Libertà d’impresa e libertà di licenziare

Anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 30 l. n. 183/2010, in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, resta insindacabile, nell’an e nel quomodo, la scelta effettuata dall’imprenditore per far fronte alle esigenze obiettive che si presentino all’impresa, potendo il giudice solo vagliare il rapporto causa-effetto tra le ragioni economiche ed il licenziamento.

Deve essere, comunque oggettivamente verificabile il fondamento delle giustificazioni addotte al licenziamento, questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 6501/2016, depositata il 4 aprile. Il giustificato motivo oggettivo di licenziamento. Una dipendente di una casa di cura veniva licenziata per giustificato motivo oggettivo in ragione della necessità di ottemperare alla normativa fissata da due decreti assessoriali regionali che imponevano di integrare l’organico con tre nuove figure socio sanitarie, sopprimendo i posti degli addetti ai servizi generali. La lavoratrice deduceva l’illegittimità del licenziamento che le era stato intimato dopo ben due anni dall’emanazione dei predetti decreti assessoriali, i quali, comunque, non avevano comportato l’eliminazione di tutti i posti degli addetti ai servizi generali. La Corte territoriale aveva avallato le difese della lavoratrice rilevando la non effettività della soppressione dei servizi generali ciò senza sindacare né la congruità della scelta di sopprimere i posti degli addetti ai servizi generali, né le tempistiche della riorganizzazione aziendale. Secondo la Suprema Corte, quindi, il giudice dell’appello era rimasto nel suo”, non aveva travalicato i limiti del proprio sindacato, imposti ex art. 41 Cost Libertà nella gestione dell’impresa. Prima di tutto, la Corte di Cassazione si sofferma sulla libertà di iniziativa economica, tutelata costituzionalmente, con riferimento alla libertà di licenziare. Bilanciamento è sempre delicato da un lato vi è l’insindacabilità della scelta imprenditoriale da parte dei giudici, dall’altro vi è l’effettività del riassetto organizzativo. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, il motivo oggettivo di licenziamento è determinato da ragioni inerenti l’attività produttiva, nel cui ambito rientra anche l’ipotesi di riassetto organizzativo per una più economica gestione dell’impresa. Le scelte dirette alla riorganizzazione dell’attività imprenditoriale spettano solo al datore di lavoro, in virtù dell’art. 41 Cost., e sono insindacabili da parte del giudice, il quale si deve limitare a verificare l’effettività del riassetto organizzativo operato. Ne consegue che non è sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità la scelta imprenditoriale di sopprimere un settore, un reparto o un posto di lavoro, sempre che risulti l’effettività e la non pretestuosità del riassetto. In questo consiste l’oggettività del licenziamento c.d. economico ed in ciò risiede anche la distribuzione dell’onere della prova il datore di lavoro deve dimostrare che vi sia un’effettiva e reale ragione economica che determina la soppressione di un posto di lavoro. I labili confini tra libertà d’impresa e valutazione del licenziamento. Da tale principio discende che il riassetto dell’attività aziendale costituisce la conclusione del processo organizzativo, ma non la ragione dello stesso, che, per imporsi sull’esigenza di stabilità, deve essere seria, oggettiva e non convenientemente eludibile. Nel caso di specie, quindi, la legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo deve essere valutata alla luce dell’effettiva necessità di ridurre l’organico in base all’imposizione dei decreti assessoriali. Se, da un lato, l’esigenza economica è stata provata, dall’altro lato, non è stata dimostrata la definitiva soppressione dei posti di lavoro coinvolti nella riorganizzazione, pertanto il licenziamento intimato alla lavoratrice è da considerarsi illegittimo. La scelta imprenditoriale non è sindacabileentro i limiti dell’oggettiva necessità di licenziare. I principi enunciati dalla Corte di Cassazione nella sentenza in commento e nelle precedenti pronunce conformi non sono sovvertiti dall’art. 30 l. n. 183/2010, secondo cui il controllo giudiziale è limitato esclusivamente all’accertamento del presupposto di legittimità e non può essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro . Tale disposizione ha ribadito l’insindacabilità nel merito delle scelte imprenditoriali, a condizione che esse traggano le premesse dalla situazione obiettiva nella quale si inseriscono e sulla quale si ripercuotono, necessariamente, i loro effetti.