Statale di giorno, escort online di notte: licenziato. Nessuna discriminazione

Respinta la tesi proposta dal lavoratore, dipendente di una Provincia l’allontanamento non è legato al suo orientamento sessuale. Fatale, invece, la attività di prostituzione da lui svolta online, e il danno d’immagine causato all’ente pubblico.

Lettera anonima consegnata in un ufficio della Provincia lo scritto segnala le attività hot di un dipendente, operativo come escort su diversi siti web. Per il lavoratore scatta il licenziamento in tronco. I legali dell’ente pubblico ritengono evidente il danno d’immagine subito. Ora i Magistrati fanno chiarezza, confermando il drastico provvedimento ed escludendo che esso possa essere considerato discriminatorio, cioè legato all’orientamento sessuale del lavoratore Cassazione, sentenza n. 12898/16, sezione Lavoro, depositata il 22 giugno . Lettera. Profondo Nord. Territorio ampio, comprendente numerosi Comuni, e con una popolazione che conta oltre 160mila abitanti. Questo lo scenario della complicata vicenda che vede contrapposti una Provincia e un – oramai ex – dipendente. A far scoppiare il caso – con inevitabile eco mediatica – è uno scritto anonimo, che segnala la prostituzione realizzata da un dipendente della Provincia su alcuni siti internet . L’uomo, per farla breve, di giorno è un normale impiegato statale – peraltro, con una certa visibilità , alla luce del ruolo esterno rivestito come istruttore informatico – e di notte, secondo quanto raccontato da un ignoto cittadino, si offre come escort online. Inevitabile l’indagine da parte dei vertici dell’ente pubblico. I riscontri ottenuti conducono al licenziamento del lavoratore. Tale provvedimento è comprensibile, secondo i giudici del Tribunale e della Corte d’appello, poiché la pubblica e riconoscibile attività di prostituzione esercitata su alcuni siti internet era chiaramente lesiva del prestigio e dell’immagine della Provincia e, in generale, della pubblica amministrazione . Respinta, quindi, la tesi, proposta dal legale dell’impiegato, secondo cui il licenziamento è discriminatorio , cioè connesso al suo orientamento sessuale . Prostituzione. A chiudere la complicata vicenda provvedono ora i magistrati della Cassazione. E la decisione – assunta a fine gennaio e motivata oggi – è ancora una volta sfavorevole al lavoratore, che si può considerare definitivamente ex dipendente della Provincia. Per i Giudici, difatti, il licenziamento deciso dall’ente pubblico non è stato affatto discriminatorio . Appare evidente che il provvedimento è stato assunto esclusivamente in relazione all’attività di prostituzione pubblicamente esercitata dall’impiegato su alcuni siti web, in cui egli offriva le proprie prestazioni sessuali a pagamento con un annuncio corredato da tariffario, rimborso spese, supplemento per le riprese con telecamere e da fotografie che ne ritraevano il volto , e tale attività, è altrettanto evidente, è ritenuta lesiva dell’immagine dell’ente, in quanto gettava discredito sulla Provincia . Tutto ciò consente ai magistrati di smentire l’ottica proposta dal legale del lavoratore. Non si può parlare di licenziamento discriminatorio , bensì si deve parlare di licenziamento per giusta causa che punisce comportamenti tenuti dal dipendente al di fuori dell’attività di lavoro ma ritenuti tali da influire sugli obblighi discendenti dal rapporto con l’ente. Non vi è, difatti, alcun riferimento all’orientamento sessuale dell’uomo, e nella contestazione disciplinare si legge che il lavoratore è stato allontanato per avere esercitato attività prostitutiva sia essa omo o etero e non per il suo orientamento sessuale .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 27 gennaio – 22 giugno 2016, numero 12898 Presidente Napoletano – Relatore Riverso Svolgimento del processo Con sentenza numero 295/2013, pubblicata il 26.4.2013, la Corte d'Appello di Torino, respingeva l'appello avverso la sentenza resa dal giudice del lavoro del tribunale di Verbania, che aveva rigettato la domanda svolta da B.C. nei confronti della Provincia dei Verbano, Cusio Ossola, con la quale egli chiedeva accertarsi la nullità dei licenziamento discriminatorio, poiché fondato sull'orientamento sessuale, intimatogli dalla datrice di lavoro il 28.9.2011, con effetto dal 28.12.2011 con conseguente condanna dell'Ente convenuto alla reintegrazione nel posto di lavoro ex articolo 18 l. 300/1970 ed al risarcimento del danno retributivo, biologico, esistenziale e morale. A fondamento della decisione, la Corte sosteneva che la domanda fosse infondata in quanto il licenziamento non era stato intimato in ragione dell'orientamento sessuale dei dipendente, bensì in ragione della pubblica e riconoscibile attività di prostituzione da egli esercitata su alcuni siti internet attività chiaramente lesiva dei prestigio e dell'immagine della Provincia ed in generale della Pubblica Amministrazione, anche a motivo della visibilità del lavoratore, atteso il ruolo esterno rivestito come istruttore informatico. Per la cassazione di questa sentenza ha interposto ricorso il lavoratore con 5 motivi ed avanzando, in via preliminare, istanza per la sospensione dei giudizio, pendendo in Cassazione ricorso promosso dal competente Garante per la Protezione dei Dati Personali avverso la sentenza del tribunale di Verbania numero 402/2012 del 13.6.2012 che aveva annullato il provvedimento che vietava alla Provincia il trattamento, in quanto illegittimo, dei dati personali sensibili del B. utilizzati ai fini dei procedimento disciplinare che aveva condotto al licenziamento di cui si tratta ed acquisiti a seguito di una lettera anonima che segnalava lo svolgimento della stessa attività prostitutiva da parte del dipendente su alcuni siti internet. Resiste la Provincia del Verbano Cusio Ossola, con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art . 378 c.p.c. Motivi della decisione 1.- Deve essere chiarito, preliminarmente, che nelle more di questo giudizio, per come risulta pure concordemente addotto dalle parti nelle memorie ex articolo 378 c.p.c., la Corte di Cassazione sezione I civile ha pronunciato con sentenza numero 21107/2014 nel giudizio avente ad oggetto il ricorso promosso dal competente Garante per la Protezione dei Dati Personali avverso la sentenza tribunale di Verbania 402/29012 del 13.6.2012 che aveva annullato il provvedimento che vietava alla Provincia il trattamento dei dati personali sensibili del B., acquisiti su internet ed utilizzati ai fini dei licenziamento di cui si tratta. Non occorre pertanto pronunciarsi sulla richiesta di sospensione del giudizio avanzata da parte ricorrente per pregiudizialità ex articolo 295 c.p.c. 2. Va aggiunto che con la medesima sentenza numero 21107/2014 la Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio l'impugnata sentenza dei Tribunale di Verbania ed ha definitivamente sancito la legittimità del provvedimento numero 468 dei 6.12.2011 con cui il Garante per la Protezione dei Dati Personali aveva fatto divieto alla Provincia di trattare ulteriormente le informazioni relative alla vita sessuale di B.C., in difetto delle condizioni richieste dal D.Lgs. 30 giugno 2003, numero 196, per il trattamento dei relativi dati dalla corte definiti supersensibili finalizzato alla gestione del rapporto di lavoro. Pur tuttavia, vanno negate ricadute da parte della predetta pronuncia all'interno del presente giudizio che ha ad oggetto il ricorso avverso la sentenza che ha riconosciuto legittimo il licenziamento del dipendente. Tanto perché nessun motivo di impugnazione è stato presentato in questo giudizio in merito all'utilizzazione dei dati effettuata dal datore di lavoro per emettere il licenziamento. Ed è pertanto pure passato in giudicato il capo della sentenza d'appello che ha riconosciuto testualmente la liceità delle verifiche effettuate dalla Provincia in quanto volte non all'acquisizione di dati sulla vita sessuale, ma unicamente a verificare la veridicità di quanto segnalato. La sentenza della Corte di Cassazione numero 21107/2014 non potrà dunque avere alcun effetto su questo aspetto conoscitivo e probatorio della vicenda per mancanza di devoluzione della questione all'interno di questo giudizio tanto che neppure esistevano i presupposti per la sospensione richiesta ex articolo 295 c.p.c. . Com'è noto, il giudizio di Cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall'ambito della denuncia attraverso i vizi dedotti. 3.- D'altra parte, come si vedrà, il ricorrente ha pure impugnato il licenziamento esclusivamente in ragione della ritenuta natura discriminatoria, ma non ha mai negato l'esistenza degli stessi fatti su cui il licenziamento è stato fondato. Sicchè per questo motivo la sentenza numero 21107714 non potrebbe avere effetto ai fini della decisione della presente controversia. 4.- Si deve quindi passare all'esame dei motivi di ricorso. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 420 c.p.c. sul mancato esperimento del tentativo di conciliazione e sulla mancata formulazione alle parti di una proposta transattiva. Il motivo è infondato siccome risulta dalla stessa sentenza impugnata che il tentativo sia stato effettuato in appello. 5.- Con il secondo motivo il ricorso deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cost, 112, 113, 115, 116, 132, 134 c.p.c. per il mancato espletamento di ogni attività istruttoria richiesta sia in primo che in secondo grado per dimostrare alcuni fatti e circostanze fondamentali ma rimasti oscuri. Il motivo è inammissibile e comunque infondato. Anzitutto perché non precisa di quali istanze istruttorie si trattasse e quale fosse il loro contenuto. D'altra parte, la Corte ha legittimamente affermato che l'istruttoria sui capitoli di prova testimoniale fosse superflua ai fini del decidere perchè le singole circostanze capitolate erano già documentate, ultronee ai fini dei decidere e superate dai documenti. Si tratta di una motivazione incensurabile in quanto, secondo l'orientamento giurisprudenziale consolidato di questa Corte, il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prove che ritenga più attendibili ed idonee alla formazione dello stesso, essendo sufficiente, ai fini della congruità della motivazione dei relativo apprezzamento, che da questa risulti che il convincimento nell'accertamento dei fatti si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti al giudizio, considerati nel loro complesso. Conseguentemente, ai fini di una corretta decisione, il giudice non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, ne' a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l'iter seguito nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata Cass. 3601 del 20/02/2006, Cass. Sentenza numero 10896 del 30/10/1998 . 6.- II terzo motivo dei ricorso deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 4 1.604/1966, nonchè dell'articolo 15 dello Statuto dei lavoratori attesa la palese natura discriminatoria del licenziamento intimato al B. per orientamento sessuale . Ciò anzitutto perché i comportamenti posti a base del licenziamento si sarebbero svolti tutti nell'ambito della vita privata ed al di fuori dell'ambito lavorativo. In secondo luogo perché la dizione civil servant contestatagli dalla Provincia non è stata da lui utilizzata su siti di pubblico accesso www.easyescort.net www.bikerescort.blogspot.com , bensì nella pagina della community Gayromeo, situata nella sezione user di questo social-network rivolto prevalentemente a persone omosessuali o bisessuali. Nei siti escort da lui frequentati non compariva invece alcun riferimento all'Ente. Anzi in altra sezione dei sito gayromeo risultava come proprio riferimento territoriale la Lombardia. Non c'era quindi nesso alcuno tra il presunto danno all'immagine sollevato dalla Provincia e la posizione personale del dipendente. La stessa Provincia aveva riconosciuto espressamente nella determinazione del 3790 del 28.9.2011 l'assoluta irrilevanza di quanto pubblicato da B.C. sul sito gay romeo.com. Da ciò secondo il ricorrente si evince che il licenziamento del B. tragga fondamento dall'orientamento sessuale. Risultando anche pacifico che non ricorrano gli estremi della giusta causa ex articolo 2119 c.c. o quelli del giustificato motivo ex articolo 3 l. 604/1966. 6.1. II motivo è infondato. Va ribadito che il procedimento per cassazione non è un terzo grado di giudizio ma un giudizio a critica vincolata su censure ovvero motivi di illegittimità della sentenza di secondo grado, in relazione a questioni ritualmente dedotte nei giudizi di merito. Nel caso in esame deve essere evidenziato che il licenziamento è stato impugnato in giudizio esclusivamente in ragione della ritenuta natura discriminatoria dello stesso con riferimento all'orientamento sessuale del dipendente mentre non è stato impugnato per la mancanza di giusta causa. 6.2. Detto ciò va chiarito che, come affermato dalla sentenza impugnata, il provvedimento di licenziamento è stato assunto esclusivamente in relazione all'attività di prostituzione pubblicamente esercitata dal B. su alcuni siti, in cui egli offriva le proprie prestazioni sessuali a pagamento con un annuncio corredato da tariffario, rimborso spese, supplemento per le riprese con telecamere e da fotografie che ne ritraevano il volto , attività ritenuta lesiva dell'immagine dell'Ente, in quanto gettava discredito sulla Provincia e su tutta la PA. Si è trattato di un licenziamento per giusta causa che punisce comportamenti tenuti dal dipendente al di fuori dell'attività di lavoro ma ritenuti tali da influire sugli obblighi discendenti dal rapporto. Esso non ha alcuna connotazione discriminatoria, nè diretta né indiretta tanto meno con riferimento all'orientamento sessuale. Come si legge nella contestazione disciplinare il ricorrente è stato licenziato per avere esercitato attività prostituiva sia essa omo o etero sessuale e non per il suo orientamento sessuale. 6.3. E' vero che nella prima contestazione era stato addebitato al dipendente anche il discredito causato alla Provincia ed alla PA nel suo complesso dalla dizione civil servant da egli utilizzata nella descrizione della posizione occupazionale, sulla pagina del portale network gayromeo frequentato da persone appartenenti alla comunità GLBT. Tuttavia, il provvedimento di licenziamento, motivatamente assunto il 28.9.2011 nei confronti del B., dopo i chiarimenti da lui forniti, non solo non fa più alcun riferimento a tale diverso fatto, ma ne esclude espressamente la rilevanza affermando che il comportamento del signor Cristiano B. è lesivo dell'immagine dell'Ente, non ha nulla a che vedere con l'orientamento sessuale di alcun dipendente ma risiede nella riprovazione sociale per l'esercizio della prostituzione omo o etero sessuale . Di più, la stessa Provincia ha riconosciuto testualmente nella determinazione del 3790 del 28.9.2011 l'assoluta irrilevanza di quanto pubblicato da B.C. sul sito gay romeo.com . ed ha inoltre precisato che la sanzione si riferisce esclusivamente all'annuncio pubblicato sui siti escort. 6.4. Ne discende pertanto che non sia possibile ancorare il licenziamento ad alcun riferimento, neppure remoto, di natura discriminatorio. In quanto la stesso provvedimento ha sanzionato, non l'orientamento sessuale del dipendente professato in siti frequentati dalla comunità GLBT, ma esclusivamente l'attività prostitutiva esercitata su altri siti, con danno per la PA. Correttamente perciò la Corte ha affermato che il provvedimento avesse fondamento solo nell'attività di prostituzione e non nell'orientamento sessuale e nelle scelte personali del B 6.5. Anche il riferimento alla discontinuità ed imprevedibilità della sua presenza in servizio effettuata nel provvedimento di licenziamento non ha connotato discriminatorio ed anche l'associazione allusiva ad altra attività, non ha valenza discriminatoria. 6.6. Poiché la domanda azionata dal ricorrente attiene esclusivamente alla natura discriminatoria dei licenziamento, risultano inammissibili le doglianze che fanno riferimento in questo giudizio alla insussistenza della giusta causa né può essere sindacata ora la proporzionalità della sanzione, posto che mai era stato sollevato prima questo specifico profilo di illegittimità. 6.7. Pertanto, non può essere sindacato se l'attività di prostituzione effettivamente esercitata dal dipendente tramite alcuni siti internetpossa di per sé ledere l'immagine o il prestigio dell'Ente e della PA, come ritenuto dall'Ente pubblico e confermato dalla Corte d'Appello. In quanto questa valutazione attiene alla fondatezza della ragione addotta e non comporta nullità, perchè non viola alcuna ragione di discriminatorietà. Per le stesse ragioni, è pure ininfluente valutare quale fosse la rilevanza della condotta del dipendente, l'entità del discredito disceso nei confronti della pubblica amministrazione, in che misura o meno i siti in discorso fossero accessibili a tutti oppure solo ad una utenza selezionata ovvero a persone maggiorenni che prestano specifica adesione mediante apertura di un profilo personale riservato solo a coloro che ne sono abbonati. 6.8. Analogamente, quand'anche si ritenesse di censurare la legittimità della affermazione della Corte secondo cui dalla stessa attività prostitutiva fosse derivato un automatico discredito. E si affermasse, invece, che per le modalità con cui la stessa condotta fosse esercitata, per il fatto che attenesse solo alla vita privata del dipendente, per le modalità di accesso non automatico o tutt'altro che facile a tali siti e per la loro settorialità per il fatto che nessuna pubblica segnalazione ci fosse mai stata e che la scoperta fosse avvenuta solo dietro lettera anonima o anche perchè essa fosse in sé e per sé attività da ritenersi del tutto lecita o addirittura socialmente rilevante come pretende il ricorrente . E che pertanto - tutto questo considerato - dalla medesima condotta del dipendente non fosse derivato alcun pregiudizio alla PA anche in tale ipotesi, non si potrebbe comunque sostenere - ad avviso di questo Collegio - che da ciò derivi la prova di una identificabile ragione di discriminatorietà del licenziamento come quella per orientamento sessuale allegata a fondamento della domanda . 6.9. Si tratterebbe bensì di una valutazione che comporta illegittimità e mancanza della ragione giustificativa addotta, ma che non conduce alla violazione di alcun divieto discriminatorio. E dunque, seppure dovesse ritenersi che non sussista la giusta causa perchè il fatto fosse lecito o non grave, esso non sarebbe perciò solo discriminatorio e la domanda sarebbe comunque da respingere per carenza di specifica allegazione. Infatti qualora il lavoratore agisca in giudizio deducendo il motivo discriminatorio del licenziamento, l'eventuale carenza di giusta causa, pur ricavabile da circostanze di fatto allegate, integra un ulteriore, e non già compreso, motivo di illegittimità del recesso, come tale non rilevabile d'ufficio dal giudice e neppure configurabile come mera diversa qualificazione giuridica della domanda cfr. Cass. Sez. L, Sentenza numero 13673 del 03/07/2015 . 7.- II quarto motivo solleva violazione e falsa applicazione dell'articolo 3 comma 7 , dell'articolo 3 comma 1 lettera a e d del CCNL 11.4.2008, dell'articolo 84 lettera a dei DPR numero 3/1957 e articolo 8 delle CEDU in relazione alla modalità eseguita per giungere alla destituzione dei B. in quanto basato su norme come l'articolo 3 comma 7, dell'articolo 3 comma 1 lettera a e d del CCNL 11.4.2008, e come l'articolo 84 lettera a del DPR numero 3/1957 disapplicate da disposizioni legislative successive rispettivamente dal d.lgs. 150/2009 e 165/2001 . Il motivo è inammissibile in quanto non indica dove la stessa censura fosse stata sollevata nelle fasi precedenti. Si tratta inoltre di un motivo irrilevante perché l'unica domanda svolta in giudizio è quella fondata sulla nullità per discriminatorietà e non sull'erroneità dei riferimenti normativi posti a base del licenziamento. 8.- Il quinto motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 Cost. , 112 e 113 c.p.c., in relazione al danno alla salute , biologico esistenziale arrecati al B. in seguito alla condotta ed agli atti della Provincia nonché al successivo licenziamento. Il quinto motivo è inammissibile perché non ha rilievo autonomo, essendo evidente che non si può censurare l'omessa pronuncia da parte della Corte territoriale in relazione a domande la cui valutazione era rimasta assorbita in sentenza per il rigetto di quella logicamente pregiudiziale, attinente alla legittimità del licenziamento. 9. Le considerazioni sin qui svolte impongono dunque di rigettare il ricorso e di condannare il ricorrente, rimasto soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo. 10. Non sussistono i presupposti di cui all'articolo 13,comma 1-quater D.P.R. numero 115 del 2002 per il versamento da parte dei ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, attesa l'attuale condizione del ricorrente di ammesso al patrocinio a spese dello Stato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 100 per esborsi ed in € 3500 per compensi professionali, oltre accessori. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater D.P.R. numero 115 del 2002 si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.