Segnalazione anonima, lavoratore nel mirino: illegittimo il licenziamento per la reazione lenta della società

Vittoria definitiva per il dipendente di un istituto di credito. Fatale alla banca il troppo tempo trascorso tra la segnalazione della condotta scorretta e l’ufficializzazione della contestazione. Respinta, però, la pretesa avanzata dal lavoratore per lui solo il risarcimento ma niente reintegra.

Braccia incrociate per oltre due mesi. Il dipendente della banca si astiene dalle attività affidategli e dall’utilizzo della postazione informatica a sua disposizione. Inevitabili gli strali della società, allertata da una segnalazione anonima. Troppo però il tempo passato tra la segnalazione della condotta ritenuta grave e l’ufficializzazione della contestazione nei confronti del lavoratore. Ciò rende illegittimo il licenziamento. Ma, nonostante le pretese avanzate dall’uomo, egli ha diritto solo a un risarcimento, e non al suo vecchio posto di lavoro. Cassazione, sentenza n. 17371, sezione Lavoro, depositata il 26 agosto 2016 Contestazione. Ricostruita nei dettagli la vicenda, appaiono corrette le obiezioni mosse dall’istituto di credito nei confronti del proprio dipendente. Allo stesso tempo, però, i giudici d’appello pongono in evidenza la tardività della contestazione operata nei confronti del lavoratore. Più precisamente, viene ritenuto ingiustificato , anche in relazione alla semplicità dell’indagine effettuata dall’azienda, il rilevante lasso di tempo tra la segnalazione della condotta e l’invio della contestazione . Consequenziale è la decisione con cui viene sancita l’ illegittimità del licenziamento adottato dall’istituto di credito. Logico anche il riconoscimento a favore del lavoratore di una indennità risarcitoria . Reintegra. La soddisfazione economica ottenuta in appello, però, non è sufficiente per il dipendente della banca. Egli ritiene, come spiega il suo legale, che il lungo tempo trascorso tra contestazione disciplinare e irrogazione della sanzione non è valutabile come mera irregolarità formale , bensì come elemento chiaramente indicativo della rinuncia da parte del datore di lavoro all’esercizio del relativo potere . Obiettivo evidente è la reintegra . Per i magistrati della Cassazione, però, appare corretto il ragionamento fatto dai giudici d’appello. Ciò significa che è palese la illegittimità del licenziamento deciso dai vertici della società, proprio a causa della tardività della contestazione elevata a carico del dipendente. Ma, allo stesso tempo, il difetto di tempestività , sia della contestazione che del provvedimento espulsivo , non può essere valutato, spiegano i magistrati, come elemento sintomatico della volontà della banca di rinunciare alla reazione disciplinare nei confronti del lavoratore. In questa ottica è significativo il riferimento al tempestivo avvio del procedimento disciplinare di accertamento della condotta scorretta l’istituto di credito ha mostrato di agire prontamente a seguito della segnalazione anonima sull’operato del dipendente. E tale dato è testimonianza, sempre secondo i magistrati, della concreta intenzione della società di reagire alle inadempienze del proprio dipendente. Si può affermare che il contegno del datore di lavoro non sia stato totalmente rispettoso degli obblighi di correttezza e di buonafede nell’allungamento dei tempi, ma ciò può essere considerato frutto di una piano finalizzato a sfruttare ulteriori passi del dipendente , in modo da dare ancora più forza all’ impianto accusatorio . Non può invece affermarsi, sottolineano i magistrati, che la lentezza da parte della banca sia valutabile come volontà di rinunciare a una reazione adeguata nei confronti del lavoratore. Tutto ciò conduce a confermare in pieno la decisione emessa in Appello licenziamento illegittimo, ma nessuna reintegra per l’oramai ex dipendente dell’istituto di credito. L’uomo dovrà accontentarsi di un risarcimento e dovrà pensare a trovare un nuovo lavoro.