Ai sordomuti l’assegno di assistenza, sì ma solo fino ai 65 anni

L’art. 1 l. n. 381/70 stabilisce che a decorrere dal 1° maggio 1969 è concesso ai sordomuti di età superiore ai 18 anni un assegno mensile di assistenza di lire 12.00. Possono beneficiare di questa provvidenza economica i sordomuti tra il 18esimo e il 65esimo anno d’età, per cui al compimento dei 65 anni cessa la corresponsione ed in sostituzione viene concesso l’assegno sociale.

Così la Cassazione, sez. Lavoro, con la sentenza n. 22122/16 del 2 novembre. Il caso. Gli eredi di un sordomuto chiedono l’accertamento del diritto del loro dante causa alla riattivazione, a decorrere dal 1994, della pensione per sordomuti della quale il medesimo era stato titolare sin dal 1977 ai sensi dell’art. 1 l. n. 381/70, prima che la stessa gli venisse sospesa per superamento del previsto limite reddituale. I predetti eredi infatti assumono che i redditi percepiti dal loro dante causa nel corso del 1993 erano rientrati nel limite fissato dalla legge, per cui la richiesta di ripristino del summenzionato beneficio avrebbe potuto essere accolta. Si richiede dunque di accertare se il soggetto sordomuto, titolare di assegno spettante ai non udenti ex lege n. 381/70 possa mantenere il diritto alla percezione dell’emolumento, se in possesso dei requisiti reddituali di legge, anche dopo il compimento del sessantacinquesimo anno d’età. Solo fino ai 65 anni! L’art. 1 l. n. 381/70 stabilisce che a decorrere dal 1° maggio 1969 è concesso ai sordomuti di età superiore ai 18 anni un assegno mensile di assistenza di lire 12.00, aggiungendo che agli effetti della presente legge si considera sordo il minorato sensoriale dell’udito affetto da sordità congenita o acquisita durante l’età evolutiva che gli abbia compromesso il normale apprendimento del linguaggio parlato, purché la sordità non sia di natura esclusivamente psichica o dipendente da causa di guerra, di lavoro o di servizio . Il successivo art. 10 riguarda i sordomuti ultrasessantacinquenni, e prevede che, in sostituzione dell’art. 1, i sordomuti dal primo giorno del mese successivo a quello del compimento dei 65 anni, sono ammessi al godimento della pensione sociale a carico del fondo di cui all’art. 2 l. n. 903/65. Dunque, possono beneficiare di questa provvidenza economica i sordomuti tra il 18esimo e il 65esimo anno d’età, per cui al compimento dei 65 anni cessa la corresponsione ed in sostituzione viene concesso l’assegno sociale. Il ricorso viene dunque rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 9 giugno – 2 novembre 2016, n. 22122 Presidente D’Antonio – Relatore Berrino Svolgimento del processo Si controverte della richiesta degli eredi di L.S., di cui in epigrafe, a sentir accertare il diritto del loro dante causa alla riattivazione, a decorrere dal 1994, della pensione per sordomuti della quale il medesimo era stato titolare sin dal 17/11/1977 ai sensi dell'art. 1 della legge n. 381/1970, prima che la stessa gli venisse sospesa per effetto dei superamento del previsto limite reddituale. Assumono, infatti, i predetti eredi che i redditi percepiti dal loro dante causa nel corso dei 1993 erano rientrati nel limite fissato dalla legge, per cui la richiesta di ripristino del summenzionato beneficio avrebbe potuto essere accolta. Con sentenza dei 23/9 - 4/10/2008 la Corte d'appello di Catania ha riformato la decisione dei giudice dei lavoro del Tribunale della stessa sede, che aveva accolto il ricorso, ed ha rigettato la domanda sulla base della seguente motivazione - Nel momento in cui L.S. aveva chiesto il ripristino del beneficio in esame, disciplinato dalla legge n. 381/1970, risultava che il medesimo aveva già compiuto alla data del 14.4.1992 l'età di sessantacinque anni, rappresentante il limite anagrafico al conseguimento di tale prestazione, per cui a nulla rilevava la circostanza che l'istante fosse rientrato nel frattempo nei limiti di reddito di cui all'art. 3 della legge n. 114 dei 16.4.1974. Inoltre, pur essendo il L. titolare dell'indennità di comunicazione di cui all'art. 4 della legge n. 508/1988 sin dall'1.2.1989, nessun adeguamento era previsto dalla legge per tale forma di provvidenza che era concessa solo a titolo di minorazione, ovverosia a prescindere dall'età e dalle condizioni reddituali del richiedente. