Sempre più difficile spuntarla in Cassazione

A seguito della riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé e purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 6763 depositata il 7 aprile 2016. Il caso. La Corte di appello di Ancona, in riforma della pronuncia di primo grado, rigettava la domanda di una lavoratrice diretta ad ottenere l’accertamento della illegittimità del licenziamento per giusta causa comunicatole per avere - negli anni 2009, 2010 e 2011 - omesso il versamento degli importi di 30 contrassegni riscossi, in sede di consegna, nella sua qualità di addetta al recapito, per un valore complessivo pari a circa Euro 1.200,00. Contro tale sentenza la lavoratrice proponeva ricorso alla Corte di Cassazione, articolando vari motivi. Dal 2012 il controllo di legittimità è ancora più limitato . In particolare, ed in estrema sintesi, la ricorrente lamentava l’errata valutazione da parte dei giudici di merito di numerose risultanze istruttorie che, a suo dire, aveva cagionato una motivazione perplessa e incomprensibile . Motivi che tuttavia vengono ritenuti dalla Cassazione in parte inammissibili ed in altra parte infondati. È infatti principio consolidato quello per cui l’individuazione delle fonti del convincimento, e quindi la valutazione delle prove ed il controllo sulla loro attendibilità, spetta al Giudice di merito Cass. nn. 1414/2015 13054/2014 10213/2007 . Ciò premesso, il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. come modificato dal d.l. n. 83/2012 prevede che la sentenza può essere impugnata per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” . Locuzione che, secondo l’interpretazione che è stata offerta dalle SS.UU. sentenza n. 8053/2014 , comporta un’ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, sulla motivazione di fatto . Viene salvaguardato solo il minimo costituzionale . In particolare, ad avviso delle Sezioni Unite, la novella comporta una riduzione al minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione . Risulta quindi denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata a prescindere dal confronto con le risultanze processuali . Anomalia che, in concreto, si traduce nella mancanza assoluta dei motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile ed escludendo qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza” della motivazione . In altre parole, ad avviso della Cassazione, il vizio di motivazione si restringe oggi alla violazione di legge che, nella specie, è l’art. 132 c.p.c. ove impone al giudice di indicare nella sentenza la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione . La motivazione insufficiente” non è più causa di censura. A seguito della riforma del 2012, pertanto, è scomparso il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, residuando solo il controllo sulla esistenza sotto il profilo della assoluta omissione o della mera apparenza e sulla coerenza sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta della motivazione. Difetti che nella specie non erano attribuibili alla pronuncia di secondo grado la quale, con motivazione logica e coerente, dava conto delle ragioni del decisum . Le censure erano comunque infondate anche nel merito. Premesso quanto sopra, per completezza espositiva la Corte chiarisce come le doglianze della lavoratrice siano anche infondate. Ed infatti, i giudici di merito avevano linearmente ricostruito la condotta della lavoratrice sotto il profilo soggettivo ed oggettivo, evidenziando la gravità della sua condotta in relazione alla natura del rapporto di lavoro ed alla delicatezza delle mansioni da lei svolte, sicché l’addebito mosso risultava talmente grave da far venir meno la fiducia datoriale nel suo operato. Parimenti infondati erano, infine, i rilievi circa la pretesa tardività dell’avvio del procedimento disciplinare in quanto lo spazio temporale intercorso tra la conoscenza dei fatti e la loro contestazione non era risultato di ostacolo al pieno esercizio del diritto di difesa e la mancata affissione del codice disciplinare poiché i fatti contestati riguardavano doveri fondamentali del lavoratore, riconoscibili come tali senza necessità di specifica previsione .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 16 dicembre 2015 – 7 aprile 2016, n. 6763 Presidente Di Cerbo – Relatore Boghetich Svolgimento del processo 1. Il Tribunale di Ancona, in sede di opposizione ex art. 1, comma 51, legge n. 92 del 2012, riformando l’ordinanza del giudice della medesima sede, ha annullato il licenziamento per giusta causa intimato dalle Poste Italiane s.p.a. con lettera del 23 marzo 2012 ricevuta il 28 marzo 2012 a M.P. per il mancato versamento, nell’arco degli anni 2009, 2010 e 2011, degli importi corrispondenti a 30 contrassegni riscossi - in sede di consegna - dalla dipendente, in qualità di addetta al recapito, per la somma complessiva di Euro 1.189,22. Il Tribunale condannava la società a reintegrare la lavoratrice nel posto di lavoro ed a pagare una somma pari a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto, dedotto l’ aliunde perceptum . 