Lesione permanente dell’integrità psicofisica: quando si può escludere il diritto all'indennizzo?

La l. n. 210/1992 prevede un indennizzo in favore di coloro che presentino danni irreversibili da epatiti post-trasfusionali, sempre che tali danni possano inquadrarsi, pur alla stregua di un mero canone di equivalenza, in una delle infermità classificate in una delle categorie di cui alla tabella B annessa al Testo Unico approvato con d.P.R. n. 915/1978, rientrando nella discrezionalità del legislatore, la previsione di una soglia minima di indennizzabilità del danno permanente alla salute nel caso di trattamenti sanitari non prescritti dalla legge.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 21686, depositata il 26 ottobre 2016. Il caso. La Corte di appello di Venezia ha riformato la sentenza del Tribunale di Padova e, in accoglimento del gravame proposto dal Ministero della Salute, ha rigettato la domanda del ricorrente tesa al riconoscimento dell'indennizzo ex art. 1 della l. n. 210/1992, avendo accertato, in esito ad una consulenza medico legale, che questi era affetto da epatopatia cronica post trasfusionale senza lesioni permanenti che incidessero sulla sua capacità di produzione del reddito. Per la cassazione della sentenza ricorre il ricorrente che denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 1, commi 1 e 3 e dell'art. 4, comma 4 della l. n. 210/1992, oltre che l'omessa ed insufficiente motivazione in relazione ad un fatto decisivo per il giudizio. Danni irreversibili da epatiti post-trasfusionali. Secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite della Cassazione, la l. 25 febbraio 1992, n. 210, art. 1, comma 3, deve interpretarsi nel senso che prevede un indennizzo in favore di coloro che presentino danni irreversibili da epatiti post-trasfusionali sempre che tali danni possano inquadrarsi, pur alla stregua di un mero canone di equivalenza, e non già secondo un criterio di rigida corrispondenza tabellare, in una delle infermità classificate in una delle otto categorie di cui alla tabella B annessa al Testo Unico approvato con d.P.R. n. 915/1978, rientrando nella discrezionalità del legislatore, compatibile con il principio di solidarietà e con il diritto a misure di assistenza sociale, la previsione di una soglia minima di indennizzabilità del danno permanente alla salute nel caso di trattamenti sanitari non prescritti dalla legge o da provvedimenti dell'autorità sanitaria . Non corretta applicazione di principi. Ebbene, a detta del Collegio, la Corte territoriale non ha fatto corretta applicazione di tale principio. Il Giudice di appello ha ritenuto necessario che, per il riconoscimento dell'indennizzo, fossero accertate ricadute pregiudizievoli in termini di capacità lavorativa ed ha sottolineato che non era stato neppure allegato dall'assistito che la lesione accertata avesse inciso negativamente sulla sua capacità di produzione del reddito . La Corte di merito non ha in nessun modo spiegato perché ha dissentito dalla valutazione espressa dal consulente di primo grado che aveva ritenuto che la patologia epatica fosse progredita. L’incidenza della lesione permanente dell’integrità psicofisica sulla capacità di produzione reddituale, costituisce un elemento di valutazione per stabilire se la malattia si trova o meno in uno stato di quiescenza. E’ la quiescenza della malattia, vale a dire l'assenza di sintomi e pregiudizi funzionali attuali, ad escludere il diritto all'indennizzo. La Corte, accoglie pertanto il ricorso e cassa la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di appello di Venezia.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza 6 luglio - 26 ottobre, n. 21686 Presidente Arienzo – Relatore Garri Fatto e diritto La Corte di appello di Venezia ha riformato la sentenza del Tribunale di Padova e, in accoglimento del gravame proposto dal Ministero della Salute, ha rigettato la domanda di F.B. tesa al riconoscimento dell'indennizzo ex art. 1 della legge n. 210 del 1992 avendo accertato, in esito ad una consulenza medico legale, che questi era affetto da epatopatia cronica post trasfusionale senza lesioni permanenti che incidessero sulla sua capacità di produzione del reddito. Per la cassazione della sentenza ricorre F.B. che denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 1 commi 1 e 3 e dell'art. 4 comma 4 della legge n. 210 del 1992 oltre che l'omessa ed insufficiente motivazione in relazione ad un fatto decisivo per il giudizio. Il Ministero della Salute si è costituito al solo fine di poter partecipare alla discussione. Tutto ciò premesso si osserva che secondo l'insegnamento delle sezioni unite della Cassazione cfr. Cass. s.u. nn. 8064 e 8065 del 2010 confermato da altre sentenza successive cfr. Cass. n. 22018 del 2013 e recentemente n. 2479 del 2016 la L. 25 febbraio 1992, n. 210, art. 1, comma 3, letto unitamente al successivo art. 4. comma 4, deve interpretarsi nel senso che prevede un indennizzo in favore di coloro che presentino danni irreversibili da epatiti post-trasfusionali sempre che tali danni possano inquadrarsi, pur alla stregua di un mero canone di equivalenza, e non già secondo un criterio di rigida corrispondenza tabellare, in una delle infermità classificate in una delle otto categorie di cui alla tabella B annessa al testo unico approvato con D.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, come sostituita dalla tabella A allegata al D.P.R. 30 dicembre 1981, n. 834, rientrando nella discrezionalità del legislatore, compatibile con il principio di solidarietà art. 2 Cost. e con il diritto a misure di assistenza sociale art. 38 Cosi. , la previsione di una soglia minima di indennizzabilità del danno permanente alla salute nel caso di trattamenti sanitari non prescritti dalla legge o da provvedimenti dell'autorità sanitaria. Ebbene, la Corte territoriale non ha fatto corretta applicazione di tale principio. Il giudice di appello ha ritenuto necessario che, per il riconoscimento dell'indennizzo, fossero accertate ricadute pregiudizievoli in termini di capacità lavorativa ed ha sottolineato che non era stato neppure allegato dall'assistito che la lesione accertata avesse inciso negativamente sua capacità di produzione del reddito. Tuttavia la Corte di merito non ha in nessun modo spiegato perché ha dissentito dalla valutazione espressa dal consulente di primo grado che aveva ritenuto che la patologia epatica fosse progredita sul piano clinico-funzionale, ematochimico, anatomopatologico sicché la menomazione nel suo complesso era ascrivibile alla categoria ottava della tabella A allegata al d.p.r. n. 834 del 1981 in analogia alla voce 22 . L'incidenza della lesione permanente dell'integrità psicofisica, conseguente alla contrazione dell'epatite HCV, sulla capacità di produzione reddituale costituisce un elemento di valutazione per stabilire se la malattia si trova o meno in uno stato di quiescenza e dunque non cagiona una infermità che, seppur in via di equivalenza è riconducibile ad una delle patologie menzionate nella Tabella A. E' la quiescenza della malattia, vale a dire l'assenza di sintomi e pregiudizi funzionali attuali, ad escludere il diritto all'indennizzo. Ove si condividano le esposte considerazioni il ricorso, manifestamente fondato, dovrà essere accolto. La sentenza cassata e rinviata alla Corte di merito che verificherà se la patologia - pur alla stregua di un mero canone di equivalenza e non già secondo un criterio di rigida corrispondenza tabellare - rientri in una delle infermità classificate in una delle otto categorie di cui alla tabella B annessa al testo unico approvato con d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, come sostituita dalla tabella A allegata al d.P.R. 30 dicembre 1981, n. 834. Alla Corte del rinvio è rimessa altresì la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte, accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere generalità ed atti identificativi, a norma dell'art. 52 D.lgs. 196/2003