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso L.S. con un solo motivo a quest'ultimo sono poi subentrati gli odierni eredi i quali si sono costituiti in giudizio con memoria. L'Inps ed il Ministero dell'Economia e delle Finanze sono rimasti solo intimati. Motivi della decisione Col presente ricorso si chiede unicamente di accertare se il soggetto sordomuto, titolare di assegno spettante ai non udenti ex lege n. 381/1970 poi trasformato in pensione ex art. 14 septies del d.l. n. 663/79 possa mantenere il diritto alla percezione dell'emolumento, se in possesso dei requisiti reddituali di legge, anche dopo il compimento del sessantacinquesimo anno d'età. Si assume al riguardo che l'emolumento in esame non è assimilabile ad una pensione sociale ordinaria, bensì all'indennità spettante all'invalido civile in dipendenza della minorazione subita ed avente, come tale, natura preminentemente assistenziale, per cui permane l'originario diritto all'assistenza economica collegata al particolare status dei soggetto beneficiario, con la conseguenza che il rientro di quest'ultimo nei limiti di reddito stabiliti dalla legge lo abilita alla richiesta di riattivazione della prestazione. Il ricorso è infondato. Invero, la legge 26 maggio 1970, n. 381, all'art. 1 stabilisce che a decorrere dal 1° maggio 1969 è concesso ai sordomuti di età superiore agli anni 18 un assegno mensile di assistenza di lire 12.000, aggiungendo che agli effetti della presente legge si considera sordo il minorato sensoriale dell'udito affetto da sordità congenita o acquisita durante l'età evolutiva che gli abbia compromesso il normale apprendimento dei linguaggio parlato, purché la sordità non sia di natura esclusivamente psichica o dipendente da causa di guerra, di lavoro o di servizio. Il successivo art. 10 della stessa legge, riguardante i sordomuti ultrassessantacinquenni, prevede, poi, che con effetto dal 10 maggio 1969, in sostituzione dell'assegno di cui all'articolo 1, i sordomuti, dal primo giorno del mese successivo a quello del compimento dei 65 anni di età, sono ammessi su comunicazione delle competenti prefetture all'Istituto nazionale della previdenza sociale, al godimento della pensione sociale a carico del fondo di cui all'articolo 2 della legge 21 luglio 1965, n. 903, e successive modificazioni e integrazioni. In pratica, possono beneficiare di questa provvidenza economica ì sordomuti tra il diciottesimo ed il sessantacinquesimo anno d'età, per cui al compimento dei 65 anni di età cessa la corresponsione, per coloro che ne erano già titolari, ed in sostituzione è concesso l'assegno sociale. In effetti, avendo il beneficio in esame natura integrativa dei presunto mancato guadagno derivante dalla condizione di minorità dovuta alla patologia, lo stesso non viene corrisposto al minore ed all'ultrasessantacinquenne. Resta, pertanto, immune alla presente doglianza, la cui prospettazione non è nemmeno trasfusa nella specifica indicazione di una violazione di legge, la ratio decidendi sulla quale riposa l'impugnata decisione, vale a dire il semplice rilievo dei superamento, da parte dei L. al momento della richiesta di ripristino della prestazione, dei limite anagrafico dei sessantacinque anni di età entro il quale soltanto avrebbe potuto continuare a beneficiarne. Né merita condivisione la tesi secondo cui il collegamento della prestazione in esame ad uno specifico stato di minorazione, quale quello dei sordomutismo, consentirebbe a chi ne è affetto di conseguirne il ripristino anche dopo il compimento dei sessantacinquesimo anno d'età, atteso che tale prospettazione difensiva urta contro il dato normativo, di cui all'art. 10 della legge n. 381/1970, della espressa previsione della sostituzione dell'assegno in questione con la pensione sociale poi divenuta assegno sociale all'atto dei superamento del predetto limite anagrafico. Egualmente corretta, e non fatta oggetto di specifica censura, è l'altra affermazione della Corte territoriale in base alla quale l'indennità di comunicazione di cui all'art. 4 della legge n. 508/1988, della quale il L. era pur titolare sin dall'1.2.1989, non rientrava tra le prestazioni per le quali la legge prevedeva una qualche forma di adeguamento, posto che il titolo della sua concessione era rappresentato dalla sola minorazione, senza alcun riferimento all'età ed dalle condizioni reddituali del richiedente. Pertanto, il ricorso va rigettato. Non va adottata alcuna statuizione in ordine alle spese del presente giudizio in quanto l'Inps ed il Ministero dell'Economia e delle Finanze sono rimasti solo intimati. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.