Accesso al fondo garanzia INPS: quando l’esecuzione infruttuosa non basta

Al fine di conseguire le prestazioni del Fondo di garanzia INPS, la procedura esecutiva infruttuosa può essere sufficiente solo se il lavoratore prova l’inesistenza di altri beni utilmente aggredibili con azione esecutiva.

Così ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 17593/2016, depositata il 5.9.2016. La trafila per recuperare il TFR. Una lavoratrice chiedeva all’INPS l’accesso al Fondo di Garanzia, onde ottenere il pagamento del trattamento di fine rapporto, maturato durante gli anni di lavoro dipendente e mai riscosso. La lavoratrice era, ormai, all’ultima spiaggia, infatti, a nulla era valsa la procedura di esecuzione mobiliare promossa dalla stessa nei confronti dell’ex datore di lavoro. L’INPS rifiutava la richiesta della lavoratrice ed i giudici di merito avallavano il rigetto dell’Istituto, rilevando la mancata dimostrazione dell’insolvenza del debitore ex datore di lavoro . Secondo la Corte d’Appello, ai fini dell’accesso al Fondo di Garanzia INPS, non è sufficiente esperire senza esito una procedura esecutiva mobiliare, ma è altresì necessario l’esperimento di una procedura esecutiva immobiliare o, quanto meno, la dimostrazione che il datore di lavoro non sia proprietario di beni immobili, mediante esibizione della certificazione rilasciata dalla Conservatoria dei Registri immobiliari. Tale principio è a maggior ragione valido per il caso di specie, che vede come debitore una ditta individuale, che, in quanto tale, non è soggetta a fallimento. Non essendo, quindi, possibile ottenere una dichiarazione giudiziale di insolvenza, è onere del lavoratore dimostrare l’oggettiva impossibilità di reperire beni utilmente staggibili. Ne consegue che, in caso di insolvenza di datore di lavoro non soggetto alle disposizioni della legge fallimentare, il lavoratore – creditore ha l’onere di dimostrare che, a seguito dell’esperimento dell’esecuzione forzata, le garanzie patrimoniali siano risultate in tutto in parte insufficienti, precisando che non basta l’esistenza di una mera parvenza di esecuzione come è il semplice tentativo di pignoramento mobiliare presso il debitore , ma è altresì necessario ricercare eventuali crediti verso terzi o beni/diritti su immobili, onde utilmente ottenere il pagamento del dovuto, senza bussare alla porta del Fondo. Il semplice pignoramento mobiliare infruttuoso non vale a dimostrare l’insolvenza del datore di lavoro, ci vuole qualcosa di più il lavoratore deve ricercare altri beni da sottoporre ad esecuzione forzata o dimostrane l’inesistenza. Onere forse troppo oneroso. La Corte di Cassazione, pur condividendo l’orientamento dei giudici di merito, si domanda se non sia eccessivo l’onere così imposto al lavoratore creditore. In effetti, si chiede al lavoratore che già è privo delle adeguate risorse economiche di dedicarsi a ricerche gravose e dispendiose La Suprema Corte, però, ritiene che tale onere non sia troppo gravoso la tutela dei lavoratore in caso di insolvenza del datore di lavoro non soggetto a procedure concorsuali, non è imposta dall’ordinamento comunitario e segnatamente dalla Direttiva 80/987/CE ed è, quindi, affidata alla discrezionalità del legislatore nazionale, che, pertanto, può stabilire diverse modalità di attuazione. Ciò considerato, deve ritenersi che, l’esito negativo della procedura individuale di esecuzione forzata non sia di per sé sufficiente ad ottenere il pagamento di quanto dovuto dal Fondo di garanzia, risultando piuttosto meramente funzionale all’accertamento dell’insufficienza totale o parziale delle garanzie patrimoniali del datore di lavoro inadempiente, coerentemente con il disposto dell’art. 2740 c.c In quest’ottica, quindi, le ricerche richieste al lavoratore sono espressione dell’ordinaria diligenza che l’ordinamento richiede a qualunque titolare di una situazione di vantaggio. Certo è che, una volta esperite le ricerche, e compreso che non vi siano possibilità di eseguire fruttuosamente procedure esecutive, non è richiesto al lavoratore nemmeno il tentativo di procedere con esecuzioni aleatorie