenziamento annullabile perché senza giusta causa o giustificato motivo Cass., n. 19665/2014, cit., cui sono seguite Cass. ord. 15 luglio 2016, n. 14466 Cass. ord. 23 maggio 2016, n. 10679 Cass. 27 maggio 2015, n. 10971 . 7.- Conseguentemente ed in tali sensi la motivazione della sentenza dea Corte d’appello di Milano deve essere corretta, avendo anch’essa ritenuto indistintamente insussistente l’omissione contributiva a prescindere dal tipo di vizio che inficia il licenziamento. Peraltro, essendo incontestato, come si evince dallo stesso ricorso per cassazione dell’Inps oltre che dalla memoria difensiva della società controricorrente, che rinvia alla sentenza del tribunale di Napoli, già prodotta in giudizio , che il licenziamento era stato intimato per giusta causa, in conseguenza di gravi comportamenti addebitati al lavoratore e riferiti alla gestione di numerose pratiche di sinistri, e che la sentenza che ha disposto la reintegrazione ha dichiarato l’illegittimità e non già la nullità o inefficacia del recesso datoriale, il datore di lavoro non è soggetto alle sanzioni previste dalla legge n. 388/2000. 8. - Quanto al secondo motivo di ricorso, esso è inammissibile perché - a fronte dell’affermazione contenuta in sentenza, secondo cui il pagamento dei contributi è stato tempestivo, essendo intervenuto il mese successivo al deposito della sentenza che aveva disposto la reintegrazione del lavoratore era onere del ricorrente dimostrare quando la questione della mancata presentazione dei modelli DM10 da parte del datore di lavoro e della tardività del pagamento sarebbe stata sottoposta al giudice del merito, al fine di evitare una statuizione di novità della questione. 9. - Il ricorso deve pertanto essere rigettato, senza ulteriori approfondimenti istruttori. In applicazione del principio della soccombenza, l’Inps deve essere condannato al pagamento delle spese del presente giudizio in favore della controricorrente. Nessun provvedimento sulle spese deve adottarsi nei confronti della parte rimasta intimata. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 3.500, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali e agli accessori di legge. Nulla sulle spese nei confronti della parte rimasta intimata.