Ruba scarpe a casa di una donna e patteggia la pena per l’accusa di furto: licenziato

Grave, secondo i giudici e secondo la società datrice di lavoro, la condotta tenuta dall’uomo. Logico ritenere irreparabilmente leso il rapporto di fiducia tra dipendente e azienda.

Passione insana per le calzature femminili. Così si spiega il raptus che ha spinto un uomo ad entrare in casa di una donna e a portar via dieci paia di scarpe. Passione che però gli costa carissimo Non solo il procedimento penale, concluso col patteggiamento per il reato di furto, ma anche il licenziamento, deciso dall’azienda proprio per le condotte tenute dall’uomo Cassazione, sentenza n. 15677/2016, Sezione Lavoro, depositata il 28 luglio 2016 . Fiducia. Evidente la gravità dei comportamenti penalmente rilevanti dell’uomo. Consequenziale, ad avviso dei giudici, l’azzeramento della fiducia da parte dell’azienda – ‘Poste Italiane’ – nei confronti del lavoratore. Detto in maniera chiara, è ormai fragilissima l’affidabilità dell’uomo in ambito lavorativo, soprattutto sul fronte della fedeltà nei confronti della società. Decisiva, in questa ottica, la valutazione della natura di reato contro il patrimonio , oggetto peraltro delle attenzioni dei media. Ruolo. E anche in Cassazione la posizione del lavoratore viene valutata come non difendibile. Per i magistrati, difatti, il furto compiuto, e ammesso durante il procedimento penale, è da considerare grave non solo per le modalità ma anche per il ruolo occupato dall’uomo in azienda, ossia addetto allo smistamento e alla movimentazione di beni di terzi, affidati al servizio postale . Come detto, è ammissibile che la società datrice di lavoro ritenga di non poter più fare affidamento su correttezza e fedeltà del dipendente. Ciò significa, concludono i magistrati, che è plausibile il licenziamento.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 13 aprile – 28 luglio 2016, numero 15677 Presidente Di Cerbo – Relatore Balestrieri Svolgimento del processo Con sentenza numero 48\09 il Tribunale di Milano rigettava il ricorso con cui M.C. chiese di dichiarare l'illegittimità del licenziamento per giusta causa irrogatogli dalla società Poste Italiane s.p.a. con nota 23.3.2008, con tutte le conseguenze di legge in punto di ricostituzione dei rapporto di lavoro e di risarcimento dei danno. II primo giudice, tenendo conto dei fatti accertati e per i quali il Camilleri era stato precedentemente condannato ex art. 444 c.p.p. in sede penale, ritenne che la connessione tra i fatti medesimi e la prestazione lavorativa - alla luce di quanto previsto dalle norme contrattuali e di legge - fosse sufficiente per ritenere irrimediabilmente compromesso il vincolo fiduciario necessario per la permanenza dei rapporto di lavoro. La natura di reato contro il patrimonio, aggravato dalla violenza sulle cose e divulgato dalla stampa a diffusione nazionale, erano stati ritenuti dal giudice di prime cure elementi idonei a porre in discussione l'affidabilità dei lavoratore al fini della corretta esecuzione della prestazione lavorativa e dell'obbligo di fedeltà, ritenendo conseguentemente legittima e proporzionale la sanzione adottata. Proponeva appello il Camilleri censurando la sentenza appellata sotto diversi profili. Resisteva la società Poste Italiane. Con sentenza depositata l'11 giugno 2012, la Corte d'appello di Milano rigettava il gravame. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il Camilleri, affidato a cinque motivi. Resiste Poste Italiane s.p.a. con controricorso. Motivi delle decisione 1. - Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 L. numero 300/1970, 2119 c.c. e 653 c.p.p. art. 360, comma 1, numero 3, c.p.c. . Lamenta che i fatti contestati al lavoratore essersi introdotto abusivamente in altrui abitazione, ove aveva sottratto, con effrazione, da un armadio dieci paia di scarpe non erano stati affatto provati, essendosi la parte lesa limitata a dichiarare di aver visto uno zaino contenente le sue scarpe all'interno della sua abitazione, di cui era peraltro rientrata in possesso. Lamenta che l'art. 653 c.p.p. stabilisce che solo la sentenza irrevocabile di condanna in sede penale e dunque non quella di patteggiamento ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità davanti alle pubbliche amministrazioni. 2. - Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 L. numero 300\1970, 2119 c.c. e degli art. da 54 a 57 del c.c.numero l. luglio 2007, oltre che degli artt. 2697 e 2729 c.c. art. 360, comma 1, nnumero 3 e 5, c.p.c. . Lamenta che la sentenza impugnata ritenne erroneamente specifica la lettera di contestazione dell'addebito, senza peraltro considerare che l'art. 56, comma 6, lettera h del c.c.numero l. prevede li licenziamento senza preavviso solo per 'sentenza penale di condanna passata in giudicato, per fatti non connessi con lo svolgimento del lavoro, quando tali fatti possano comunque assumere rilievo ai fini della lesione dei rapporto fiduciario', laddove il ricorrente era occupato presso il CMP di R., senza essere a contatto con valori. 3.-I motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati. La sentenza impugnata ha correttamente ritenuto che i fatti contestati, chiaramente esposti nella lettera di contestazione su cui infra , oltre ad emergere dalla risultanze probatorie formatesi in sede penale utilizzabili dai giudice civile anche allorquando sia mancato il vaglio critico dei dibattimento, per essere la sentenza stata emessa ex art. 444 c.p.p., ben potendo la parte, dei resto, contestare, nell'ambito dei giudizio civile, i fatti così acquisiti in sede penale, Cass. numero 2168\13 , erano in sostanza stati ammessi dal ricorrente che neppure in questa sede nega gli stessi, sia quanto alla loro materialità, sia quanto alle modalità di esecuzione . Deve allora osservarsi che questa Corte ha già chiarito che in tema di responsabilità disciplinare dei lavoratore, l'art. 54 del contratto collettivo di lavoro dei dipendenti di Poste Italiane invocato nella lettera di contestazione , nel prevedere l'applicazione della sanzione disciplinare del licenziamento nell'ipotesi di condanna dei dipendente, si interpreta nei senso che è sufficiente sia stata pronunciata, nei confronti del lavoratore, sentenza di patteggiamento ex art. 444 cod. proc. penumero , dovendosi ritenere che le parti contrattuali abbiano voluto - con tale previsione - dare rilievo anche al caso in cui l'imputato non abbia negato la propria responsabilità ed abbia esonerato l'accusa dall'onere della relativa prova in cambio di una riduzione di pena cfr. Cass. numero 2168/13, Cass. numero 4060/11 . Il riferimento all'art. 56, comma 6, lettera h del c.c.numero l. risulta pertanto non dirimente. La sentenza impugnata ha poi considerato che tali fatti, lungi dall'essere riconducibili, come ora deduce il ricorrente, ad una insana attenzione per le scarpe femminili, consistettero piuttosto nell'essersi introdotto clandestinamente, mediante impiego di chiavi abusivamente duplicate, nell'abitazione della parte lesa, impossessandosi di dieci paia di scarpe appartenenti a quest'ultima, con l'aggravante di aver usato violenza sulle cose e cioè la forzatura dell'armadio , concretando così l'ipotesi delittuosa di cui agli artt. 624 e 625 c.p. e dunque un fatto particolarmente grave reato contro il patrimonio, aggravato da violenza sulle cose , tanto più considerate le mansioni di addetto allo smistamento e movimentazione di beni di terzi, affidati al servizio postale. 4. - Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1375, 1455, 2104, 2106 e 2119 c.c. art. 360, comma 1, numero 3, c.p.c. . Lamenta che la sentenza impugnata ritenne erroneamente, e sulla base di una motivazione insufficiente, la proporzione tra i fatti addebitati e la massima sanzione, omettendo in particolare di valutare il profilo soggettivo della condotta, inidoneo a porre in dubbio la correttezza dei futuri adempimenti, nonché il modesto risalto dato alla notizia dalla stampa. il motivo è infondato. La sentenza impugnata, per le ragioni sopra esposte, ha ritenuto che i fatti contestati, per la loro gravità e per la massima espressione dell'elemento intenzionale dolo , concretassero senz'altro, giusta del resto la previsione dell'art. 54 del c.c.numero l. di categoria, la sanzione dei licenziamento. Deve infatti considerarsi che la sentenza impugnata, come detto, non ha ritenuto, come lamentato dal ricorrente, sic et simpliciter censurabile con la massima sanzione l'impossessamento di altrui scarpe femminili, bensì le modalità della condotta contestata introduzione abusiva e fraudolenta nell'altrui abitazione, la forzatura di un armadio e l'impossessamento di tali oggetti , dando rilievo solo ad abundantiam alla divulgazione della notizia, ammessa dallo stesso ricorrente, ad opera della stampa. 5- Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 113 e 115 c.p.c., 7 L. numero 300\1970, sotto il profilo dell'immediatezza della contestazione, oltre che degli art. da 57 e 58 del c.c.numero l. luglio 2007 art. 360, comma 1, numero 3, c.p.c. , Lamenta che il menzionato art. 58 del c.c.numero l. imponeva alla società Poste di sospenderlo cautelativamente dal servizio o di assegnarlo provvisoriamente ad altre mansioni , mentre comunque la società era a conoscenza dei fatti sia dalle riferite notizie di stampa luglio 2007 , sia, in ogni caso, dalla data della sentenza di patteggiamento 26.9.07 , appalesandosi così tardiva la contestazione mossagli in data 27.2.08. Anche tale motivo è infondato. Deve infatti considerarsi che la sospensione o altra misura cautelare prevista dal c.c.numero i. che il ricorrente neppure produce, in contrasto con l'art. 369, comma 2, numero 4 c.p.c. , è istituto meramente facoltativo e comunque non decisivo per i fini che qui interessano. La Corte di merito ha infatti correttamente affermato, sulla base del consolidato orientamento di legittimità e plurimis, Cass. numero 11415\06, Cass. numero 1248\2016 , che il principio dell'immediatezza della contestazione dell'addebito deve essere inteso in senso relativo, dovendosi tener conto della specifica natura dell'illecito disciplinare, nonché dei tempo occorrente per l'espletamento delle indagini, maggiore quanto più è complessa l'organizzazione aziendale. Nella specie, non avendo il ricorrente chiarito la compiuta conoscenza dei fatti da parte dell'azienda ad opera di talune notizie di stampa, la sentenza impugnata ha correttamente considerato sia la natura dei fatti, oggetto di accertamenti in sede penale, sia la complessità della struttura aziendale della società Poste, anche sotto il profilo delle necessarie attività conoscitive e valutative. Trattasi di apprezzamenti di fatto, rimessi al prudente apprezzamento dei giudice di merito, non sindacabili in sede di legittimità ove, come nella specie, logicamente motivati. 6. - Con il quinto motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 L. numero 300\1970, 1175 e 1375 c.c., sotto il profilo dei diritto di difesa del lavoratore, oltre che dell'art. 57 del c.c.numero l. luglio 2007 art. 360, comma 1, numero 3, c.p.c. . Lamenta che la sanzione venne dall'azienda applicata senza aver preventivamente sentito personalmente il lavoratore a sua difesa, redigendo peraltro la lettera di contestazione senza fare alcuno accenno a tale facoltà difensiva. Il motivo è infondato. Non può innanzitutto sottacersi che il ricorrente non produce il c.c.numero l. di categoria, sicché la doglianza risulta inammissibile laddove censura, in sostanza, l'accertamento della corte di merito secondo cui l'art. 57 del c.c.numero l. invocato prevede solo la facoltà del dipendente di essere ascoltato personalmente su sua richiesta. Peraltro è pacifico, ed emerge dallo stesso brano contrattuale collettivo riportato dal Camilleri a pag. 19 dei ricorso, che l'audizione personale del lavoratore è solo una facoltà del dipendente che pacificamente ha presentato nei termini di legge le sue difese scritte , rimessa alla sua valutazione, necessitando di una esplicita richiesta in tal senso Cass. numero 7493\2011, Cass. numero 9233\2015 . 7.-Il ricorso deve essere pertanto rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. L'attuale condizione del ricorrente di ammesso al patrocinio a spese dello Stato esclude, allo stato, la debenza di quanto previsto dall'art. 13 c. i quater dei d.P.R. numero 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 numero 228. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese dei presente giudizio di legittimità, che liquida in €.100,04 per esborsi, € 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura dei 15%, i.v.a. e c.p.a.