Solo il ricorso cd. Fornero impedisce la decadenza dall’impugnazione del licenziamento

L’art. 6, comma 2, della Legge n. 604/1966 deve essere interpretato nel senso che, in caso di impugnativa del licenziamento nelle ipotesi regolate dall’art. 18 Statuto dei lavoratori, ai fini della conservazione dell’efficacia dell’impugnazione stragiudiziale è necessario che, nel termine di 180 giorni ivi previsto, venga proposto ricorso nella forma disciplinata dalla cd. Legge Fornero.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 14390 depositata il 14 luglio 2016. Il caso. La Corte d’appello di Palermo, confermando la pronuncia di primo grado, accoglieva l’impugnazione del licenziamento intimato ad un lavoratore, condannando il datore di lavoro alle conseguenze di cui all’art. 18 Stat. lav. Per quanto qui interessa, i Giudici di merito ritenevano che il ricorrente non fosse incorso nella decadenza prevista dall’art. 6, comma 2, l. n. 604/1966 a mente del quale l’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato [ ] atteso che, entro il termine ivi previsto, egli aveva depositato un ricorso ex art. 700 c.p.c. ritenuto dalla Corte e dal Giudice di primo grado idoneo ad interrompere la decadenza in discorso. Contro tale sentenza la società proponeva ricorso alla Corte di Cassazione, articolando vari motivi. Nel cd. Rito Fornero v’è un grado di giudizio articolato in due fasi. In particolare, ad avviso della ricorrente, i Giudici di merito avevano errato nel ritenere osservato il termine di decadenza con la proposizione del ricorso ex art. 700 c.p.c Motivo che viene condiviso dalla Cassazione la quale, affermando il principio esposto in massima, accoglie il ricorso decidendo nel merito la controversia. Richiamando quanto recentemente affermato dalle sue Sezioni Unite i.e. Cass. SS.UU. n. 19674/2014 , la Corte rileva infatti come il rito previsto dall’art. 1, commi 47 e ss., l. n. 92/2012 si caratterizzi per l’articolazione del primo grado di giudizio in due fasi una prima fase a cognizione sommaria caratterizzata da un ricorso che deve possedere i requisiti di cui all’art. 125 c.p.c., priva di formalità e nella quale la sommarietà riguarda le caratteristiche dell’istruttoria e non la cognizione del Giudice ed una seconda fase, di opposizione, a cognizione piena. Opposizione che, come precisato dalle Sezioni Unite, non è una revisio prioris istantiae , ma una prosecuzione del giudizio di primo grado, ricondotto in linea di massima al modello ordinario, con cognizione piena a mezzo di tutti gli atti di istruzione ammissibili e rilevanti” . In questo grado di giudizio, prosegue la Corte, l’idoneità al giudicato è senza dubbio prevista per la sentenza che definisce la fase di opposizione, ma non può essere esclusa per l’ordinanza conclusiva della fase sommaria, irrevocabile fino alla conclusione di quella di opposizione Cass. n. 24790/2014 . Questa decadenza è stata introdotta dalla Legge Fornero ed il ricorso cui fa riferimento è quello ivi disciplinato. È tuttavia incontestabile, afferma la Corte, che la prima fase del giudizio di primo grado debba essere introdotta con un ricorso che abbia almeno i requisiti di cui all’art. 125 c.p.c., dal che consegue che tale atto introduttivo deve necessariamente indicare la causa petendi ed il petitum . Prescrizione che tuttavia non è prevista dall’art. 669- bis rispetto al ricorso con cui si avvia la richiesta del provvedimento di urgenza ex art. 700 c.p.c Diversità che, nell’avviso della Cassazione, induce a ritenere che il Legislatore del 2012, nell’ipotesi in esame, ha inteso riferirsi, ai fini della conservazione dell’efficacia dell’impugnazione stragiudiziale del licenziamento, esclusivamente al ricorso introduttivo dello speciale rito regolato dai commi 48 e seguenti dell’art. 1 l. n. 92/2012 con esclusione, quindi, del ricorso ex art. 700 c.p.c. . Questa interpretazione, conclude la Corte, è confermata dalla circostanza che lo stesso art. 6 l. n. 604/1966 equipara, ai fini dell’esclusione della decadenza, il ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale alla comunicazione del tentativo di conciliazione o arbitrato e poi, a chiusura, là dove reitera la previsione dell’atto dovuto a pena di decadenza, indicandolo nel deposito del ricorso al giudice del lavoro [ ] rende palese che quell’atto ultimo da depositare, che non può che essere il ricorso ordinario, è quello stesso atto previsto ab initio come modalità alternativa per escludere la decadenza .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 7 maggio – 14 luglio 2016, numero 14390 Presidente Macioce – Relatore Napoletano Svolgimento del processo La Corte di Appello di Palermo, confermando la sentenza del Tribunale di Agrigento, accoglieva l’impugnazione di G.R. del licenziamento intimatogli in data 21 agosto 2012 dal Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale ASI di Agrigento in liquidazione - Gestione separata dell’IRSAP con conseguente condanna del Consorzio alla reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro e al pagamento di una indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dalla data del licenziamento a quello della reintegrazione. A base del decisum , e per quello che rileva in questa sede, la Corte del merito rilevato, preliminarmente, che il deposito del ricorso ex art. 700 cpc valeva ai fini del rispetto del termine di decadenza di cui all’art. 6 della legge numero 604 del 1966 così come modificato dal comma 38 dell’art. 1 della legge numero 92 del 2012, riteneva viziato il procedimento disciplinare perché non era stata rispettata la collegialità dell’istituito Ufficio per i Procedimenti disciplinari e la determinazione conclusiva non era stata assunta dal Direttore generale ma dal Commissario straordinario sicché, trattandosi di violazione di norma imperativa, la conseguenza non poteva che essere la reintegrazione nel posto di lavoro trovando applicazione il regime reintegratorio precedente alla riformulazione, ex lege numero 92 del 2012 cit., dell’art. 18 della legge numero 300 del 1970. Né secondo la predetta Corte, sussistevano dubbi di legittimità costituzionale rientrando nella discrezionalità del legislatore la previsione di una disciplina differenziata tra i rapporti di lavoro alle dipendenze del datore privato e di quello pubblico. Avverso questa sentenza l’ASI ricorre in cassazione in ragione di cinque censure. La parte intimata non svolge attività difensiva. Motivi della decisione Con il primo motivo parte ricorrente, deducendo violazione dell’art. 6, comma 2, della legge numero 604 del 1966, nel testo modificato dall’art. 1 comma 38, della legge numero 92 del 2012 e dell’art. 1, comma 48, della legge numero 92 del 2012, sostiene l’erroneità della sentenza della Corte territoriale in punto di ritenuta osservanza del termine di decadenza con la proposizione del ricorso ex art. 700 cpc. Con la seconda censura parte ricorrente, denunciando violazione dell’art. 55 bis, comma 4, del dlgs numero 165 del 2001, assume che la Corte del merito erroneamente interpretando la richiamata disposizione ha ritenuto viziato il procedimento disciplinare per il mancato rispetto della collegialità prevista dell’istituito Ufficio per i Procedimenti disciplinari. Con la terza critica parte ricorrente, assumendo violazione degli artt. 55 e 55 bis, comma 4, del dlgs numero 165 del 2001 sostiene che la Corte territoriale, nel ritenere altresì viziato il procedimento disciplinare sul rilievo che la determinazione conclusiva non era stata assunta dal Direttore generale1 ma dal Commissario straordinario, non ha tenuto conto che anche il dirigente generale era stato coinvolto nei fatti addebitati al G. , sicché l’unico organo di vertice per la determinazione conclusiva non poteva che essere il Commissario straordinario. Con il quarto motivo parte ricorrente, allegando violazione dell’art. 18 della legge numero 300 del 1970 nel testo ex art. 1 della legge numero 92 del 2012 e dell’art. 51 del dlgs numero 165 del 2001, critica la sentenza impugnata per non aver applicato la nuova disciplina della tutela reale introdotta con la citata legge numero 92 del 2012 con la conseguenza che, se correttamente applicato il nuovo regime, non poteva farsi luogo alla tutela reintegratoria ma solo a quella indennitaria trattandosi di vizi formali. Con l’ultimo motivo si solleva questione di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3, 41 e 97 Cost., dell’art. 18, comma 7 della legge numero 300 del 1970, nel testo introdotto dall’art. 1 della legge numero 92 del 2012 ove interpretato nel senso dell’inapplicabilità al rapporto di pubblico impiego. Il primo motivo del ricorso è fondato. La questione che viene sottoposta all’esame di questa Corte riguarda l’interpretazione del denunciato art. 6, comma 2, della legge numero 604 del 1966, nel testo modificato dall’art. 1 comma 38, della legge numero 92 del 2012 ed in particolare la risposta al quesito se, ai fini della conservazione dell’efficacia dell’impugnazione stragiudiziale del licenziamento, nelle ipotesi regolate dall’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, numero 300, può valere anche il ricorso ex art. 700 cpc ovvero è necessario comunque e, nel termine ivi previsto, che sia proposto ricorso secondo il c.d. rito Fornero art. 1, comma 48, della legge numero 92 del 2012 cit. . Dispone il richiamato art. 6, comma 2, della legge numero 604 del 1966, nel testo modificato dall’art. 1 comma 38, della legge numero 92 del 2012, che L’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo . I commi 47 e 48 dell’art. 1 della legge numero 92 del 2012 rispettivamente stabiliscono 47. Le disposizioni dei commi da 48 a 68 si applicano alle controversie aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, numero 300, e successive modificazioni, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro. 48. La domanda avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento di cui al comma 47 si propone con ricorso al tribunale in funzione di giudice del lavoro. Il ricorso deve avere i requisiti di cui all’articolo 125 del codice di procedura civile. Con il ricorso non possono essere proposte domande diverse da quelle di cui al comma 47 del presente articolo, salvo che siano fondate sugli identici fatti costitutivi. A seguito della presentazione del ricorso il giudice fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti. L’udienza deve essere fissata non oltre quaranta giorni dal deposito del ricorso. Il giudice assegna un termine per la notifica del ricorso e del decreto non inferiore a venticinque giorni prima dell’udienza, nonché un termine, non inferiore a cinque giorni prima della stessa udienza, per la costituzione del resistente. La notificazione è a cura del ricorrente, anche a mezzo di posta elettronica certificata. Qualora dalle parti siano prodotti documenti, essi devono essere depositati presso la cancelleria in duplice copia . Nel caso in cui si verta come nella specie, nelle ipotesi di licenziamento che ricade nell’ambito di applicazione di cui alle art. 18 della legge numero 300 del 1970, i richiamati commi 37, 47 e 48 dell’art. 1 della citata legge numero 92 del 2012 devono essere necessariamente interpretati in maniera coordinata poiché la regola della conservazione dell’efficacia della impugnazione stragiudiziale del licenziamento stabilita dal novellato art. 6 della legge numero 604 del 1966 trova applicazione anche con riferimento alla c.d. tutela reale per la quale è sancito che l’impugnativa giudiziale deve essere proposta secondo il c.d. rito Fornero regolato, appunto, dai commi 48 e seguenti dell’art. 1 della menzionata legge numero 92 del 2012. Si tratta, come sottolineato dalle Sezioni Unite Cass. S.U. 18 settembre 2014 numero 19674 , di un nuovo speciale rito finalizzato all’accelerazione dei tempi del processo, che si caratterizza per l’articolazione del giudizio di primo grado in due fasi una fase a cognizione semplificata o sommaria e l’altra, definita di opposizione, a cognizione piena nello stesso grado. Mentre la prima fase è caratterizzata, ancorché il ricorso debba avere i requisiti di cui all’art. 125 cpc, dalla mancanza di formalità, poiché rispetto al rito ordinario delle controversie di lavoro non è previsto il rigido meccanismo delle decadenze e delle preclusioni di cui agli artt. 414 e 416 cpc e l’istruttoria, semplificata, è limitata agli atti di istruzione indispensabili , la seconda fase è invece introdotta con un atto di opposizione proposto con ricorso. Tale opposizione, come precisato dalle Sezioni Unite nella citata pronuncia, non è una revisio prioris istantiae , ma una prosecuzione del giudizio di primo grado, ricondotto in linea di massima al modello ordinario, con cognizione piena a mezzo di tutti gli atti di istruzione ammissibili e rilevanti . In sostanza dopo una fase iniziale concentrata e deformalizzata - mirata a riconoscere, sussistendone i presupposti, al lavoratore ricorrente una tutela rapida ed immediata e ad assegnargli un vantaggio processuale da parte ricorrente a parte eventualmente opposta , ove il fondamento della sua domanda risulti prima facie sussistere alla luce dei soli atti di istruzione indispensabili - il procedimento si riespande, nella fase dell’opposizione, alla dimensione ordinaria della cognizione piena con accesso per le parti a tutti gli atti di istruzione ammissibili e rilevanti . L’esigenza di evitare che la durata del processo ordinario si risolva in un pregiudizio per la parte che intende far valere le proprie ragioni Corte cost. 28 gennaio 2010 numero 26 va coniugata sempre con l’effettività e pienezza della tutela. La diversità e peculiarità della materia giustificano - un binario accelerato nei limiti in cui come ha avvertito la Corte costituzionale con riferimento a moduli processuali speciali finalizzati ad accelerare la definizione delle controversie Corte cost. 10 novembre 1999 numero 42 - non sia pregiudicato lo scopo e la funzione del processo e non sia compromessa l’effettività della tutela giurisdizionale . . Ne consegue che la prima fase del giudizio di primo grado è semplificata e sommaria e la sommarietà riguarda le caratteristiche dell’istruttoria, e non una sommarietà della cognizione del giudice, né l’instabilità del provvedimento finale. L’idoneità al giudicato è espressamente prevista per la sentenza resa all’esito dell’opposizione ma, come rileva la Corte nella citata pronuncia, non può essere esclusa per l’ordinanza conclusiva della fase sommaria, irrevocabile fino alla conclusione di quella di opposizione Cfr. in termini Cass. 20 novembre 2014 numero 24790 . Stante, quanto al contenuto del ricorso introduttivo della prima fase del rito in parola, il richiamo all’art. 125 cpc consegue che detto atto introduttivo deve necessariamente indicare la causa petendi ed il petitum . Tale prescrizione non è, tuttavia, prevista dall’art. 669 bis cpc relativamente al ricorso con il quale si attiva la richiesta del provvedimento di urgenza ex art. 700 cpc. Questa sostanziale diversità induce a ritenere che il legislatore del 2012, nell’ipotesi in esame, ha inteso riferirsi, ai fini della conservazione dell’efficacia dell’impugnazione stragiudiziale del licenziamento, esclusivamente al ricorso introduttivo dello speciale rito regolato dei commi 48 e seguenti dell’art. 1 della legge numero 92 del 2012 con esclusione, quindi, del ricorso ex art. 700 cpc. Né può sottacersi la eloquenza della formula dell’art. 6 comma 2 della legge 604 del 1966, là dove equipara - in termini di idoneità ad escludere la decadenza - al ricorso depositato presso la cancelleria del giudice del lavoro la comunicazione del tentativo di conciliazione o di arbitrato e poi, a chiusura, là dove reitera la previsione dell’atto dovuto a pena di decadenza, indicandolo nel deposito del ricorso al giudice del lavoro entro sessanta giorni dalla chiusura infruttuosa di quel tentativo, in tal modo rendendo palese che quell’atto ultimo da depositare, che non può essere che il ricorso ordinario, è quello stesso atto previsto ab initio come modalità alternativa per escludere la decadenza. Si deve pertanto affermare il seguente principio di diritto l’art. 6, comma 2, della legge numero 604 del 1966, nel testo modificato dall’art. 1 comma 38, della legge numero 92 del 2012 deve essere interpretato, nel caso d’impugnativa del licenziamento nelle ipotesi regolate dall’articolo 18 della legge 20 maggio 1970 numero 300 e successive modificazioni, nel senso che, ai fini della conservazione dell’efficacia dell’impugnazione stragiudiziale del licenziamento, è necessario che, nel termine previsto, venga proposto ricorso secondo il rito di cui ai commi 48 e seguenti dell’art. 1 della predetta legge numero 92 del 2012. Nel caso in esame la Corte del merito, nel ritenere che il deposito del ricorso ex art. 700 cpc valeva ai fini del rispetto del termine di decadenza di cui all’art. 6 della legge numero 604 del 1966 così come modificato dal comma 38 dell’art. 1 della legge numero 92 del 2012, non si è attenuta al detto principio sicché non è corretta in diritto. Conseguentemente la sentenza impugnata, in accoglimento del motivo in esame, nel quale rimangono assorbiti gli altri, va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, decidendosi nel merito va dichiarata l’inefficacia delle impugnativa del licenziamento. Le spese dell’intero processo vanno compensate in considerazione della assoluta novità della questione trattata. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito dichiara inefficace l’impugnativa del licenziamento e compensa le spese dell’intero processo.