La procura alle liti rilasciata da cittadino residente all’estero

Ai sensi dell’art. 83 c.p.c. i requisiti di validità della procura alle liti consistono nella dichiarazione del pubblico ufficiale che il documento è stato firmato in sua presenza e nel preventivo accertamento dell'identità del sottoscrittore. Nel caso di procura alle liti rilasciata da un cittadino residente all’estero, la presunzione che il rilascio è avvenuto in Italia, alla presenza del difensore, non opera quando dalle circostanze emerse in giudizio e dal comportamento processuale delle parti, quali ad esempio l’assenza di ogni indicazione del luogo e della data di rilascio della procura, la pacifica e stabile residenza in un paese non facente parte della Comunità Europea, la mancata dimostrazione del suo rientro in Italia e la mancata comparizione in udienza per rispondere all’interrogatorio formale deferitogli, il Giudice tragga argomenti di prova circa il rilascio all’estero della procura stessa.

Lo ha ricordato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 13482/16, depositata il 30 giugno. Il caso. La Corte d’appello di Roma, chiamata a pronunciarsi sull’impugnazione promossa da un cittadino residente in Argentina avverso la decisione del Tribunale di Roma resa nei confronti dell’INPS, dichiarava inammissibile l’appello per assenza dello ius postulandi per invalidità della procura alle liti rilasciata dal ricorrente al proprio difensore. In particolare, la Corte territoriale riteneva inoperante la presunzione di rilascio in Italia della procura al difensore, come affermata dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 11549/1998, poiché sussistevano circostanze che, complessivamente valutate, inducevano il convincimento del rilascio all’estero della procura. Con ricorso per cassazione il ricorrente ha dedotto la violazione e la falsa applicazione degli artt. 83, 116 e 232 c.p.c. sul presupposto che, con la sua decisione, la Corte territoriale avrebbe determinato un’inversione dell’onere della prova, ponendo a suo carico l’onere di dimostrare il rilascio in Italia della procura. Invero, avrebbe dovuto ritenersi operante la presunzione del rilascio del mandato in Italia per essere stata la sottoscrizione autenticata in territorio italiano, incombendo dunque sull’INPS la prova del fatto contrario. Il rilascio della procura alle liti da parte del cittadino residente all’estero. La Suprema Corte ha ritenuto infondato il ricorso sulla base delle circostanze emerse nel giudizio d’appello e sul comportamento tenuto dal ricorrente, con particolare riferimento alla mancata comparizione in udienza per rispondere all’interrogatorio formale deferitogli. Premesso che al cittadino residente all’estero che agisca davanti al Giudice italiano è consentito il rilascio della procura alle liti nelle forme previste dall’art. 83 c.p.c. e che si deve presumere la presenza dello stesso nello Stato italiano, che costituisce il presupposto per la validità della procura medesima, dall’attestazione del procuratore che ne autentica la sottoscrizione, gli Ermellini affermano che il giudice può desumere da tutte le circostanze emerse in giudizio e dal comportamento processuale delle parti elementi idonei a fondare il suo convincimento circa la nullità della procura. Nel caso di specie, secondo la Suprema Corte, i Giudici del secondo grado hanno correttamente posto a base del ritenuto superamento della presunzione di rilascio della procura in Italia una serie di elementi, quali l’assenza di ogni indicazione del luogo e della data di rilascio della procura, la pacifica e stabile residenza in un paese non facente parte della Comunità Europea, la mancata dimostrazione del suo rientro in Italia, circostanza che sarebbe stata facilmente dimostrabile mediante l’esibizione del passaporto del ricorrente o di idonei documenti di viaggio. La mancata comparizione all’interrogatorio formale. La Suprema Corte ha inoltre valutato che al ricorrente era stato deferito l’interrogatorio formale sulla circostanza relativa al luogo in cui era stata sottoscritta la procura a margine del ricorso. Sul punto, richiamato il principio secondo il quale la mancata risposta rappresenta un fatto qualificato riconducibile al più ampio ambito del comportamento nel processo cui il giudice può riconnettere valore di ammissione dei fatti dedotti così a prova, ha ritenuto corretta la conclusione cui è giunta la Corte territoriale circa l’assenza dello ius postulandi .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 10 maggio – 30 giugno 2016, n. 13482 Presidente Berrino – Relatore Doronzo Svolgimento del processo 1. Con sentenza depositata in data 5 maggio 2009, la Corte di appello di Roma, pronunciando sull’impugnazione proposta da D.G. , avverso la decisione del Tribunale di Roma resa nei confronti dell’Inps, dichiarava inammissibile l’appello per assenza dello ius postulandi in ragione della ritenuta invalidità della procura alle liti rilasciata dal ricorrente al suo difensore. 