Valore di una causa in tema di pensione di invalidità: quale criterio adottare?

Nelle controversie relative a prestazioni assistenziali, il valore della causa ai fini della liquidazione delle spese di giudizio si stabilisce con il criterio previsto dall’art. 13, comma 1, c.p.c. per le cause relative alle prestazioni alimentari, sicché, se il titolo è controverso, il valore si determina in base all’ammontare delle somme dovute per due anni.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 18412/16, depositata il 20 settembre. Il caso. La ricorrente censura la sola condanna alle spese di lite pronunciata dalla Corte d’appello di Cagliari nei confronti del Ministero dell’Economia all’esito del giudizio conclusosi con la conferma del riconoscimento, in suo favore, del diritto al conseguimento dell’assegno di assistenza, dopo che in precedenza le era stata revocata la pensione d’invalidità, e della condanna dell’INPS al pagamento dei ratei scaduti. In sostanza la ricorrente censura il criterio di liquidazione delle spese di causa adottato dalla Corte di merito. Ricorre, dunque, per la cassazione della sentenza affidandosi ad un unico motivo con il quale si duole del fatto che la Corte d’appello di Cagliari, nello stabilire il criterio per la liquidazione delle spese di lite con riferimento al primo comma dell’art. 13 c.p.c., avente riguardo alle prestazioni alimentari periodiche, avrebbe finito, in tal modo, per disattendere il costante indirizzo della suprema Corte in base al quale il valore di una causa in tema di pensione di invalidità, ai fini del computo dei diritti e degli onorari spettanti al difensore, deve essere determinato alla stregua del criterio dettato dal secondo comma della stessa norma di rito, vale a dire quello concernente le rendite temporanee o vitalizie sino ad un massimo di dieci annualità . Prestazioni di assistenza sociale. Ma il ricorso non merita accoglimento. Di recente le Sezioni Unite della Corte Cass. Sez. Un. n. 10454/2015 , risolvendo il contrasto registrato nella materia in esame, hanno espressamente statuito che le prestazioni di assistenza sociale hanno natura alimentare, in quanto fondate esclusivamente sullo stato di bisogno del beneficiario, a differenza delle prestazioni previdenziali, che presuppongono un rapporto assicurativo e hanno più ampia funzione di tutela . Pertanto, nelle controversie relative a prestazioni assistenziali, il valore della causa ai fini della liquidazione delle spese di giudizio si stabilisce con il criterio previsto dall’art. 13, comma 1, c.p.c. per le cause relative alle prestazioni alimentari, sicché, se il titolo è controverso, il valore si determina in base all’ammontare delle somme dovute per due anni. In tale sentenza si è evidenziato che l’art. 38 Cost., comma 1, sancisce il diritto al mantenimento e all’assistenza sociale del cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari il comma 2 stabilisce invece il diritto dei lavoratori ad essere assicurati mediante mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria, secondo un elenco non tassativo di eventi, tutti peraltro riferibili in senso lato alla categoria degli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana di cui all’art. 3 Cost., comma 2 . Soddisfacimento di ulteriori esigenze. Mentre l’art. 38 Cost., comma 1, garantisce ai cittadini inabili e bisognosi il minimo esistenziale necessario per vivere , il comma 2 garantisce ai lavoratori non soltanto la soddisfazione dei bisogni alimentari di pura sussistenza materiale, bensì anche il soddisfacimento di ulteriori esigenze relative al tenore di vita consentito da un pregresso reddito di lavoro, per cui solo per queste ultime è possibile far capo al parametro dell’art. 36 Cost., comma 1. La Corte territoriale ha quindi applicato correttamente il criterio indicato nella citata sentenza delle Sezioni Unite, per cui il presente ricorso non ne scalfisce la validità e va pertanto rigettato. La Corte rigetta allora il ricorso, annulla le spese nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dichiara compensate le spese nei confronti dell’INPS.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 9 giugno – 20 settembre 2015, n. 18412 Presidente D’Antonio – Relatore Berrino Svolgimento del processo Col presente ricorso A.P. censura la sola statuizione di condanna alle spese di lite pronunziata dalla Corte d’appello di Cagliari, con sentenza n. 229 del 6.5 28.6.09, nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze all’esito del giudizio conclusosi con la conferma del riconoscimento in suo favore del diritto al conseguimento dell’assegno di assistenza, dopo che in precedenza le era stata revocata la pensione di invalidità, e della condanna dell’Inps al pagamento dei ratei scaduti. In pratica la ricorrente censura il criterio di liquidazione delle spese di causa adottato dalla Corte di merito, la quale ha ritenuto che lo scaglione tariffario di riferimento doveva essere quello compreso fino a 25.900,00 Euro, trattandosi di prestazione che partecipava della stessa natura di quella alimentare. Al contrario, la ricorrente ritiene che vada applicato il diverso criterio di cui all’art. 13, comma 2, cod. proc. civ., essendo la prestazione in esame assimilabile ad una rendita vitalizia, per cui il valore della causa avrebbe dovuto essere determinato cumulando le annualità richieste fine ad un massimo di dieci. Per la cassazione della sentenza ricorre la A. con un solo motivo. In calce alla copia notificata del ricorso è stato conferito dal legale rappresentante dell’Inps incarico difensivo agli avvocati Giannico Giuseppina, Pulli Clementina e Ricci Mauro, mentre il Ministero dell’Economia e delle Finanze è rimasto solo intimato. Motivi della decisione Con un solo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 13, comma secondo, del codice di procedura civile, dolendosi del fatto che la Corte d’appello di Cagliari, nello stabilire il criterio per la liquidazione delle spese di lite con riferimento al primo comma dell’art. 13 c.p.c. avente riguardo alle prestazioni alimentari periodiche, avrebbe finito, in tal modo, per disattendere il costante indirizzo della suprema Corte in base al quale il valore di una causa in tema di pensione di invalidità, ai fini del computo dei diritti e degli onorari spettanti al difensore, deve essere determinato alla stregua del criterio dettato dal secondo comma della stessa norma di rito, vale a dire quello concernente le rendite temporanee o vitalizie sino ad un massimo di dieci annualità. Il ricorso è infondato. Invero, di recente le Sezioni Unite di questa Corte Cass. Sez. Un. n. 10454 del 21.5.2015 , dirimendo il contrasto registrato nella materia in esame, hanno espressamente statuito che le prestazioni di assistenza sociale hanno natura alimentare, in quanto fondate esclusivamente sullo stato di bisogno del beneficiario, a differenza delle prestazioni previdenziali, che presuppongono un rapporto assicurativo e hanno più ampia funzione di tutela. Pertanto, nelle controversie relative a prestazioni assistenziali, il valore della causa ai fini della liquidazione delle spese di giudizio si stabilisce con il criterio previsto dall’art. 13, primo comma, cod. proc. civ. per le cause relative alle prestazioni alimentari, sicché, se il titolo è controverso, il valore si determina in base all’ammontare delle somme dovute per due anni . In tale sentenza si è evidenziato che l’art. 38 Cost., comma 1, della Costituzione sancisce il diritto al mantenimento e all’assistenza sociale del cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari ed il comma 2 stabilisce che i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria , secondo un elenco non tassativo di eventi, tutti peraltro riferibili in senso lato alla categoria degli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana di cui all’art. 3 Cost., comma 2. Tra i diritti, poi, all’art. 38, comma 3, vengono sanciti quelli degli invalidi e dei minorati all’istruzione e alla formazione professionale. Dalla norma costituzionale discende, quindi, una tutela effettiva, costituzionalmente vincolata, del diritto alla previdenza, considerato alla stregua di un diritto fondamentale, imprescrittibile e irrinunciabile, tanto che la Corte Costituzionale, in molteplici pronunce, ha sancito l’irripetibilità cfr. C. Cost. n. 383/1990, 431/1993 , l’imprescrittibilità cfr. C. Cost. 206/1988 , ‘indisponibilità cfr. C. Cost. n. 22/1969 e, infine, la parziale impignorabilità della prestazione cfr. C. Cost. n. 468/2002, 506/2002 . Il diritto alla previdenza pone, quindi, riparo allo stato di bisogno del lavoratore e della sua famiglia cfr. C. Cost. 926/1988 , in conseguenza di una serie di eventi idonei ad incidere sulla capacità lavorativa e sulla possibilità di produrre reddito, garantendo, altresì, un quid pluris volto a tener conto, almeno parzialmente, del merito che dal lavoro ma anche dalla contribuzione deriva e che trova riscontro nel tenore di vita raggiunto dal lavoratore alla conclusione della sua vita lavorativa. In definitiva mentre l’art. 38 Cost., comma 1, garantisce ai cittadini inabili e bisognosi il minimo esistenziale necessario per vivere , il comma 2 garantisce ai lavoratori non soltanto la soddisfazione dei bisogni alimentari di pura sussistenza materiale, bensì anche il soddisfacimento di ulteriori esigenze relative al tenore di vita consentito da un pregresso reddito di lavoro, per cui solo per queste ultime è possibile far capo al parametro dell’art. 36 Cost., comma 1 v. C. Cost. 196/1993 cit. . Seppure è vero che nel tempo a livello legislativo vi è stata una progressiva integrazione fra le due figure, con l’estensione della solidarietà anche a soggetti non facenti parte del sistema previdenziale, l’assistenza e la previdenza, in definitiva, sono rimaste pur sempre concettualmente separate e tale separazione, all’interno del sistema di sicurezza sociale, trova fondamento proprio nell’art. 38 Cost. citato. Invero, soltanto le prestazioni di assistenza sociale sono fondate e parametrate totalmente ed esclusivamente sullo stato di bisogno e sulla necessità di assicurare i mezzi necessari per vivere , laddove le prestazioni previdenziali da un lato presuppongono un rapporto assicurativo, che è assente nelle prime, e dall’altro sono strutturate e finalizzate in funzione di una tutela più ampia e diversamente strutturata, prevista per i lavoratori assicurati. A ben vedere, quindi, soltanto le prime hanno totalmente e propriamente una natura alimentare, di guisa che alle stesse non può di certo disconoscersi la piena assimilabilità alle prestazioni alimentari al fine, che qui interessa, della scelta del criterio per la determinazione del valore della causa per la liquidazione delle spese. Viceversa tale piena assimilabilità non può essere riconosciuta alle prestazioni previdenziali, pur obbligatorie, le quali, seppure certamente partecipino in parte di una natura alimentare, sono però strutturate e parametrate in funzione diversa e più ampia. La Corte territoriale ha, quindi, applicato correttamente il criterio indicato nella citata sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte, per cui il presente ricorso non ne scalfisce la validità e va, perciò, rigettato. Non va adottata alcuna statuizione sulle spese nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze che è rimasto solo intimato. Atteso che la citata pronunzia delle Sezioni unite di questa Corte è intervenuta in epoca successiva al deposito del presente ricorso si ritiene equo disporre la compensazione delle spese del presente giudizio tra la ricorrente e l’Inps. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Dichiara compensate le spese nei confronti dell’Inps.