2. In accoglimento del reclamo proposto dalla società, la Corte di appello di Ancona, con sentenza depositata il 9.7.2014, ha riformato la sentenza del Tribunale ed ha ritenuto legittimo il licenziamento. 3. Per la cassazione di tale sentenza la M. ha proposto ricorso affidato a cinque rectius sei motivi. La società ha resistito con controricorso. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo del giudizio, nonché violazione dell’art. 132, comma 4, c.p.c. avendo, la Corte territoriale, formulato una valutazione priva di riscontri oggettivi e probatori nonché viziata nello sviluppo delle argomentazioni logico-giuridiche circa la conoscenza, da parte della lavoratrice, di due reclami proposti dalla ditta Eurosped quale mittente di due raccomandate. La M. osserva che il giudice di appello è giunto alla conferma del licenziamento dando per scontato che la restituzione, all’ufficio contabile delle Poste Italiane, delle somme riscosse dai destinatari in sede di consegna dei plichi in contrassegno dopo alcuni anni ma in data precedente alla contestazione disciplinare sia stata effettuata nella consapevolezza della presentazione dei reclami da parte di una società mittente di due raccomandate, nonostante tale conoscenza non fosse emersa da alcuna fonte probatoria. Invero, i due reclami erano pervenuti al Centro Principale di Distribuzione - CPD delle Poste Italiane di omissis in data 2 novembre 2011, ufficio diverso da quello Presidio di Distribuzione - PDD di omissis ove la lavoratrice svolgeva la propria attività. La Corte territoriale aveva, pertanto, errato nel ritenere che la lavoratrice fosse informata dei reclami proposti da un utente e che le operazioni di restituzione delle somme a suo tempo riscosse da parte della lavoratrice, effettuate nei giorni del 3, 8 e 12 novembre 2011, non fossero state spontanee. 2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo del giudizio, nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 646 c.p. avendo, la Corte territoriale, adottato una motivazione perplessa e incomprensibile con riguardo all’aspetto soggettivo e al profilo dell’intenzionalità da parte della dipendente, non potendo ritenersi integrati gli elementi costitutivi del reato di appropriazione indebita e, di conseguenza, aspetti di gravità tali da configurare una giusta causa di licenziamento. 3. Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo del giudizio nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non avendo, la Corte territoriale, attribuito corretta valenza probatoria alla deposizione rilasciata dal testimone Lalli circa la detenzione di una mazzetta di banconote in un cassetto personale dell’ufficio postale. 4. Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo del giudizio nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, non avendo considerato correttamente, la Corte territoriale, l’intensità dell’elemento intenzionale della dipendente che aveva provveduto ad effettuare i versamenti relativi ai contrassegni senza essere a conoscenza dei reclami pervenuti alla società. 5. Con il quinto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, omessa e contraddittoria motivazione circa la valutazione di tempestività della contestazione disciplinare, inoltrata alla lavoratrice dopo un lasso di tempo pari a circa quattro mesi dalla presentazione del reclamo da parte della società utente del servizio postale. 6. Con un ulteriore quinto rectius sesto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo del giudizio nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 7, comma 1, della legge 20 maggio 1970, n. 300 avendo erroneamente ritenuto, la Corte territoriale, che non fosse necessaria l’affissione del codice disciplinare all’interno dell’ufficio postale, nonostante la condotta della lavoratrice non integrasse un comportamento avente intrinseco disvalore sociale ma configurasse esclusivamente un inadempimento agli obblighi imposti ai dipendenti dal regolamento interno circa le iscrizioni da effettuarsi sui registri dei contrassegni. 7. Le doglianze esposte con il primo, il secondo, il terzo ed il quarto motivo possono essere esaminate congiuntamente, attenendo tutte all’elemento soggettivo e al difetto di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato, e debbono ritenersi in parte inammissibili e in parte infondate. 7.1. Inammissibili laddove parte ricorrente sottopone e richiede a questa Suprema Corte un riesame delle circostanze di fatto e delle risultanze istruttorie laddove denuncia, inoltre, un vizio motivazionale in difetto dei requisiti richiesti dal novellato art. 360, primo comma, n. 5 trattandosi di sentenza pubblicata dopo l’11.9.2012 e ricadendo, pertanto, l’impugnazione sotto la vigenza della modifica apportata dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83 convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 . 