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 25 maggio – 26 agosto 2016, n. 17371 Presidente Di Cerbo – Relatore De Marinis Svolgimento del processo Con sentenza del 9 marzo 2015, la Corte d'Appello di Salerno, pronunziando in sede di reclamo ex art 1, comma 58, 1. n. 92/2012, in riforma della decisione resa dal Tribunale di Salerno accoglieva la domanda proposta da A. S. nei confronti del Monte dei Paschi di Siena S.p.A., avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatogli a motivo dell'astensione del medesimo dalle attività lavorative presso la postazione informatica assegnatagli nel periodo 29.10.2012/3.1.2013 e condannava la Banca al pagamento in suo favore di una indennità risarcitoria pari a 8 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto. La decisione della Corte territoriale discende dall'aver questa ritenuto fondata l'eccezione di tardività della contestazione, considerando ingiustificato, in relazione alla semplicità dell'indagine relativa, il rilevante lasso di tempo intercorso tra la segnalazione della condotta, da qualificarsi comunque tale da legittimare la ricorrenza in astratto di una causa giustificativa dell'intimato recesso e l'invio della contestazione. Per la cassazione di tale decisione ricorre il S., affidando l'impugnazione ad un unico motivo, cui resiste, con controricorso, la Banca, la quale, a sua volta, propone ricorso incidentale articolato su tre motivi, in relazione al quale il S. non svolge alcuna attività difensiva. La Banca ha altresì presentato memoria. Motivi della decisione Con l'unico motivo, inteso q denunciare la violazione e falsa applicazione dell'art. 7 1. n. 300/1970 il ricorrente principale lamenta a carico della Corte territoriale la mancata considerazione del lungo tempo decorso tra la contestazione disciplinare e l'irrogazione della sanzione, non solo e non tanto come irregolarità formale del procedimento disciplinare a carico del ricorrente, ma come indicativo della rinuncia da parte del datore all'esercizio del relativo potere e dunque del difetto di un elemento costitutivo dell'adottato provvedimento di licenziamento, tanto più che, trattandosi di recesso per giusta causa, questo postulava la ricorrenza di una condotta che non ammetteva la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto, idoneo a travolgere la configurabilità stessa di un fatto disciplinarmente rilevante e fondare così l'applicabilità della tutela reintegratoria ex art. 18, comma 4, 1. n. 300/1970 come novellato dalla l. n. 192/2012. Dal canto suo la Banca, ricorrente incidentale, con il primo motivo deduce, alla stregua dell'art. 112 c.p.c., la nullità dell'impugnata sentenza per violazione del principio di cui all'art. 434 c.p.c., per il quale il giudice del gravame si pronuncia nei limiti del quantum devolutum, avendo esteso la propria decisione al profilo della tardività della contestazione quando questo, secondo quanto già rilevato dalla Banca nel corso del giudizio, non risultava riproposto in sede di appello. Il secondo motivo, intitolato alla violazione e falsa applicazione dell'art. 7, 1. n. 300/1970, è volto a censurare il giudizio espresso dalla Corte territoriale in punto tempestività della contestazione ritenendo che la stessa abbia, a questi fini attribuito rilievo non, secondo l'orientamento pacifico di questa Corte, al criterio della piena conoscenza della condotta addebitata, quale può derivare solo dalla conclusione del procedimento ispettivo, ma dalla mera conoscibilità. Il terzo motivo, parimenti rubricato con riguardo alla violazione e falsa applicazione dell'art. 7 1. n. 300/1970 anche alla luce dell'art. 41 Cost. e dell'art. 30, comma 1, 1. n. 183/2010, è teso a censurare gli argomenti addotti dalla Corte territoriale a sostegno della ritenuta tardività della contestazione che, a detta del ricorrente, trasmodano nel sindacato di merito delle prassi organizzative interne alla Banca. Prendendo le mosse dalle censure sollevate con il ricorso incidentale a motivo della sua priorità logica, essendo questo rivolto a contestare ab imis la pronunzia della Corte territoriale dichiarativa dell'illegittimità del licenziamento intimato al S. per tardività della contestazione disciplinare elevata a suo carico, negando che la stessa così possa qualificarsi, deve rilevarsi l'infondatezza delle stesse sotto i vari profili espressi nei tre motivi su cui si articola l'impugnazione, che, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente. Va premesso che, secondo l'orientamento espresso da questa Corte cfr. Cass. 28.11.2013, n. 26655 , l'immediatezza della reazione datoriale, in quanto elemento costitutivo del diritto di recesso, deve essere verificata d'ufficio dal Giudice, non potendosi pertanto µ accogliere il rilievo svolto dal ricorrente incidentale con il primo motivo, concernete la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato sollevata a motivo dell'impugnazione che in punto tempestività della contestazione il S. avrebbe omesso o irregolarmente proposto in sede di gravame, restandone così precluso l'esame alla Corte territoriale, circostanza del resto non rispondente al vero se si ha riguardo proprio