Ritrovati tra i rifiuti i farmaci destinati ai pazienti: licenziata

Confermato il drastico provvedimento adottato dalla società proprietaria di una ‘casa di cura’ nei confronti di un’infermiera. La donna avrebbe dovuto somministrare i medicinali ai degenti, e ha fatto risultare effettuata questa operazione. In realtà, ciò è avvenuto solo sulle ‘schede terapia’, perché i farmaci son stati rinvenuti tra i rifiuti.

Medicinali ritrovati tra i rifiuti. Una rapida indagine interna consente di collegare quei prodotti farmaceutici alle ‘schede terapia’ previste per alcuni pazienti. Sotto accusa, di conseguenza, l’infermiera che ha assicurato di avere somministrato regolarmente quei farmaci. Per l’azienda – che gestisce una ‘casa di cura’ – e per i giudici si tratta di una bugia clamorosa, sufficiente a costarle il posto di lavoro. Cassazione, sentenza numero 20814, Sezione Lavoro, depositata il 14 ottobre 2016 Terapia. Chiarissima la contestazione mossa dalla società proprietaria della ‘casa di cura’ la dipendente, inquadrata come infermiera , è ritenuta responsabile della omessa somministrazione dei farmaci , invece registrata come effettuata nelle ‘schede terapia’ dei pazienti , schede redatte proprio da lei. A sostegno di questa accusa un dato inequivocabile, in ottica aziendale il rinvenimento tra i rifiuti dei medicinali destinati ai degenti. Per i giudici di merito la vicenda è di semplice lettura. Evidente l’abuso compiuto dall’infermiera, legittima, quindi, la reazione della società proprietaria della struttura. Ciò comporta la conferma del licenziamento . Difesa. E inutili si rivelano ora le obiezioni difensive mosse dalla donna nel contesto del ‘Palazzaccio’. In particolare, non si rivela efficace il richiamo fatto dal suo legale alla mancata possibilità di accesso alla documentazione utilizzata dall’azienda a sostegno dell’addebito che ha poi portato al licenziamento. Su questo fronte procedurale, difatti, i magistrati della Cassazione ritengono che la società datrice di lavoro non abbia violato i propri obblighi di correttezza e buonafede . Ciò per una ragione semplicissima l’addebito nei confronti della lavoratrice si è concretizzato nella precisa indicazione di condotte inadempienti , così da consentire alla donna di far valere il proprio diritto di difesa . Detto in parole povere, l’infermiera ha avuto comunque a disposizione tutti gli strumenti per contestare le accuse portate avanti dall’azienda, e per sostenere, come fatto sia in primo che in secondo grado, la tesi della preordinazione della propria estromissione da parte della società. Respinta l’obiezione proposta dal legale della donna, i magistrati ritengono corretta la visione della vicenda data in appello. E ciò significa, ovviamente, conferma definitiva del licenziamento .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 25 maggio – 14 ottobre 2016, n. 20814 Presidente Di Cerbo – Relatore De Marinis Svolgimento del processo Con sentenza del 14 novembre 2014, la Corte d'Appello di Roma, pronunziando in sede di reclamo ex art 1, comma 58, 1. n. 92/2012, confermava la decisione resa dal Tribunale di Viterbo e rigettava la domanda proposta da A.R.C. nei confronti di Villa Serena S.r.l., società gerente la casa di cura presso la quale la prima era addetta in qualità di infermiera, avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatole per aver omesso la somministrazione, viceversa registrata come effettuata nelle schede terapia degli ospiti redatte dalla medesima infermiera, i farmaci agli stessi prescritti, essendo stati questi rinvenuti tra i rifiuti. La decisione della Corte territoriale discende dall'aver questa ritenuto insussistente la violazione dei diritto di difesa dedotta in relazione al non aver la Società datrice consentito l'accesso ai luoghi, la visione del materiale repertato e le schede dei pazienti interessati, non ricorrendo nella specie l'esigenza per il lavoratore di prendere posizione sulle contestazioni effettuate che sola giustifica l'accollo al datore dell’obbligo di mettere a spontaneamente a disposizione la documentazione su cui si fonda la contestazione elevata dalla inammissibilità del secondo motivo d'appello redatto facendo rinvio agli atti difensivi di prime cure senza specificazione delle censure avanzate che, attinenti alla prova dei fatti contestati, venivano tuttavia rigettate nel merito non ravvisandosi motivi di inattendibilità dei testi, le cui dichiarazioni risultavano non inficiate dai rilievi della lavoratrice intesi ad evidenziarne l'incongruenza e, pertanto insuscettibili di comprovare la dedotta preordinazione della vicenda finalizzata alla risoluzione del rapporto. Per la cassazione di tale decisione ricorre la C., affidando l'impugnazione ad un unico motivo, poi illustrato con memoria cui resiste, con controricorso, la Società. Motivi della decisione Con l'unico motivo, inteso a denunciare la violazione e falsa applicazione dell'art. 7, 1. n. 300/1970 nonché dell'ari. 116 c.p.c., la ricorrente imputa alla Corte territoriale la ritenuta irrilevanza della condotta della Società datrice impeditiva dell'accesso da parte della ricorrente medesima alla documentazione a sostegno dell'addebito contestato rilevando come tale convincimento, anche alla luce dell'orientamento accolto da questa Corte, si traduca in una inammissibile limitazione del diritto di difesa garantito dalla disciplina statutaria. Il motivo è infondato. Non risulta, infatti, disatteso dalla Corte territoriale l'insegnamento di questa Corte cfr. Cass. n. 633712013, invocata dal ricorrente per cui gli obblighi di correttezza e buona fede imporrebbero al datore di lavoro di offrire in consultazione all'incolpato che ne faccia richiesta i documenti aziendali su cui si basa la contestazione, laddove l'esame degli stessi sia necessario per predisporre un'adeguata difesa, avendo il giudice del gravame motivato in ordine alla non ricorrenza nella specie dell'indicata condizione. Il convincimento a riguardo espresso dalla Corte territoriale, comunque qui non fatto oggetto di specifiche censure, risulta congruamente argomentato sul piano logico e giuridico, laddove la Corte stessa rileva, in relazione alla circostanza per cui l'addebito contestato si concretava nella precisa indicazione di condotte inadempienti, la sufficienza di tale specificazione al fine di consentire il diritto di difesa dell'incolpata e l'attinenza della verifica dell'effettività del ravvisato inadempimento, cui sarebbe stato funzionale il richiesto accesso alla documentazione attestante i risultati dell'indagine svolta dalla Società datrice, al diverso piano della prova, di cui era onerata in giudizio la Società medesima, garanzia questa sufficiente alla difesa della ricorrente e tale da rendere ultronea l'ulteriore finalità del richiesto accesso agli atti, data dalla ricerca da parte della ricorrente, per il tramite di quell'accesso, della prova di quanto intendeva dedurre in giudizio in ordine alla preordinazione della propria estromissione dalla Società, argomento, peraltro, qui significativamente lasciato cadere. Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, fermo restando che, essendo stato il ricorrente ammesso al gratuito patrocinio, si ritiene, allo stato, di non dover disporre il raddoppio del contributo unificato. P.Q.M . La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in curo 100,00 per esborsi ed euro 4.500,00 per compensi oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.