Contributi sugli assegni familiari: quando scatta la riduzione contributiva?

La riduzione contributiva conseguente alla fiscalizzazione degli importi delle indennità di maternità si applica anche sulle retribuzioni dei lavoratori che siano dipendenti da datori di lavoro privati e che, in forza di pregresse disposizioni legislative, abbiano optato per il mantenimento della posizione assicurativa presso l’INPDAP.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione – Sez. Lavoro, con la sentenza n. 17408, depositata il 30 agosto 2016. Il caso. La pronuncia in commento trae origine dal giudizio con il quale una società si è opposta alle cartelle esattoriali che le avevano ingiunto il pagamento di somme a titolo di omessi contributi sugli assegni familiari e relative sanzioni. All’esito del giudizio di merito, è stato riconosciuto l’obbligo contributivo. Avverso la decisione della Corte territoriale, la società ha, quindi, proposto ricorso per cassazione, al quale ha resistito l’INPS con tempestivo controricorso. Successivamente, la società ha depositato atto di rinuncia al suo ricorso, ma l’INPS, pur riconoscendo l’avvenuta notifica dell’atto di rinuncia, ha dichiarato in udienza di non accettare la rinuncia. Rinuncia del ricorso per cassazione l’accettazione del resistente non è necessaria. Preliminarmente, la Cassazione chiarisce che la rinuncia al ricorso per cassazione è atto unilaterale non accettizio, nel senso, cioè, che non esige, per la sua operatività, l’accettazione della controparte, ma pur sempre di carattere ricettizio, poiché la norma esige che sia notificato alle parti costituite o comunicato ai loro avvocati che vi appongono il visto, sicché, ove effettuato senza il rispetto di tali formalità, non dà luogo alla pronuncia di estinzione del processo di cassazione, ai sensi dell’art. 391 c.p.c., valendo comunque a far ritenere venuto meno l’interesse alla decisione sul ricorso cfr. Cass., S.U., n. 3876/2010 . Pertanto, pur avendo l’INPS dichiarato in udienza di non accettare la rinuncia, ma avendo dato atto al tempo stesso della sua avvenuta notifica, il giudizio derivante dal ricorso presentato dalla società deve essere dichiarato estinto. Ai dipendenti privati che hanno mantenuto la posizione INPDAP spetta la riduzione degli oneri contributivi sugli assegni familiari. In numerose pronunce della Suprema Corte è stato chiarito che l’art. 78, comma 1, d.lgs. n. 151/2001, prevede, a decorrere dal 1° gennaio 2002, la riduzione degli oneri contributivi quale conseguenza della fiscalizzazione degli importi delle indennità di maternità erogate per eventi successivi al 1° luglio 2001 e per i quali è riconosciuta la tutela previdenziale obbligatoria, senza alcun riferimento all’aumento dell’aliquota contributiva dovuta al Fondo pensioni lavoratori dipendenti di cui all’art. 3, comma 23, della legge n. 335/1995 ne consegue l’applicabilità della riduzione contributiva anche sulle retribuzioni dei lavoratori che siano dipendenti da datori di lavoro privati e che, in forza di pregresse disposizioni legislative, abbiano optato per il mantenimento della posizione assicurativa presso l’INPDAP cfr., tra le altre, Cass., n. 8211/2014, n. 24667/2015 e n. 312/2016 . In particolare, è stato precisato che il citato art. 78 in cui è stato trasfuso l’art. 49, commi 1, 4 e 11, legge n. 488/1999 , ha introdotto la riduzione degli oneri contributivi quale conseguenza della prevista messa a carico del bilancio statale degli importi delle prestazioni relative ai parti, alle adozioni e agli affidamenti intervenuti successivamente al luglio 2001 e per i quali è riconosciuta la tutela previdenziale obbligatoria, senza far quindi alcun riferimento all’aumento dell’aliquota contributiva dovuta al Fondo pensioni lavoratori dipendenti di cui all’art. 3, comma 23, legge n. 335/1995. Sotto il profilo testuale, inoltre, l’art. 79, d.lgs. n. 151/2001 stabilisce espressamente che il contributo in attuazione della riduzione degli oneri di cui all’art. 78 è dovuto dai datoti di lavoro sulle retribuzioni di tutti i lavoratori dipendenti l’inequivoca dizione legislativa tutti i lavoratori dipendenti impedisce, pertanto, di accogliere l’opzione ermeneutica secondo cui la riduzione in parola non dovrebbe applicarsi per i lavoratori dipendenti da datori di lavoro privati che abbiano optato per il mantenimento della propria posizione INPDAP cfr. Cass., n. 18455/2014 . Non avendo l’INPS offerto elementi per una rimeditazione del richiamato orientamento giurisprudenziale, la pronuncia in commento conferma tale indirizzo, rigettando il ricorso proposto dall’istituto di previdenza. Compensazione delle spese di lite se il ricorso per cassazione viene rigettato, il contributo unificato aggiuntivo scatta comunque. La circostanza che i ricorsi siano stati proposti dopo il 30 gennaio 2013 determina l’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge n. 228/2012. In base al tenore letterale di tale disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione così Cass., Sez. Un., n. 22035/2014 . In tema di impugnazioni, il novellato art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115/2002, che pone a carico del ricorrente rimasto soccombente l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non trova applicazione in caso di rinuncia al ricorso per cassazione, in quanto tale misura si applica ai soli casi tipici del rigetto dell’impugnazione o della sua declaratoria d’inammissibilità o improcedibilità e, trattandosi di misura eccezionale, lato sensu sanzionatoria, è di stretta interpretazione e non suscettibile, pertanto, di interpretazione estensiva o analogica cfr., Cass., n. 23175/2015 ne consegue che, mentre per la società ricorrente non sussistono i presupposti per il pagamento dell’ulteriore somma per contributo unificato – stante la declaratoria di estinzione del giudizio proposto per effetto della rinuncia – l’INPS è tenuta al versamento dell’importo aggiuntivo.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza 9 giugno – 30 agosto 2016, n. 17408 Presidente Curzio – Relatore Garri Fatto e diritto 1.1- Con sentenza n. 2932/2010 il Tribunale di Milano ha parzialmente accolto i ricorsi in opposizione, riuniti, avverso cartelle esattoriali con le quali alla società opponente era ingiunto il pagamento di somme a titolo di contributi omessi e relative sanzioni dichiarando non dovuti i contributi e le sanzioni chiesti a titolo di assegni familiari e per maternità. 1.2.- La Corte di appello di Milano, in parziale riforma della decisione, nel resto confermata, ha dichiarato dovuti i contributi CUAF e relative sanzioni. Per la cassazione della decisione hanno proposto separati ricorsi la Plurigas s.p.a. e l’INPS, anche quale procuratore speciale di SCCI s.p.a 1.3.- La Plurigas s.p.a. ha chiesto la cassazione della sentenza sulla base di sei motivi cui l’INPS ha resistito con tempestivo controricorso. 1.4.- Anche l’INPS ha chiesto la cassazione della decisione sulla base di un unico motivo e la Plurigas s.p.a. ha resistito con controricorso. 1.5.- Equitalia Nord. s.p.a., già Equitalia Esatri s.p.a. è rimasta intimata in entrambi i giudizi. 2.- Preliminarmente, a norma dell’art. 335 c.p.c., va disposta la riunione dei ricorsi proposti avverso la medesima sentenza. 2.1.- Quindi deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto da Plurigas s.p.a. in liquidazione. La società ricorrente ha depositato atto di rinuncia al suo ricorso per cassazione chiedendo invece il rigetto del ricorso proposto dall’Inps con riguardo al capo della sentenza con il quale sono stati ritenuti non dovuti i contributi per maternità. L’Inps ha dichiarato in udienza di non accettare la rinuncia. Orbene la rinuncia al ricorso per cassazione è atto unilaterale non accettizio, nel senso cioè che non esige, per la sua operatività, l’accettazione della controparte, ma pur sempre di carattere ricettizio, poiché la norma esige che sia notificato alle parti costituite o comunicato ai loro avvocati che vi appongono il visto, sicché, ove effettuato senza il rispetto di tali formalità, non dà luogo alla pronuncia di estinzione del processo di cassazione, ai sensi dell’art. 391 cod. proc. civ., valendo comunque a far ritenere venuto meno l’interesse alla decisione sul ricorso cfr. Cass. S.U. n. 3876 del 2010 e già n. 15980 del 2006 . Tuttavia l’Inps pur dichiarando in udienza di non accettare la rinuncia ha tuttavia dato atto della sua avvenuta notifica. Ne consegue che va dichiarato estinto il giudizio di cui al ricorso della Plurigas in liquidazione s.p.a 3.- Il ricorso dell’Inps è invece manifestamente infondato. 3.1.- In numerose pronunce di questa Corte è stato chiarito che l’art. 78, comma 1 d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, prevede, a decorrere dal 1.1.2002, la riduzione degli oneri contributivi quale conseguenza della fiscalizzazione degli importi delle indennità di maternità erogate per eventi successivi al 1 luglio 2001 e per i quali è riconosciuta la tutela previdenziale obbligatoria, senza alcun riferimento all’aumento dell’aliquota contributiva dovuta al Fondo pensioni lavoratori dipendenti di cui all’art. 3, comma 23, della legge 8 agosto 1995, n. 335. Consegue l’applicabilità della riduzione contributiva anche sulle retribuzioni dei lavoratori che siano dipendenti da datori di lavoro privati e che, in forza di pregresse disposizioni legislative, abbiano optato per il mantenimento della posizione assicurativa presso l’INPDAP cfr. tra le altre, Cass. nn. 8211 del 2014, 9593 del 2014, 7834 del 2014, 18455 del 2014,14098 del 2014 e recentemente n. 24667 del 2015 e a 312 del 2016 . 3.2.- È stato in particolare precisato che l’art. 78 d.lgs n. 151 del 2001, in cui è stato trasfuso l’art. 49, commi 1, 4 e 11, legge n. 488/99 , introduce la riduzione degli oneri contributivi quale conseguenza Conseguentemente ” della prevista messa a carico del bilancio statale nei limiti indicati degli importi delle prestazioni relative ai parti, alle adozioni e agli affidamenti intervenuti successivamente al luglio 2001 e per i quali è riconosciuta la tutela previdenziale obbligatoria, senza far quindi alcun riferimento all’aumento dell’aliquota contributiva dovuta al Fondo pensioni lavoratori dipendenti di cui all’art. 3, comma 23, legge n. 335/95. non può quindi condividersi l’assunto dell’INPS a e secondo cui la suddetta disposizione costituirebbe la disciplina di riferimento. Sotto il profilo testuale, inoltre, l’art. 79 d.lgs a 151/01 stabilisce espressamente che il contributo in attuazione della riduzione degli oneri di cui all’art. 78 è dovuto dai datoti di lavoro . sulle retribuzioni di tutti i lavoratori dipendenti l’inequivoca dizione legislativa tuffi i lavoratori dipendenti ” impedisce pertanto di accogliere l’opzione ermeneutica secondo cui la riduzione in parola non dovrebbe applicarsi per i lavoratori dipendenti da datori di lavoro privati che, per effetto di pregresse disposizioni legislative, abbiano optato per il mantenimento della propria posizione assicurativa presso l’Inpdap . Cass. n. 18455 del 2014 cit. . 3.3.- Poiché l’Istituto ricorrente non ha offerto elementi per una rimeditazione dell’orientamento richiamato, lo stesso deve essere confermato conseguendone il rigetto del ricorso. 4.- Le spese del giudizio vanno compensate tra le parti in considerazione dell’esito complessivo della lite. 5.- La circostanza poi che i ricorsi siano stati proposti in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo - ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione - del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione così Cass., Sez. Un., n. 22035/2014 . Ne consegue che mentre per la Plurigas non sussistono i presupposti per il pagamento dell’ulteriore somma per contributo unificato stante la declaratoria di estinzione del giudizio da lei proposto per effetto della rinuncia. In tema di impugnazioni, l’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012, che pone a carico del ricorrente rimasto soccombente l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non trova applicazione in caso di rinuncia al ricorso per cassazione in quanto tale misura si applica ai soli casi - tipici - del rigetto dell’impugnazione o della sua declaratoria d’inammissibilità o improcedibilità e, trattandosi di misura eccezionale, lato sensu sanzionatoria, è di stretta interpretazione e non suscettibile, pertanto, di interpretazione estensiva o analogica cfr. Cass. n. 23175 del 2015 . Al contrario l’Inps sarà tenuto a versarlo stante il rigetto del ricorso proposto. P.Q.M. La Corte, riunisce i ricorsi dichiara estinto il ricorso proposto da Plurigas in liquidazione s.p.a. e rigetta il ricorso proposto dall’Inps. Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dell’Inps dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R