al passo dell'atto d'appello proposto dal S. e citato negli atti della Banca ricorrente incidentale ove, come del resto è a dirsi per il ricorso qui proposto dal medesimo in via principale, il grave ritardo della reazione disciplinare imputato alla Banca è considerato nella più ampia prospettiva della dismissione del potere stesso. Neppure sussiste, come viceversa denunciato con il secondo motivo, lo scostamento dall'insegnamento di questa Corte in ordine al rilievo da attribuirsi ai fini del giudizio in ordine alla tempestività della contestazione alla piena conoscenza da parte del datore della condotta inadempiente piuttosto che alla mera conoscibilità. La Corte territoriale, infatti, non nega l'ammissibilità di un preventivo accertamento che corrobori l'ipotesi accusatoria e la correlata necessità in tal caso di una valutazione in termini relativi della ricorrenza del requisito in questione, ma si limita, sulla base di un giudizio di fatto, insindacabile in questa sede, a ritenere, tra l'altro con puntuale riferimento all'oggetto dell'indagine, la durata di un simile accertamento eccedente i limiti della ragionevolezza, il che certo non si traduce, come deduce la Banca ricorrente incidentale nel terzo motivo, in un sindacato di merito sulle scelte organizzative del titolare dell'impresa, precluso al giudice ex art. 41 Cost., tanto più che difetta da parte della Banca, del che si duole più volte la stessa Corte territoriale, la prova dell'imprescindibilità del decorso di quel tempo ai fini dell'esaurimento delle procedure per l'adozione del provvedimento in essere presso la Banca. Ciò posto, con conseguente rigetto del ricorso incidentale, è a dirsi come parimenti non possa trovare accoglimento l'unico motivo del ricorso principale, non potendo ritenersi erronea, come viceversa pretende il ricorrente, l'opzione valutativa della Corte territoriale, tesa a circoscrivere il rilevato difetto di tempestività, tanto della contestazione quanto, rispetto a questa, del provvedimento espulsivo, nell'ambito del vizio procedurale escludendone la rilevanza quale elemento sintomatico di una volontà del soggetto datore abdicativa della reazione disciplinare e, in ultima analisi dello stesso potere di recesso, cui sarebbe conseguita l'applicazione del diverso regime sanzionatorio della tutela reintegratoria attenuata di cui al comma 4 del nuovo testo dell'art. 18 Stat. lav A sorreggere il convincimento della Corte territoriale vale il solo riferimento alla ricostruzione della vicenda con le sue cadenze cronologiche, ricostruzione, qui non contestata, secondo la quale al dilatarsi dei tempi di formalizzazione della contestazione e di adozione del provvedimento espulsivo fa riscontro, viceversa, il tempestivo avvio del procedimento disciplinare nella sua fase prodromica di accertamento della condotta, cui la Banca datrice ha dato corso in serrata successione temporale rispetto al ricevimento della segnalazione anonima. Il che risulta espressivo di una effettiva volontà della Banca datrice di reazione alla condotta inadempiente del lavoratore che poi accompagna l'intero, per quanto rallentato, svolgersi del procedimento disciplinare fino all'adozione del provvedimento espulsivo, escludendone l'insorgere nel frattempo di un proposito dismissivo e, ciò che più conta, un uso strumentale del potere, tant' che la Corte territoriale pur ravvisando nel protrarsi dei tempi, in particolare, di adozione del provvedimento un contegno del datore non del tutto conforme agli obblighi di correttezza e buona fede, nel sondare gli obiettivi sottaciuti cui avrebbe potuto essere funzionale quel ritardo, non può andare oltre l'indicazione di intenti tutti interni alla logica punitiva quali quelli di attendere ulteriori passi falsi del dipendente e corroborare l'impianto accusatorio . Anche il ricorso principale va dunque rigettato rimanendo, pertanto ferma la pronunzia della Corte territoriale, anche con riguardo alle conseguenze sanzionatorie della dichiarata illegittimità del licenziamento, correttamente desunte, in relazione alla natura formale del vizio che ne inficia la validità, dal comma 6 del nuovo testo dell'art. 18 Stat. lav. Si dispone la compensazione delle spese di lite in ragione della reciproca soccombenza P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale e compensa tra le parti le spese di lite. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti principale e incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i ricorsi principale e incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.