2. La Corte territoriale riteneva inoperante la presunzione di rilascio in Italia della procura al difensore, come affermata da questa Corte nella sentenza delle Sezioni unite n. 11549 del 16 novembre 1998, e cio’ non solo perché era pacifico che il mandante risiedeva all’estero, ma anche perché sussistevano ulteriori circostanze, che complessivamente valutate inducevano il convincimento del rilascio all’estero della procura. 3. Avverso tale sentenza D.J. , quale erede ed avente causa di D.G. , ricorre per cassazione con due motivi. L’I.N.P.S. resiste con controricorso. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 83, 116, 232 cod.proc.civ., nonché dell’art. 2697 cod.civ. lamenta che, con la sua decisione la Corte avrebbe determinato un’inversione dell’onere della prova, ponendo a suo carico l’onere di dimostrare il rilascio in Italia della procura, laddove doveva ritenersi operante la presunzione di rilascio del mandato nel territorio dello Stato Italiano per essere stata la sottoscrizione autenticata dal difensore esercente in Italia ed incombendo pertanto all’Inps la prova del fatto contrario. Formula il quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis cod.proc.civ., applicabile ratione temporis . 2. Con il secondo motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1219, 2943 e 2697 cod.civ Assume che la Corte territoriale aveva errato nel non esaminare l’eccezione di prescrizione del diritto agli accessori azionato dal pensionato, la quale in ogni caso doveva ritenersi infondata in conseguenza dell’interruzione della prescrizione, effettuata con la lettera del 30/3/1999 contenuta nel fascicolo di primo grado, recante l’espressa volontà della parte di ottenere il pagamento degli interessi e della rivalutazione monetaria. 3. Il ricorso è infondato. La ricorrente incentra le proprie doglianze sulla valutazione da parte della Corte territoriale di elementi che, a suo parere, non supererebbero la presunzione di conferimento della procura in Italia, in ragione della loro genericità e inconferenza inoltre la Corte non avrebbe valutato gli elementi addotti a giustificazione della sua mancata comparizione a rendere l’interrogatorio formale, fondata essenzialmente sui costi di viaggio per raggiungere la sede giudiziaria dall’Argentina, di gran lunga superiori rispetto al valore della controversia. 4. In realtà, la Corte territoriale ha posto a base del ritenuto superamento della presunzione di rilascio della procura in Italia una serie di elementi, quali l’assenza di ogni indicazione del luogo e della data di rilascio della procura, la pacifica stabile residenza del ricorrente in un paese non facente parte della Comunità Europea, la mancanza di dimostrazione di un suo ingresso in Italia, eventualmente attraverso l’esibizione del passaporto o di documenti di viaggio, nonché il suo comportamento processuale e, in particolare, la mancata comparizione in udienza per rispondere all’interrogatorio formale deferitogli. In proposito deve rilevarsi che, come emerge dalla sentenza impugnata, l’interrogatorio formale era stato deferito sulla circostanza relativa al luogo in cui la procura a margine del ricorso era stata sottoscritta la mancata risposta rappresenta pertanto un fatto qualificato riconducibile al più ampio ambito del comportamento della parte nel processo cui il giudice puo’ riconnettere valore di ammissione dei fatti dedotti e così di prova, secondo la sua prudente valutazione Cass. 13 novembre 1997, n. 11233 Cass. 12 dicembre 2005, n. 27320 . A cio’ deve aggiungersi che la parte non trascrive il contenuto della procura, non deposita l’atto contestualmente al ricorso per cassazione né infine fornisce precise indicazioni per un facile reperimento dell’atto nel presente giudizio. Allo stesso modo non indica e non specifica con quale atto, in quali termini ed in quale fase processuale avrebbe fatto rilevare le circostanze idonee a giustificare la mancata comparizione della parte a rendere l’interrogatorio formale, le quali avrebbero dovuto essere allegate e dimostrate nel giudizio di primo grado e non dedotte per la prima volta in appello né per contrastare le conseguenze di ordine probatorio che il giudice ne ha tratto a norma dell’art. 232 c.p.c. cfr. Cass., 8 febbraio 1963, n. 222 . Sotto tale profilo il motivo di ricorso difetta di specificità e di autosufficienza. 5. L’infondatezza del primo motivo di ricorso assorbe l’esame del secondo motivo di ricorso il quale riguardando l’eccezione di prescrizione, ossia una questione preliminare di merito logicamente successiva, suppone che il processo sia stato validamente instaurato. L’accertamento della insussistenza dello ius postulandi preclude ogni ulteriore esame nel merito. 6. Poiché il giudizio di primo grado è stato introdotto nell’anno 2005, dunque successivamente alla riforma dell’art. 152 disp. att. cod.proc.civ., disposta dall’art. 42, del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326, le spese del giudizio seguono la soccombenza, non avendo la parte ricorrente dichiarato di aver assolto in primo grado l’onere autocertificativo previsto dall’art. 152 disp. att. c.p.c P.Q.M. La corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 1.100,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali e altri accessori di legge.