7.2. Va premesso che secondo costante orientamento di questa Corte è devoluta al giudice di merito l’individuazione delle fonti del proprio convincimento e, pertanto, anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta - tra le risultanze probatorie - di quelle ritenute idonee ad accertare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro spessore probatorio, con l’unico limite dell’adeguata e congrua motivazione del criterio adottato ex plurimis Cass. n. 1414/2015, n. 13054/2014, n. 10213/2007, Cass. n. 16034 del 2002, Cass. n. 5964 del 2001 . Inammissibile risulta, quindi, la doglianza relativa alla maggiore attendibilità del testimone L. piuttosto che del testimone C. . 7.3. Il nuovo testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. prevede che la sentenza può essere impugnata per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” . L’intervento di modifica, come recentemente interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte, comporta un’ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, sulla motivazione di fatto. Con la sentenza del 7 aprile 2014 n. 8053, le Sezioni Unite hanno chiarito che la riformulazione dell’ad. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico , nella motivazione apparente , nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili ” e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile , esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione. Dunque, per le fattispecie ricadenti, ratione temporis , nel regime risultante dalla modifica dell’art. 360, primo comma, n. 5 , cod. proc. civ. ad opera dell’ad. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, il vizio di motivazione si restringe a quello di violazione di legge. La legge, in questo caso, è l’art. 132 c.p.c., che impone al giudice di indicare nella sentenza la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione ”. Perché la violazione sussista, secondo le Sezioni Unite, si deve essere in presenza di un vizio così radicale da comportare con riferimento a quanto previsto dall’art. 132, n. 4, cod. proc. civ. la nullità della sentenza per mancanza di motivazione . Mancanza di motivazione si ha quando la motivazione manchi del tutto oppure formalmente esista come parte del documento, ma le argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum . Pertanto, a seguito della riforma del 2012 scompare il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sulla esistenza sotto il profilo della assoluta omissione o della mera apparenza e sulla coerenza sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta . Nessuno di tali vizi ricorre nel caso in esame e la motivazione non è assente o meramente apparente, né gli argomenti addotti a giustificazione dell’apprezzamento fattuale risultano manifestamente illogici o contraddittori. In particolare, la Corte territoriale ha preso in considerazione la circostanza della restituzione delle somme, riscosse negli anni 2009-2010-2011 da parte della dipendente, in date precedenti l’invio della contestazione disciplinare, ma ha ritenuto che rappresentasse mero elemento di attenuazione, non decisivo, della gravità del fatto. 7.4. I motivi si appalesano, altresì, infondati in quanto la Corte territoriale nel caso di specie ha fatto corretta applicazione del richiamato orientamento giurisprudenziale, prendendo in esame l’intero quadro delle testimonianze assunte, dando conto delle dichiarazioni dei testi e valutando gli elementi documentali acquisiti, sicché il suo convincimento è sostenuto da adeguata e logica motivazione. Il giudice di appello ha ricostruito pertanto la condotta della M. in tutti i suoi profili soggettivo ed oggettivo evidenziandone la gravità in relazione alla natura del rapporto di lavoro e alla delicatezza delle mansioni di addetta al recapito svolte dalla lavoratrice, sicché l’addebito mosso appropriazione di somme rappresentanti il controvalore dei plichi consegnati era tale da far venir meno la fiducia del datore di lavoro nell’operato del dipendente in tal senso ex plurimis Cass. n. 10213/2007, Cass. n. 14507/2003, Cass. n. 6609/2003 . In questo quadro il giudice di appello ha ritenuto la sanzione espulsiva ampiamente giustificata ed adeguata alla gravità della condotta, la cui componente soggettiva è stata considerata sussistente per aver trattenuto, la M. , le somme da versare allo sportello dell’ufficio contabile in un ampio arco di tempo e per aver mantenuto una condotta fraudolenta attuata - giova ripetere - tramite una falsa attestazione nel registro che serviva per verificare gli importi da restituire ai mittenti dei plichi . La Corte, all’esito di una compiuta e dettagliata disamina del comportamento della lavoratrice nello specifico contesto fattuale, ha evidenziato, con motivazione adeguata e priva di vizi logici, che la M. ha trattenuto le somme ricevute dai destinatari dei plichi postali per vari anni, senza operare versamenti presso l’ufficio e, per di più, preordinando annotazioni false giova ripetere nel registro 28C , finalizzate ad evidenziare che non erano in sofferenza versamenti da eseguire alla sportelleria per la definitiva consegna agli aventi diritto . Tale congrua e logica motivazione non risulta oggetto di specifiche censure, sicché i motivi dal primo al quarto debbono rigettarsi. 