Rientro dalla maternità, assegnata a una nuova sede: assenza non sufficiente per il licenziamento

La donna ha parlato di discriminazione. I giudici, invece, hanno ritenuto giustificato il provvedimento aziendale, alla luce della prolungata e ingiustificata assenza della dipendente. Perplessità, però, suscita la decisione della società di assegnare la lavoratrice, al rientro dalla maternità, ad una nuova sede.

Concluso il congedo di maternità. Il rientro a lavoro, però, è problematico la donna si trova trasferita in una nuova sede. Drastica la reazione della lavoratrice ella decide di non presentarsi nell’ufficio a lei assegnato. Forzatura, questa, che però non può giustificarne il licenziamento Cassazione, sentenza n. 13455/2016, Sezione Lavoro, depositata il 30 giugno . Assenza. Negativi per la donna il giudizio emesso prima dal Tribunale e poi dalla Corte d’appello viene ritenuto legittimo il licenziamento deciso dalla società, titolare di uno studio commercialista , nei confronti della dipendente. La donna, divenuta madre a giugno 2011, è stata cacciata ufficialmente a fine luglio 2012, dopo una prolungata assenza – tre settimane, praticamente – ritenuta non giustificata dall’azienda. E su questo punto hanno concordato anche i magistrati, valutando non discriminatorie le azioni compiute dalla società, che aveva assegnato la lavoratrice, in procinto di rientrare dal congedo di maternità , a una diversa sede . Sede. In sostanza, i giudici, sia in primo che in secondo grado, hanno osservato che manca un riferimento al carattere strumentale dell’atteggiamento del datore di lavoro che faccia presumere una volontà dismissiva del rapporto giustificata dalla maternità della lavoratrice, attuata in occasione dell’assenza della dipendente , ossia l’impedimento al rientro in servizio presso l’unità produttiva ove era originariamente collocata la donna. Questo ragionamento però si rivela viziato, osservano i magistrati della Cassazione. Manca, difatti, un esame approfondito sulla eventuale giustificazione della prolungata assenza dal lavoro . Su questo fronte va tenuto presente che, alla luce del ‘Testo unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità’, al termine dei periodi di divieto di lavoro le lavoratrici neo mamme hanno diritto di conservare il posto di lavoro e, salvo che espressamente vi rinuncino, di rientrare nella stessa unità produttiva ove erano occupate all’inizio del periodo di gravidanza, o in altra ubicata nel medesimo Comune . E in questa vicenda è emerso che la lavoratrice ha fatto presente all’azienda, con varie comunicazioni , di essere disponibile a riprendere servizio nella sua vecchia sede. Necessario, quindi, un approfondimento della vicenda. Compito, questo, affidato ai giudici d’Appello, i quali dovranno esaminare con attenzione la linea seguita dalla società titolare dello studio, prima di pronunciarsi sul licenziamento .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 16 marzo – 30 giugno 2016, n. 13455 Presidente Venuti – Relatore Della Torre Svolgimento del processo Con sentenza n. 545/2014, depositata il 16 ottobre 2014, la Corte di appello di Venezia confermava - salvo che nel regolamento delle spese di lite del primo grado di giudizio, delle quali disponeva la compensazione - la sentenza del Tribunale di Padova, che aveva respinto, confermando la decisione assunta nella fase sommaria, il ricorso proposto da M.C. per la dichiarazione di nullità del licenziamento intimatole, con lettera 24 luglio 2012, dallo Studio Sirone Valentini Reccia s.r.l., licenziamento che la ricorrente, divenuta madre il 29 giugno 2011, assumeva determinato da ragioni discriminatorie ai sensi del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. La Corte distrettuale osservava che il licenziamento era stato motivato con il riferimento alta prolungata assenza dal lavoro della C., che non si era presentata, a partire dal 2 luglio 2012, presso la diversa sede di Limena e che tale assenza, da ritenersi non giustificata, costituiva autonomo motivo dell'atto espulsivo che non vi era prova di atti preparatori funzionali al licenziamento e che, in particolare, diversamente da quanto allegato, non poteva considerarsi tale la costituzione di una nuova postazione lavorativa per altra dipendente prima del rientro dalla maternità della C. che era da ritenere che il datore di lavoro avesse rinunciato al progetto di disporre il trasferimento a Limena della reclamante, che nella nuova sede avrebbe avuto collocazione solo temporanea e per motivi di formazione professionale che la condotta della lavoratrice era da valutarsi come obiettivamente grave, oltre che conforme alla fattispecie sanzionata con il recesso immediato dalla contrattazione collettiva, in ciò restando assorbito ogni ulteriore motivo di reclamo. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la C. con sei motivi il datore di lavoro ha resistito con controricorso, assistito da memoria. Motivi della decisione Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell'art. 111 Cost. per omessa motivazione sul punto della dichiarata assenza non giustificata e violazione, in relazione al medesimo punto, dell'art. 56, commi 1 e 3, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, non avendo la Corte di appello chiarito le ragioni, per le quali l'assenza della lavoratrice presso l'unità produttiva di Limena, ove la società datrice di lavoro le aveva chiesto di presentarsi, dovesse considerarsi ingiustificata a fronte del diritto della stessa lavoratrice, ai sensi della norma richiamata, a rientrare nell'unità produttiva di Este, ove era occupata all'inizio del periodo di gravidanza, e altresì a fronte della volontà più volte manifestata dalla medesima di riprendere la propria attività lavorativa presso l'unità di Este. Con il secondo e con il terzo motivo viene denunciato l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, in relazione 2° alla sostituzione di fatto della C. con altra dipendente presso l'unità produttiva di Este, a prescindere dalla circostanza che l'assunzione di questa fosse o meno atto funzionale ab initio al licenziamento della ricorrente e in relazione 3° alla sussistenza nella specie di un trasferimento, avendo la Corte ritenuto invece che la società avesse disposto una trasferta per motivi di formazione. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione dell'art. 54 del decreto legislativo n. 151/2001 in relazione all'onere della prova in materia di licenziamento discriminatorio intimato alla lavoratrice madre, sul rilievo che, stabilendo tale norma una presunzione di nullità/discriminatorietà del licenziamento in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza, non risultava pertinente il richiamo effettuato in sentenza all'orientamento giurisprudenziale formatosi sul licenziamento discriminatorio in genere , posto che la disciplina della nullità del licenziamento intimato alla lavoratrice madre prevale sulla disciplina generale del licenziamento discriminatorio. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia violazione dell'art. 54, comma 3, lettera a del decreto legislativo n. 15112001 e violazione dell'art. 2119 c.c., per avere la Corte, nel considerare assorbiti gli ulteriori motivi di gravame, ritenuto la obiettiva gravità della condotta della lavoratrice, la sua reiterazione nel contesto sopra descritto e la conformità della fattispecie concreta a quella sanzionata con il licenziamento dal contratto collettivo di lavoro, senza valutare la condotta della lavoratrice secondo il connotato della gravità che la doveva invece distinguere dalla normale colpa prevista dall'autonomia collettiva e, in ogni caso, per avere violato la norma di cui all'art. 2119 c.c., non avendo compiuto alcun giudizio di adeguatezza e proporzionalità della massima sanzione espulsiva. Con il sesto motivo la ricorrente denuncia violazione dell'art. 2697 c.c. in relazione all'art. 54 del decreto legislativo n. 151/2001 e all'art. 5 1. n. 604/1966 nonché violazione degli artt. 115, 414 e 416 c.p.c. con riferimento all'onere probatorio incombente sul datore di lavoro circa i fatti dallo stesso allegati in giudizio e preliminari al licenziamento della lavoratrice. E' fondato e deve essere accolto il primo motivo di ricorso. La sentenza della Corte di appello di Venezia ha, infatti, ritenuto autonomo motivo dell'intirnato licenziamento l'assenza non giustificata della lavoratrice, osservando come i fatti dalla stessa allegati enucleano circostanze che, ove pure considerate di carattere discriminatorio-ostruzionistico ossia l'impedimento al rientro in servizio presso l'unità produttiva di Este , non possono essere considerati funzionali a determinare il recesso manca, in sostanza, un riferimento al carattere strumentale dell'atteggiamento del datore di lavoro che faccia presumere una volontà dismissiva del rapporto giustificata dalla condizione della maternità della lavoratrice, attuata in occasione dell'assenza della dipendente cfr. sentenza, p. 21 . Peraltro con tale motivazione, che percorre trasversalmente l'intera sentenza impugnata ove sono ripetuti gli accenni all'assenza di dimostrazione circa un atteggiamento o una volontà ostruzionistica del datore di lavoro , la Corte territoriale trasferisce la vicenda estintiva del rapporto sul piano esclusivo della tracciabilità nel comportamento datoriale dì motivazioni discriminatorie connesse alla maternità della lavoratrice, omettendo in tal modo, e radicalmente, di valutare - su di un piano diverso ma ineludibile, alla stregua della concreta fattispecie sottoposta al suo esame - se l'assenza dal lavoro potesse dirsi non giustificata in presenza della norma di cui all'art. 56, co. 1, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, per la quale al termine dei periodi di divieto di lavoro previsti dal Capo II e III, le lavoratrici hanno diritto di conservare il posto di lavoro e, salvo che espressamente vi rinuncino, di rientrare nella stessa unità produttiva ove erano occupate all'inizio del periodo di gravidanza o in altra ubicata nel medesimo comune e a fronte del difetto di accertamento in ordine ad una volontà abdicetiva della lavoratrice, che anzi aveva fatto presente con varie comunicazioni di essere disponibile a riprendere servizio ad Este. Non è superfluo osservare che il decreto legislativo n. 151/2001, ìn attuazione dei valori di cui agli artt. 31 e 37 della Costituzione e della Direttiva CE n. 85 del 1992, prevede un articolato e complesso insieme di garanzie e diritti volti ad assicurare l'essenziale funzione familiare della donna e rispondenti all'esigenza di tutela della maternità ora, in senso più lato, della genitorialità né la peculiare natura dei valori così protetti e la preminenza dai medesimi rivestita nell'ordinamento è priva di riflessi nella dimensione attuativa del rapporto, richiedendo o legittimando, alla stregua dei canoni di correttezza e buona fede, tutti quei comportamenti, sia di segno positivo che negativo, e anche non strutturalmente riconducibili ad un facere, che possano cooperare alla loro attuazione. La sentenza deve, pertanto, essere cassata in relazione al primo motivo di ricorso, con assorbimento degli altri, e la causa rinviata, anche per le spese, alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione, la quale procederà a nuovo esame della fattispecie, nei sensi di cui in motivazione. P.Q.M. la Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione.