Riscossione di canoni di locazione: il socio accomandatario deve iscriversi alla gestione commercianti?

L’attività di riscossione di canoni di locazione, non finalizzata alla prestazione di servizi in favore di terzi, né ad atti di compravendita o di costruzione, non esorbita dalla semplice gestione degli immobili concessi in locazione e, pertanto, non configura esercizio di attività commerciale ai fini dell’iscrizione nella gestione commercianti.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione – Sez. Lavoro, con la sentenza n. 17643, depositata il 6 settembre 2016. Il caso. La pronuncia in commento trae origine dal giudizio con il quale il socio accomandatario di una società esercente l’attività di riscossione di canoni di locazione ha impugnato la cartella esattoriale emessa nei suoi confronti a fronte dell’omesso pagamento dei contributi previdenziali conseguente alla mancata iscrizione alla gestione commercianti. All’esito del giudizio di merito, la Corte territoriale ha escluso che sussistessero le condizioni per l’iscrizione nella predetta gestione, atteso che l’attività svolta dalla società era inerente al godimento di beni immobili e non configurava esercizio di attività commerciale. Con ricorso per cassazione, l’INPS ha contestato che l’attività di riscossione dei canoni di locazione fosse esclusa da quelle per le quali è prevista l’iscrizione alla gestione commercianti, assumendo, al contrario che la stessa possedeva carattere commerciale, così come si sarebbe evinto dalla visura camerale della società. Iscrizione alla gestione commercianti quando scatta l’obbligo? La pronuncia in commento ricorda, preliminarmente, che il presupposto per l’iscrizione alla gestione commercianti è lo svolgimento, da parte dell’interessato, di attività commerciale. In materia di gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali e del terziario, la disciplina previgente è stata modificata dall’art. 1, comma 203, della l. n. 662/1996, che – nel sostituire l’art. 29, comma 1, della l. n. 160/1975 – ha previsto l’obbligo di iscrizione per i soggetti che siano in possesso dei seguenti requisiti a siano titolari o gestori in proprio di imprese che, a prescindere dal numero dei dipendenti, siano organizzate e/o dirette prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti la famiglia, ivi compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado, ovvero siano familiari coadiutori preposti al punto di vendita b abbiano la piena responsabilità dell’impresa ed assumano tutti gli oneri ed i rischi relativi alla sua gestione tale requisito non è richiesto per i familiari coadiutori preposti al punto di vendita nonché per i soci di società a responsabilità limitata c partecipino personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza d siano in possesso, ove previsto da leggi o regolamenti, di licenze o autorizzazioni e/o siano iscritti in albi, registri o ruoli. Il presupposto imprescindibile per l’iscrizione nella gestione commercianti è, quindi, che vi sia un esercizio commerciale, la gestione dello stesso come titolare o come familiare coadiuvante o anche come socio di s.r.l. che abbia come oggetto un esercizio commerciale cfr. Cass., n. 3145/2013 . La mera riscossione dei canoni di locazione non fa sorgere l’obbligo di iscrizione alla gestione commercianti. Sulla base di tali principi, la Suprema Corte respinge il ricorso presentato dall’INPS. L’Ente di previdenza, infatti, pretende di desumere l’obbligo di iscrizione alla gestione commercianti da elementi di carattere meramente presuntivo, che non rilevano sul piano previdenziale e che non scalfiscono la validità della ratio decidendi della sentenza di merito, che è correttamente incentrata sulla rilevata insussistenza dello svolgimento di un’attività commerciale da parte del socio accomandatario destinatario della cartella esattoriale, essendo stato ben evidenziato che quest’ultimo si limitava a riscuotere i canoni degli immobili locati, cioè a goderne i frutti. In concreto, l’attività in questione non era finalizzata alla prestazione di servizi in favore di terzi, né ad atti di compravendita o di costruzione, per cui la stessa non esorbitava da quella che era la semplice gestione degli immobili concessi in locazione.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 24 maggio – 6 settembre 2016, n. 17643 Presidente D’Antonio – Relatore Berrino Svolgimento del processo Con sentenza del 13.1.2015 la Corte d’appello di Firenze ha accolto l’impugnazione di P.M. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Prato che le aveva rigettato l’opposizione al verbale di accertamento dell’Inps, col quale era stata disposta le MAR iscrizione alla gestione commercianti, ed alla relativa cartelle esattoriale. La Corte territoriale ha escluso che sussistessero le condizioni per l’iscrizione della P. nella predetta Gestione, atteso che la mera attività di riscossione dei canoni di locazione era inerente al godimento dei beni immobili e non configurava esercizio di attività commerciale. Per la cassazione della sentenza propone ricorso l’Inps con un solo motivo, illustrato da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c Resiste con controricorso la P Motivi della decisione Con l’unico motivo del ricorso principale l’Inps denunzia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1 della legge 22 luglio 1966, n. 613, dell’art. 1 della legge 27 novembre 1960, n. 1397, così come modificato dall’art. 1, commi 203 e segg., della legge n. 662 del 1996, dell’art. 2 della stessa legge n. 1397 del 1960 e degli artt. 2313, 2318 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c In sostanza l’Inps contesta che l’attività svolta dalla P. fosse esclusa da quelle per le quali è prevista l’iscrizione alla Gestione Commercianti assumendo, al contrario, che la stessa possedeva carattere commerciale, così come si evinceva dalla visura camerale della società, della quale la P. era l’unico socio accomandatario inoltre, quest’ultima aveva solo allegato, senza darne prova, circostanze idonee ad escludere la presunzione di svolgimento di attività imprenditoriale da parte di società non costituita come società semplice. Da parte sua la P. , nel resistere al ricorso, eccepisce preliminarmente l’efficacia di giudicato scaturente dalla sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 258/2014 in ordine alla natura non commerciale della società immobiliare DMC di P.M. s.a.s., bensì di mero godimento di immobili, formatosi all’esito del giudizio promosso da P.C. altra socia accomandataria della stessa società . Osserva la Corte che tale eccezione preliminare, basata sul richiamo ad un giudicato esterno, è infondata, in quanto a nulla rileva che l’accertamento compiuto nell’altra causa avesse ad oggetto l’attività svolta dalla stessa società in accomandita, essendo, invece, decisivo, ai fini della verifica della sussistenza o meno dell’obbligo alla iscrizione nella Gestione commercianti, il tipo di attività svolta in concreto dalla odierna socia accomandataria P.M. , la quale è persona diversa dall’altro soggetto che promosse il richiamato giudizio e rispetto al quale poteva sussistere un titolo abilitante alla contestata iscrizione. Il ricorso dell’Inps è, comunque, infondato. Invero, la difesa dell’istituto previdenziale pretende di desumere l’obbligo di iscrizione alla gestione commercianti da elementi di carattere meramente presuntivo, che non rilevano sul piano previdenziale e che non scalfiscono la validità della ratio decidendi che è correttamente incentrata sulla rilevata insussistenza dello svolgimento di un’attività commerciale da parte della P. , essendo stato ben evidenziato che quest’ultima si limitava a riscuotere i canoni degli immobili locati, cioè a goderne i frutti. In concreto, secondo il condiviso ragionamento dei giudici d’appello, si trattava di un’attività che non era finalizzata alla prestazione di servizi in favore di terzi, né ad atti di compravendita o di costruzione, per cui la stessa non esorbitava da quella che era la semplice gestione degli immobili concessi in locazione. Infatti, il presupposto per l’iscrizione alla gestione commercianti è lo svolgimento da parte dell’interessato di attività commerciale, che nella specie non risulta. Quanto alla gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali e del terziario, la disciplina previgente è stata modificata dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 203 che così sostituisce la L. 3 giugno 1975, n. 160, art. 29, comma 1 L’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali di cui alla L. 22 luglio 1966, n. 613, e successive modificazioni ed integrazioni, sussiste per i soggetti che siano in possesso dei seguenti requisiti a siano titolari o gestori in proprio di imprese che, a prescindere dal numero dei dipendenti, siano organizzate e/o dirette prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti la famiglia, ivi compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado, ovvero siano familiari coadiutori preposti al punto di vendita b abbiano la piena responsabilità dell’impresa ed assumano tutti gli oneri ed i rischi relativi alla sua gestione. Tale requisito non è richiesto per i familiari coadiutori preposti al punto di vendita nonché per i soci di società a responsabilità limitata c partecipino personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza d siano in possesso, ove previsto da leggi o regolamenti, di licenze o autorizzazioni e/o siano iscritti in albi, registri e ruoli . Quindi il presupposto imprescindibile è che per l’iscrizione alla gestione commercianti vi sia un esercizio commerciale, la gestione dello stesso come titolare o come familiare coadiuvante o anche come socio di s.r.l. che abbia come oggetto un esercizio commerciale. v. in tal senso Cass. sez. 6 - Lav., Ordinanza n. 3145 del 2013 . Il che non ricorre nella specie come descritta in fatto dalla sentenza impugnata, contraddistinta dallo svolgimento della sola attività di riscossione dei canoni di soli due immobili concessi in locazione. Va quindi esclusa la ricorrenza della attività a cui la legge ricollega l’obbligo di iscrizione e il versamento di contribuzione alla gestione commercianti, a prescindere da ogni considerazione sulla attività prevalente. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo, unitamente al contributo unificato di cui all’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna l’Inps alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 2600,00, di cui Euro 2500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.