8. Il quinto motivo è infondato. Come questa Corte ha già avuto occasione di affermare Cass. 1 luglio 2010, n. 15649 , in tema di licenziamento per giusta causa, l’immediatezza della comunicazione del provvedimento espulsivo rispetto al momento della mancanza addotta a sua giustificazione, ovvero rispetto a quello della contestazione, si configura quale elemento costitutivo del diritto al recesso del datore di lavoro, in quanto la non immediatezza della contestazione o del provvedimento espulsivo induce ragionevolmente a ritenere che il datore di lavoro abbia soprasseduto al licenziamento ritenendo non grave o comunque non meritevole della massima sanzione la colpa del lavoratore peraltro, il requisito della immediatezza deve essere inteso in senso relativo, potendo in concreto essere compatibile con un intervallo di tempo, più o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessità della struttura organizzativa dell’impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso, restando comunque riservata al giudice del merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustifichi o meno il ritardo . in senso conforme Cass. 6 maggio 2015 n. 9102 Cass. 10 settembre 2013, n. 20719 . Nella fattispecie in esame la Corte territoriale ha applicato correttamente tali principi nel momento in cui, con motivazione adeguata ed esente da vizi di carattere logico-giuridico, ha spiegato che il primo impulso all’accertamento dei fatti era pervenuto all’azienda solamente a novembre 2011, che l’istruttoria aveva poi dovuto riguardare la verifica incrociata dei registri dei contrassegni estesa all’arco triennale risalente, che le indagini si erano concluse il 10 gennaio 2012 e che, successivamente, tutto il materiale raccolto era passato al vaglio della Direzione delle Risorse umane competente per la valutazione e la decisione relativa alla promozione dell’azione disciplinare non era risultato, quindi, che la condotta aziendale avesse subito indebiti rallentamenti, per cui risultava proporzionato alla complessità degli episodi lo spazio temporale maturato sino alla contestazione degli addebiti del 24 febbraio 2012 cfr. con riguardo a valutazioni di analogo tenore dello spatium deliberandi di circa quattro mesi e relative alla stessa società intimata, cfr. Cass. 6 maggio 2015 n. 9102 . In definitiva, la Corte territoriale ha dimostrato di aver correttamente applicato il principio dell’immediatezza, rapportandolo alle diverse circostanze di fatto adeguatamente scrutinate e rilevando che lo spazio temporale intercorso tra la conoscenza dei fatti e la loro contestazione non era risultato di ostacolo al pieno esercizio del diritto di difesa da parte della lavoratrice, essendo, viceversa, del tutto compatibile con l’esigenza di pervenire ad un completo accertamento della verità dei fatti. 9. L’ultimo motivo, attinente alla mancata affissione del codice disciplinare, non è fondato. Il giudice di secondo grado ha affermato che l’addebito disciplinare concerneva l’appropriazione indebita di somme, perpetrata per vari anni, tale da integrare gli estremi di un reato contro il patrimonio. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini della validità del licenziamento intimato per ragioni disciplinari non è necessaria la previa affissione del codice disciplinare, in presenza della violazione di norme di legge e comunque di doveri fondamentali del lavoratore, riconoscibili come tali senza necessità di specifica previsione Cass. n. 22626/2013, Cass. n. 14997 del 2010 . Ritiene questa Corte, in applicazione del suddetto principio, al quale si intende dare continuità, che la condotta dell’appropriazione di somme consegnate dagli utenti del servizio postale contrasti, ex se, con il c.d. minimo etico o con norme penali. 10. Le spese di lite del presente giudizio seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella 31/1/2013 di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 , che ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice da atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso . Essendo il ricorso in questione avente natura chiaramente impugnatoria integralmente da respingersi, deve provvedersi in conformità. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento in favore della società resistente delle spese di giudizio di Cassazione, liquidate in euro 100,00 per esborsi nonché in euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Dichiara dovuto dalla ricorrente l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato.