L’osservanza dell’obbligo di sicurezza a carico del datore di lavoro impone l’adozione di misure di sicurezza “innominate”

In virtù del generale dovere di sicurezza incombente ai sensi dell'art. 2087 c.c. da interpretarsi in conformità con gli art. 32 e 41 Cost. , è addebitabile al datore di lavoro la responsabilità per il danno occorso al lavoratore che appaia causalmente riconducibile, in mancanza di prova contraria, all'assenza di misure di prevenzione c.d. innominate”, le quali, ancorché non espressamente imposte dalla legge, siano suggerite dagli standard di sicurezza normalmente osservati o da conoscenze sperimentali o tecniche.

Così affermato dalla Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 13465, pubblicata il 30 giugno 2016. Condanna di un datore di lavoro al rimborso in favore dell’INAIL del costo da questo sopportato in conseguenza di infortunio sul lavoro collettivo. In conseguenza di un gravissimo infortunio collettivo violenta esplosione e incendio di un silos , a seguito del quale decedevano cinque lavoratori ed altri otto rimanevano gravemente feriti, l’azienda datore di lavoro ritenuta responsabile veniva condannata a pagare ad Inail il costo da questo sostenuto a titolo risarcitorio. L’azienda soccombente ricorreva in Cassazione. L’obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c Come noto, l’articolo 2087 del codice civile costituisce il principio generale codicistico in materia di obbligo di sicurezza a carico del datore di lavoro. Tale norma impone al datore di lavoro l’adozione di tutte le norme e gli accorgimenti atti a prevenire eventuali infortuni in danno dei lavoratori. La violazione del generale dovere di sicurezza a carico del datore di lavoro va considerato anche con riguardo alla omissione di misure di sicurezza cosiddette innominate” cioè non in riferimento a misure di sicurezza espressamente e specificamente definite dalla legge o da altra fonte ugualmente vincolante. Richiesta anche l’adozione delle misure innominate . e la prova è a carico del datore di lavoro. E rispetto a tali misure innominate” la prova liberatoria a carico del datore di lavoro è generalmente correlata alla quantificazione della misura della diligenza ritenuta esigibile nella predisposizione delle misure di sicurezza, imponendosi l'onere di provare l'adozione di comportamenti specifici che, ancorché non risultino dettati dalla legge o altra fonte equiparata siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, dagli standard di sicurezza normalmente osservati oppure trovino riferimento in altre fonti analoghe. Secondo il Supremo Collegio, la violazione dell'art. 2087 del codice civile, che prevede un generale dovere di sicurezza a carico del datore di lavoro e che deve essere interpretato in conformità con l'art. 32 Cost. sulla tutela del diritto alla salute e con l'art. 41 Cost. secondo cui l'iniziativa economica privata non può svolgersi in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana , viene in considerazione con riguardo all'omissione di misure di sicurezza cosiddette innominate , e non in riferimento a misure di sicurezza espressamente e specificamente definite dalla legge o da altra fonte ugualmente vincolante. Rispetto a tali misure innominate la giurisprudenza della Corte di legittimità ha precisato che la prova liberatoria a carico del datore di lavoro è generalmente correlata alla quantificazione della misura della diligenza ritenuta esigibile, nella predisposizione delle indicate misure di sicurezza, imponendosi, di norma, al datore di lavoro l'onere di provare l'adozione di comportamenti specifici che pur non imposti dalla legge o altra fonte equiparata , siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, dagli standard di sicurezza normalmente osservati oppure trovino riferimento in altre fonti analoghe. Disattese le indicazioni tecniche di riferimento. Nel caso specifico la Corte territoriale ha accertato che la corretta applicazione delle raccomandazioni tecniche sperimentali avrebbe consentito di dimensionare le aperture di sfogo del silos, in modo tale da sviluppare una pressione ridotta, con conseguente minor violenza dell’esplosione e danni più limitati. E dunque, così inquadrato l’evento dannoso occorso, e le possibili minori conseguenze, in caso di corretta applicazione delle predette raccomandazioni tecniche misure innominate” , la sentenza impugnata appare corretta ed immune da vizi censurabili in sede di legittimità, avendo la corte di merito fatta corretta applicazione dei principi di diritto enunciati dalla Corte di Cassazione. Il ricorso proposto è stato così rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 5 aprile – 30 giugno 2016, n. 13465 Presidente D’Antonio – Relatore Cavallaro Fatto Con sentenza depositata il 13.11.2014, la Corte d'appello di Ancona, decidendo in sede di rinvio, condannava Molino Alimonti s.r.l. a pagare all'INAIL la somma di 3.525.071,81 oltre accessori, quale costo dell'infortunio collettivo occorso il 12.6.1989 presso lo stabilimento molitorio di Guardiagrele. La Corte, per quel che qui rileva, riteneva che, pur non potendosi ricostruire con ragionevole certezza la causa dell'innesco che aveva portato all'esplosione delle polveri e al successivo incendio a causa dei quali erano deceduti cinque lavoratori, mentre altri otto erano rimasti gravemente feriti , nondimeno poteva rimproverarsi all'azienda di non aver adottato tutte le misure idonee a ridurre le conseguenze dell'esplosione, le quali, benché all'epoca dei fatti non ancora imposte con norma di legge, erano tuttavia conosciute per essere state pubblicate dall'International Standard Organization ISO e fatte oggetto di raccomandazione da fonti tedesche e statunitensi. Avverso questa statuizione ricorre Molino Alimonti s.r.l. con ricorso affidato a due motivi. Resiste l'INAIL con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Diritto Con il primo motivo, la società ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione degli artt. 132 c.p.c. e 111 Cost., per avere la Corte territoriale affermato la sua responsabilità sulla base di una motivazione contraddittoria, illogica e conseguentemente mancante ad avviso di parte ricorrente, infatti, sussisterebbe nell'argomentare dei giudici di merito un duplice salto motivazionale, consistente, per un verso, nell'aver equiparato a mezzi di prevenzione noti e realizzabili le prove sperimentali utili a individuare i parametri necessari per dimensionare adeguatamente i sistemi di sfogo dell'esplosione delle polveri e, per un altro verso, nell'aver derivato dalla esperibilità di codeste prove sperimentali che l'evento dannoso fosse prevedibile ed evitabile. Il motivo è inammissibile. Questa Corte ha già avuto modo di chiarire che, a seguito della riformulazione dell'art. 360 n. 5 c.p.c. ad opera dell'art. 54, d.l. n. 83/2012 cony. con l. n. 13412012 , l'unica anomalia motivazionale denunciabile per cassazione è quella che attiene all'esistenza della motivazione in sé e sempre che il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere cioè dal confronto con le risultanze processuali, vale a dire la mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico, la motivazione apparente, la motivazione contenente un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e la motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, rimanendo esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione Cass. S.U. n. 8053/2014 . Nel caso di specie, per contro, parte ricorrente pretende di censurare la sentenza impugnata non già per un'intima contraddittorietà della motivazione che dovrebbe rivelarne la sostanziale apparenza, quanto piuttosto perché non ne condivide il giudizio, in primo luogo, in ordine alla sussunzione tra i mezzi di prevenzione delle prove sperimentali utili a dimensionare i sistemi di sfogo dell'esplosione e, in secondo luogo, alla configurabilità di un nesso causale tra la mancata effettuazione di codeste prove sperimentali e la possibilità di evitare l'evento dannoso verificatosi in concreto. E tanto basta per rilevare l'inammissibilità del motivo, giacché nelle affermazioni censurate da parte ricorrente è dato rinvenire nient'altro che quella motivazione che in ipotesi si predicava come mancante , ossia il procedimento di sussunzione effettuato dalla Corte di merito, la cui censura, se del caso, è possibile solo per falsa applicazione di legge. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta nullità della sentenza per violazione degli artt. 132 c.p.c. e 111 Cost. e violazione dell'art. 2087 c.c., per avere la Corte di merito affermato la sua responsabilità nella causazione dell'evento ad onta del consolidato orientamento di questa Corte di legittimità secondo cui la verificazione del danno non è di per sé sola sufficiente a far scattare a carico dell'imprenditore l'onere probatorio di aver adottato ogni sorta di misura idonea ad evitare l'evento, presupponendo detta prova la dimostrazione del nesso di causalità fra la mancata adozione di determinate misure di sicurezza specifiche o generiche e il danno medesimo e non potendo la rimproverabilità di tale omissione estendersi ad ogni ipotetica misura di prevenzione, venendo altrimenti a configurarsi un'ipotesi di responsabilità oggettiva non prevista dall'art. 2087 cit. Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato. E' inammissibile nella parte concernente la presunta nullità della sentenza per violazione degli artt. 132 c.p.c. e 111 Cost., non potendo al riguardo che ripetersi le medesime considerazioni dianzi svolte a proposito dei primo motivo di ricorso. E' infondato nella parte concernente la violazione dell'art. 2087 c.c., avendo questa Corte recentemente ribadito che l'osservanza dei generico obbligo di sicurezza di cui all'art. 2087 c.c. impone al datore di lavoro anche l'adozione di misure di sicurezza innominate, ossia di comportamenti specifici che, pur non dettati dalla legge o altra fonte equiparata, siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, dagli standards di sicurezza normalmente osservati o trovino comunque riferimento in altre fonti analoghe Cass. n. 34 del 2016 , ed avendo la Corte di merito accertato che l'effettuazione delle prove sperimentali di cui alla norma ISO 6184/1 e delle analoghe contenute nella Raccomandazione VDI 3673 del Verein Deutscher Ingenieur e nella NFPA 68 - Guide for explosion venting avrebbe consentito di dimensionare le aperture di sfogo del silos in cui ebbe a verificarsi il sinistro in modo che, in caso di esplosione, si sviluppasse una pressione di esplosione ridotta e dalle conseguenze pila limitate. Vale piuttosto la pena di ribadire, anzitutto, che l'art. 2087 c.c., come tutte le clausole generali, ha una funzione di adeguamento permanente dell'ordinamento alla sottostante realtà socio-economica, onde vale a supplire alle lacune di una normativa che non può prevedere ogni fattore di rischio, possedendo una funzione sussidiaria rispetto a quest'ultima e di adeguamento di essa al caso concreto cfr. Cass. n. 5048 del 1988 e, nello stesso senso, Cass. n. 4012 del 1998 il che equivale a dire non solo che il datore di lavoro è tenuto all'adozione di tutte le misure di prevenzione previste dall'ordinamento positivo, ma altresi che per giudicare della sua diligenza occorre applicare il criterio della massima sicurezza tecnologicamente possibile v. ancora Cass. n. 4012 del 1998, sulla scorta di Corte cost. n. 399 del 1996 , dovendo egli conformare il proprio operato ad un canone che tenga conto delle caratteristiche del lavoro, dell'esperienza e della tecnica, e senza alcun abbassamento della soglia di prevenzione rispetto agli standard eventualmente non adeguati praticati in una determinata cerchia di imprenditori. In secondo luogo, va rimarcato che, per quanto sia vero che il nesso di causalità tra l'omissione della misura di sicurezza e l'evento dannoso deve escludersi quando, in relazione alle concrete circostanze del caso, lo scopo cautelare della norma non aveva alcuna possibilità di essere attuato c.d. irrilevanza del comportamento alternativo lecito v. in tal senso Cass. n. 15715 del 2012 , non è meno vero che la Corte ha accertato in fatto che, se l'esplosione fosse rimasta confinata per effetto di un adeguato dimensionamento delle aperture di sfogo, gli eventi indennizzati non si sarebbero verificati. E poiché il nesso di causalità di cui dianzi s'è detto va costruito in relazione all'evento concretamente verificatosi, nel senso che sussiste quando quest'ultimo costituisce concretizzazione dei rischio astrattamente creato con la violazione della regola di diligenza, anche sotto tale profilo la sentenza impugnata resiste alle censure rivoltele. II ricorso, pertanto, va conclusivamente rigettato. L'eccezionale complessità degli accertamenti oggetto dei precedenti gradi di merito e il loro esito contrastante giustificano la compensazione delle spese anche del presente giudizio di legittimità. Sussistono invece i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.