Cure specialistiche in Francia, danni causati dalle trasfusioni: indennizzo per il cittadino italiano

Respinte le obiezioni mosse dal Ministero della Salute. Lo Stato obbligato a risarcire un uomo che ha contratto l’epatite B a seguito di alcune trasfusioni effettuate in un ospedale di Parigi. Irrilevante il fatto che il problema sia nato per cure subite all’estero. A maggior ragione quando, come in questa vicenda, il viaggio in Francia era necessario per sottoporsi a cure specialistiche non garantite dal Servizio sanitario nazionale.

‘Viaggio della speranza’ in Francia per affrontare un tumore. Non disponibili in Italia, difatti, le cure specialistiche necessarie. Ma il ritorno in patria è poco felice viene rilevata la presenza di ‘epatite B’, contratta a causa delle trasfusioni di sangue a cui l’uomo è stato sottoposto in un ospedale di Parigi. A rendere ancora più triste la vicenda, poi, le resistenze dello Stato italiano che si mostra riluttante a versare l’indennizzo previsto a favore delle persone danneggiate da sangue infetto. A fare chiarezza, però, provvedono i magistrati il Ministero della Salute, volente o nolente, dovrà risarcire il cittadino italiano. Assolutamente irrilevante il fatto che il contagio sia stato provocato da interventi di tipo trasfusionale effettuati all’estero Cassazione, sentenza n. 11018, sezione Lavoro, depositata il 27 maggio 2016 . Salute. Già in appello è stata respinta la visione proposta dal Ministero per i giudici, normativa alla mano, non è precluso il diritto all’indennizzo sol perché il contagio è derivato dalle trasfusioni subite in una struttura ospedaliera di Parigi. Significativo, a questo proposito, anche un ulteriore elemento, emerso dalla ricostruzione della vicenda il cittadino italiano è stato colpito da una particolare patologia tumorale che richiede cure altamente specialistiche non disponibili in Italia, e così è stato costretto a sottoporsi a interventi chirurgici all’estero, a Parigi , dove purtroppo l’emotrasfusione subita ha causato lo sviluppo dell’epatite, con conseguenti danni permanenti . Per completare il quadro, e confermare il diritto del cittadino a ottenere l’indennizzo da parte dello Stato, i Magistrati della Cassazione pongono in evidenza un dato fondamentale il trattamento sanitario eseguito all’estero è stato autorizzato al ‘Servizio sanitario nazionale’ . E tale ‘via libera’ è stato concesso perché l’intervento è stato considerato come necessario per tutelare al meglio il diritto alla salute del cittadino italiano . Tutto ciò conduce a respingere le obiezioni del Ministero della Salute. Indennizzo confermato per il cittadino italiano. E ribadito dai Magistrati un principio fondamentale l’intervento terapeutico all’estero reso necessario dalle deficienze del ‘Servizio sanitario nazionale’ e regolarmente autorizzato dallo Stato va inquadrato, comunque, nell’ottica della protezione predisposta dalla legge per la tutela della salute del cittadino italiano .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 2 marzo – 27 maggio 2016, n. 11018 Presidente Mammone – Relatore Amendola Svolgimento del processo 1.- Con sentenza del 30 agosto 2010, la Corte di Appello di Salerno ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva condannato il Ministero della Salute al pagamento dell'indennizzo previsto dalla legge n. 210 del 1992 in favore di C.M. per aver contratto l'epatite B a seguito di una trasfusione effettuata presso un ospedale di Parigi. La Corte territoriale ha premesso in fatto che il M., in seguito ad una patologia tumorale, fu costretto, data la particolarità dell'affezione rabdomiosarcoma-varietà alveolare e la necessità di cure altamente specialistiche, previa autorizzazione delle competenti autorità nazionali, a sottoporsi ad interventi chirurgici all'estero, in particolare presso l'Ospedale Robert Debrè di Parigi e che sottoposto a vari cicli di emotrasfusione, sviluppò purtroppo, come in seguito accertato, il virus dell'epatite, riportando con ciò dei danni permanenti . Su tali circostanze di fatto ha poi escluso che il solo dato letterale dell'art. 1, comma 3, della legge n. 210 del 1992 precludesse il diritto all'indennizzo per la circostanza che il contagio fosse derivato da interventi di tipo trasfusionale effettuati all'estero. 2.- Per la cassazione di tale sentenza il Ministero della Salute ha proposto ricorso affidato ad un motivo. Il M. ha resistito con controricorso. Motivi della decisione 3.- Con l'unico articolato motivo si denuncia violazione di legge in relazione al combinato disposto dell'art. 1, commi 1 e 3, della legge n. 210 del 25 febbraio 1992, che non consentirebbe di erogare l'indennizzo a quanti abbiano subito il contagio per effetto di emotrasfusioni eseguite all'estero. Si sostiene che la legge n. 210 del 1992 contiene elementi i quali inequivocabilmente depongono per la sua applicabilità ai soli casi di infezione da HIV o di epatiti contratte a seguito di trasfusioni o somministrazione di emoderivati effettuate nell'ambito di strutture sanitarie italiane. 4.- Il ricorso è infondato per le ragioni già espresse da questa Corte in Cass. n. 28435 del 2013 che il Collegio ritiene di poter condividere. Pur dovendosi dare atto, come ricordato dal Ministero ricorrente, che la legge n. 210 del 1992 contiene elementi dai quali è possibile evincere la sua ordinaria applicabilità ad ipotesi di infezione da HIV o di epatiti contratte per trasfusioni o somministrazione di emoderivati operate in ambito di strutture sanitarie italiane cfr. Cass. n. 753 del 2005 , questa Corte, con il più recente precedente innanzi citato, ha avuto cura di precisare la peculiarità dell'ipotesi in cui il trattamento sanitario eseguito all'estero risulti autorizzato dal Servizio Sanitario Nazionale. Quando l'intervento sanitario all'estero è considerato dalla legge come necessario per tutelare al meglio il diritto alla salute del cittadino italiano, ovvero nei casi in cui le stesse prestazioni effettuate all'estero sono ricondotte dalla legge all'interno del sistema di assistenza pubblica sanitaria garantita ai cittadini - osserva la pronuncia citata - ciò che rileva è unicamente la situazione patologica del beneficiario, rispetto alla quale la circostanza che il contagio sia avvenuto per trasfusione effettuata nel corso di intervento chirurgico in struttura sanitaria estera non assume significato scriminante rispetto al riconoscimento del beneficio. In tali casi le limitazioni alla concessione del beneficio in funzione del luogo dell'intervento configurerebbero un vulnus nella sfera dì protezione della salute del cittadino, provocando la menomazione di un diritto costituzionalmente protetto anche nell'interesse della collettività e la diminuzione delle tutele che la legge appresta, limitandosi in tal modo la protezione legale della salute all'estero alla copertura dei costi della prestazione, senza ricomprendervi tutte le altre conseguenze derivanti dagli stessi interventi quando vengano praticati all'interno dello Stato. L'interpretazione indicata dal Ministero anche sotto altro profilo confliggerebbe con i principi costituzionali perché, oltre a ledere l'effettività della protezione del bene salute tutelato dall'art. 32 Cost., determinerebbe l'introduzione di una irragionevole disparità di trattamento tra cittadini coloro che hanno possibilità di curarsi in Italia e quelli che invece sono costretti ad andare all'estero per curarsi non giustificata alla luce della natura assistenziale del beneficio. La sentenza n. 28435 del 2013 ha altresì evidenziato che neanche la considerazione che la misura di sostegno assistenziale sia, nell'ipotesi diversa da quella delle vaccinazioni obbligatorie, disposta dal legislatore nell'ambito dell'esercizio - costituzionalmente legittimo - dei suoi poteri discrezionali, può indurre a conclusioni diverse da quelle finora illustrate, non potendo, sotto altro versante, le ragioni interpretative connesse alla impraticabilità da parte della commissione medica del controllo delle norme tecniche in uso in ambito intracomunitario rilevare ai fini prospettati. Ed invero, tutte le risoluzioni sulla sicurezza e l'autosufficienza del sangue, per finire alla direttiva 12202198/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 gennaio 2003, stabiliscono norme di qualità e di sicurezza per la raccolta, il controllo, la lavorazione e conservazione e distribuzione del sangue umano e dei suoi componenti e la compilazione della scheda informativa dei dati relativi alla trasfusione o alla somministrazione da parte del medico che effettui le stesse L. . 210 del 1992, art. 3, comma 6 è funzionale all'accertamento del nesso causale tra infermità o lesioni e la trasfusione o somministrazione di emoderivati, attraverso un parere espresso dalla Commissione medica, avverso il quale è previsto il ricorso in sede amministrativa, secondo un iter procedimentale che deve precedere il ricorso in sede giudiziaria. Ciò, tuttavia, non è ostativo all'estensibilità del beneficio in relazione a conseguenze dannose verificatesi per effetto dì trasfusioni e somministrazione di sangue ed emoderivati praticate in strutture sanitarie estere quando l'intervento sia legalmente autorizzato, non potendo ritenersi che l'omissione od impraticabilità degli accertamenti in sede amministrativa possa, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata, essere di impedimento alla azionabilità della pretesa in sede giudiziaria . Conclusivamente deve essere ribadito il principio secondo cui l'intervento terapeutico all'estero necessitato dall'esigenza di sopperire a deficienze del Servizio Sanitario Nazionale e da questo preventivamente autorizzato nella verificata sussistenza dei presupposti di legge deve essere fondatamente ricondotto nell'ambito della protezione predisposta dalla legge per la tutela della salute del cittadino italiano ai fini dell'erogazione dell'indennizzo di cui alla l. n. 201 del 1992. 5.- Ciò posto, poiché nella specie è stato accertato dalla Corte territoriale - come ricordato nello storico della lite - che il M. fu costretto, data la particolarità dell'affezione e la necessità di cure altamente specialistiche, previa autorizzazione delle competenti autorità nazionali, a sottoporsi ad interventi chirurgici all'estero per i quali fu sottoposto a vari cicli dì ernotrasfusione da cui sviluppò il virus dell'epatite, il ricorso deve essere respinto. Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 2.100,00, di cui euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali ed agli accessori di legge.