o certamente insufficienti, non sono, quindi, nemmeno richiesti i cd. verbali negativi. Questo sì che sarebbe un onere eccessivo ed inutile i costi di procedure, a prima vista infruttuose, sarebbero ben superiori ai benefici futuri. In conclusione si osserva che, ai fini dell’accesso al Fondo di garanzia INPS, il lavoratore ha, comunque, l’obbligo di dimostrare l’insolvenza del proprio datore di lavoro nel caso in cui quest’ultimo sia assoggettabile a procedure concorsuali, il lavoratore dovrà ottenere una dichiarazione giudiziale di insolvenza ad esempio, la sentenza di fallimento nel caso in cui il datore di lavoro non possa essere soggetto a procedure concorsuali, il lavoratore dovrà dimostrare l’insolvenza attraverso elementi che provino l’impossibilità di procedere con esecuzioni forzate individuali, fruttuose.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 10 giugno – 5 settembre 2016, n. 17593 Presidente D’Antonio – Relatore Cavallaro Fatto Con sentenza depositata il 27.11.2009, la Corte d’appello di Lecce confermava la statuizione di primo grado, che aveva rigettato la domanda di P.C. di conseguire dall’INPS, quale gestore del Fondo di garanzia ex I. n. 297/1982 e succ. mod. e integraz., il TFR maturato alle dipendenze del proprio datore di lavoro e non riscosso nonostante ella avesse promosso infruttuosamente un’esecuzione mobiliare. La Corte, per quanto qui interessa, riteneva che l’assistita non avesse dimostrato l’insolvenza del proprio datore di lavoro, essendosi limitata all’infruttuosa esecuzione mobiliare senza nemmeno assumere informazioni presso la competente Conservatoria dei registri immobiliari in ordine alla consistenza del patrimonio immobiliare del debitore. Contro questa pronuncia ricorre P.C. con un unico motivo, articolato in plurimi profili di censura per violazione di legge e vizio di motivazione. Resiste l’INPS con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Diritto Con l’unico motivo di censura, la ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., 2697, 2727 e 2728 c.c. e 2, comma 5, l. n. 297/1982, per avere la Corte territoriale ritenuto che, al fine di poter accedere alle prestazioni del Fondo di garanzia, non fosse sufficiente esperire senza esito una procedura esecutiva mobiliare, ma fosse necessaria altresì un’infruttuosa procedura esecutiva immobiliare o, quanto meno, la dimostrazione che il datore di lavoro non fosse titolare di beni immobili, mediante esibizione di apposita certificazione della Conservatoria dei registri immobiliari. Va premesso che questa Corte ha da tempo posto il principio secondo cui, in caso di insolvenza di datore di lavoro non soggetto - come nella specie - alle disposizioni della legge fallimentare, grava sul lavoratore, che invochi l’intervento del Fondo di garanzia ex art. 2, l. n. 297/1982, l’onere di dimostrare che, a seguito dell’esperimento dell’esecuzione forzata, le garanzie patrimoniali siano risultate in tutto o in parte insufficienti, e ha precisato che, a tal fine, non basta l’esistenza di una mera parvenza di esecuzione, quale deve considerarsi l’inutile esperimento di un tentativo di pignoramento mobiliare presso il debitore, quando non risultino effettuate idonee ricerche sul debitore medesimo in ordine alla eventuale titolarità, in capo allo stesso, di crediti verso terzi o di beni e diritti immobiliari, seguite, se positive, da esecuzione forzata ai sensi, rispettivamente, degli artt. 543 ss. e 555 ss. c.p.c. Cass. n. 4666 del 2002 e 10953 del 2003 . Codeste ricerche, che devono essere condotte con l’uso della normale diligenza, vanno logicamente effettuate presso i luoghi ricollegabili de jure alla persona del debitore come ad es. quelli della nascita, della residenza, del domicilio o della sede dell’impresa e si giustificano, rispetto al minor onere imposto al lavoratore dipendente da un’impresa assoggettabile alle procedure concorsuali, in relazione al fatto che, in quest’ultimo caso, lo stato di insolvenza forma oggetto di specifico accertamento giudiziale Cass. n. 4783 del 2003 . Né può ragionevolmente sostenersi che, estendendo l’onere della ricerca anche a luoghi diversi dal comune in cui è situata la sede dell’impresa, si graverebbe il lavoratore di un’attività che, oltre ad essere gravosa e dispendiosa per un soggetto che di norma è privo di adeguate risorse economiche, sarebbe contraria alla ratio legis , finalizzata a consentire al lavoratore di ottenere, nel tempo più breve possibile e tramite l’intervento di un soggetto diverso dall’obbligato principale, il pagamento del credito maturato e non adempiuto come invece ritenuto da Cass. nn. 625 e 1848 del 2004 , essendosi condivisibilmente obiettato che la tutela dei lavoratori in caso di insolvenza del datore di lavoro non soggetto a procedure concorsuali, non essendo imposta dall’ordinamento comunitario e segnatamente dalla direttiva 80/987/CE , resta affidata alla discrezionalità del legislatore nazionale, che può stabilirne diverse modalità di attuazione così Cass. n. 12105 del 2008, sulla scorta di Corte cost. n. 409 del 1998 . Dovendo pertanto ritenersi che l’esito negativo della procedura individuale di esecuzione forzata non sia di per sé solo sufficiente al fine di ottenere il pagamento di quanto dovuto dal Fondo di garanzia, risultando piuttosto meramente funzionale all’accertamento dell’insufficienza totale o parziale delle garanzie patrimoniali del datore di lavoro inadempiente, coerentemente con il disposto dell’art. 2740 c.c. e con l’assunzione in via sussidiaria delle obbligazioni già gravanti sul datore di lavoro da parte del Fondo di garanzia così ancora Cass. n. 12105 del 2008 , resta da ribadire che le ricerche imposte al lavoratore costituiscono in quest’ottica mera espressione dell’ordinaria diligenza che l’ordinamento richiede a qualunque titolare di una situazione giuridica di vantaggio, quale ne sia il contenuto, per poterla utilizzare conformemente alla sua funzione e trarne la corrispondente utilità Cass. nn. 4783 del 2003 e 12105 del 2008, entrambe citt. , dovendo semplicemente escludersi che, una volta effettuate tali ricerche, il lavoratore debba necessariamente esperire procedure esecutive che appaiano prima facie infruttuose o aleatorie, essendo i loro costi certi, secondo un criterio di ragionevole probabilità, superiori ai benefici futuri v. in tal senso Cass. n. 14447 del 2004 . Ciò posto, va rilevato che, come ricordato in fatto, la Corte territoriale ha fondato la propria decisione sul rilievo che l’odierna ricorrente non avesse dimostrato l’insolvenza del proprio datore di lavoro, essendosi limitata all’infruttuosa esecuzione mobiliare senza nulla documentare in ordine alla consistenza del patrimonio immobiliare del debitore. E poiché codesto assunto va ritenuto conforme ai principi di diritto ormai consolidati da questa Corte di legittimità, di cui s’è detto supra, rientrando per contro nella valutazione discrezionale del giudice di merito insindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione sufficiente il giudizio circa l’idoneità degli elementi addotti in chiave di prova presuntiva al fine di dedurre l’esistenza del fatto principale, costituito dall’inidoneità delle garanzie patrimoniali del debitore cfr. ancora Cass. n. 12105 del 2008 , deve concludersi per l’infondatezza delle censure svolte in ricorso nei confronti dell’impugnata sentenza ed è appena il caso di soggiungere che, proprio per ciò, non può argomentarsi in contrario come invece ritenuto da parte ricorrente sulla scorta di Cass. n. 1607 del 2015, essendosi da quest’ultima decisione semplicemente ribadito il principio di diritto secondo cui, al fine di conseguire le prestazioni del Fondo di garanzia, anche una procedura di esecuzione può essere sufficiente nel caso che non risultino altri beni aggredibili con l’azione esecutiva, e non essendosi invece fatta questione né in ordine all’onere della prova concernente la sussistenza di altri beni sottoponibili ad esecuzione forzata né in tema di congruità e logicità dell’accertamento condotto a tal fine dal giudice di merito. Il ricorso, pertanto, va rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 3.100,00, di cui Euro 3.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.