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 18 dicembre 2015 – 4 aprile 2016, n. 6501 Presidente Macioce – Relatore Torrice Svolgimento del processo 1. Con la sentenza in data 4.11.2013 la Corte di Appello di Catania, in riforma della sentenza del Tribunale di Catania, ha dichiarato la illegittimità del licenziamento intimato, in data 28.12.2001, da Villa Letizia srl a T.M.C. per giustificato motivo oggettivo necessità di ottemperare alla normativa fissata dai decreti assessoriali regionali del 13.10.1997 e del 29.4.1998, relativi ai nuovi standard strutturali e funzionali, di integrare l’organico con tre nuove figure professionali nel campo socio sanitario, di sopprimere i posti degli addetti ai servizi generali, impossibilità di ricollocamento della T. in altre funzioni . 2. La Corte territoriale ha condannato la società a reintegrare la T. nel posto di lavoro ed a pagare a quest’ultima l’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto maturata dal licenziamento alla effettiva reintegra ed al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali. 3. La Corte territoriale, sulla scorta della critica valutazione del materiale istruttorio raccolto nel giudizio di primo grado, ha escluso la sussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento. 4. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione Villa Letizia srl affidato a tre motivi, illustrati da successiva memoria. 5. Ha resistito con controricorso T.M.C. . Motivi della decisione 6. Con il primo motivo la ricorrente denunzia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 41, comma 1 della Costituzione, dell’art. 3 della legge 604/1966 e dell’art. 30 della legge 183/2010, dell’art. 1 comma 43 della legge 92/2012. 7. Afferma che dette norme sarebbero state violate nella parte in cui la Corte territoriale ha affermato che il licenziamento intimato alla T. era stato adottato a distanza di oltre due anni e mezzo dalla emanazione dei decreti dell’Assessorato Regionale e a distanza di oltre sei mesi dalla stipula della Convenzione con la AUSL n. X. 8. Sostiene che le ragioni inerenti l’attività produttiva ed i relativi tempi della loro attuazione sono rimesse alla valutazione del datore di lavoro senza la possibilità di sindacato giudiziale. 9. Con il secondo motivo denunzia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 e n. 5 c.p.c., violazione degli artt. 3 L. 604/1966 e 3 L. 108/1990 e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti. 10. Deduce che, contrariamente a quanto affermato nella sentenza, risultava provata la soppressione del servizio denominato servizi generali e che dall’avvenuta soppressione non discendeva l’obbligo di essa datrice di lavoro di risolvere tutti i rapporti di lavoro degli addetti a detto tale servizio. 11. Lamenta che la Corte territoriale non si sarebbe attenuta al principio secondo cui il licenziamento per soppressione del posto di lavoro non esige che vengano eliminate tutte le mansioni precedentemente svolte dal lavoratore licenziato, avendo il datore di lavoro il diritto di distribuirle diversamente, sulla base di insindacabili scelte organizzative. 12. Con il terzo motivo denunzia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione degli artt. 12118 c.c., 18 quarto comma della legge 1970 n. 300. 13. Sostiene che, secondo l’orientamento di questa Corte, la dichiarazione di invalidità del licenziamento non comporta, a norma dell’art. 18 L 300/1970, automaticamente la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno nella misura stabilita dal comma 4, con esclusione di ogni rilevanza dei profili di dolo o della colpa deduce che la irrilevanza degli elementi soggettivi varrebbe solo con riferimento alla misura minima di cinque mensilità sembra sostenere e, inoltre, che il lavoratore avrebbe dovuto provare, quanto alle mensilità eccedenti la misura minima, di non avere trovato dopo il licenziamento nuova occupazione altrettanto redditizia. 14. Esame dei motivi. 15. Il primo ed il secondo motivo di ricorso, correlati alla questione della sussistenza del giustificato motivo oggettivo ed ai limiti del sindacato del giudice del merito, vanno esaminati congiuntamente. 16. Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte, il motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva, nel cui ambito rientra anche l’ipotesi di riassetto organizzativo attuato per la più economica gestione dell’impresa, è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, atteso che tale scelta è espressione della libertà d’iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost., mentre al giudice spetta il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall’imprenditore. 17. Ne consegue che non è sindacabile, nei suoi profili di congruità ed opportunità, la scelta imprenditoriale, che abbia comportato la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente licenziato, sempre che risulti l’effettività e la non pretestuosità del riassetto organizzativo operato ex plurimis Cass. 12242 /2015, 25874/2014, 24235/2010 . 18. Questa Corte ha, inoltre, affermato che è posto a carico del datore di lavoro l’onere di dedurre e di dimostrare l’effettiva sussistenza del motivo addotto e, quindi, nell’ipotesi di licenziamento riconducibile ad un riassetto organizzativo dell’impresa, delle ragioni che giustificano l’operazione di riassetto, oltre che del relativo processo e del nesso di causalità con il licenziamento. 19. L’operazione di riassetto costituisce, infatti, la conclusione del processo organizzativo, ma non la ragione dello stesso, che, per imporsi sull’esigenza di stabilità, dev’essere seria, oggettiva e non convenientemente eludibile Cass. n. 12242 /2015, 7474/2012, 15157/2011 . 20. In proposito, è stato precisato che il riassetto organizzativo dell’azienda può essere attuato anche al fine di una più economica gestione dell’impresa, finalizzata a far fronte a sfavorevoli situazioni, non meramente contingenti, influenti in modo decisivo sulla normale attività produttiva Cass. n. 2874 del 2012 , purché di tali presupposti si dia adeguatamente conto in giudizio. 21. Nessun errore di diritto è stato commesso dalla Corte territoriale, la quale ha fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati alla fattispecie dedotta in giudizio. 22. Essa ha, infatti, posto a base del proprio decisum non solo la circostanza che i decreti assessoriali risalivano al 1997 e del 1998, mentre il licenziamento era stato adottato a distanza di oltre due anni e mezzo dalla data della loro emanazione e a distanza di oltre sei mesi dalla stipula della convenzione tra la società e la AUSL X di Catania, ma anche il fatto che il decreto assessoriale del 1997 prevedeva che tra il personale addetto alle CTA, con strutture sino ad un massimo di 40 posti letto, vi fosse anche la figura dei collaboratore amministrativo oltre a quella del cuoco, dell’addetto alla cucina e di un dirigente . 23. La Corte territoriale, inoltre, ha rilevato che dall’istruttoria espletata nel giudizio di primo grado era stato provato che non vi era stata la soppressione dei posti degli addetti ai servizi generali e, nemmeno, la soppressione tout court del servizio denominato servizi generali che l’unico licenziamento era stato quello della T. che gli altri addetti ai servizi generali erano rimasti in servizio, continuando a svolgere le medesime mansioni svolte prima del licenziamento di quest’ultima. 24. La soluzione adottata non è in contrasto con l’art. 30 della L. 183/2010 che al comma 1 dispone che In tutti i casi nei quali le disposizioni di legge nelle materie di cui all’art. 409 c.p.c., e al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 63, comma 1, contengano clausole generali, ivi comprese le norme in tema di instaurazione di un rapporto di lavoro, esercizio dei poteri datoriali, trasferimento di azienda e recesso, il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità al principi generali dell’ordinamento, all’accertamento del presupposto di legittimità e non può essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro o al committente . 25. Tale disposizione, cui si è aggiunta, con l’art. 43 comma 1 della legge 92/2012, la previsione che la sua inosservanza costituisce motivo di impugnazione per violazione di norme di diritto, espressamente richiamando i principi generali dell’ordinamento, afferma che devono operare anche quelli costituzionali posti a tutela del lavoro, nonché l’esigenza di stabilità che la disciplina limitativa dei licenziamenti in specie, quella operante all’epoca del licenziamento dedotto in giudizio perseguiva. 26. L’art. 30 comma 1 della legge 183/2010 non ha, pertanto, eliminato la necessità che le valutazioni tecniche, organizzative e produttive , insindacabili nel merito, siano, pur sempre, quelle che traggono le premesse dall’organizzazione produttiva e dalla situazione obiettiva nella quale esse si inseriscono, sulla quale ripercuotono necessariamente i loro effetti. 27. In conclusione, deve ritenersi che, in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, resta insindacabile, anche successivamente all’Introduzione nell’ordinamento giuridico delle disposizioni contenute nell’ art. 30 della L 183/2010, nell’an e nel quomodo la scelta effettuata dall’imprenditore per fare fronte alle esigenze obiettive che si presentino nell’impresa, potendosene solo vagliare il rapporto di causa-effetto con le ripercussioni sui rapporti di lavoro, ma il fondamento giustificativo cui esse assolvono deve essere, comunque, oggettivamente verificabile Cass. 23620 del 2015 . 28. In siffatta prospettiva, è innegabile, che la scelta Imprenditoriale della odierna ricorrente imprenditoriale di sopprimere il servizio denominato servizi generali era, e resta, insindacabile nei suoi profili di congruità e necessità. 29. Oggetto del sindacato della Corte territoriale nella sentenza impugnata, giova ribadirlo, è stata l’effettività di quella scelta. 30. La Corte del merito, Infatti, nel considerare non giustificato il licenziamento in esame, non ha in alcun modo travalicato i limiti del proprio sindacato, perché non ha operato alcuna valutazione di congruità della scelta della odierna ricorrente di sopprimere i posti degli addetti ai servizi generali, né dei tempi della riorganizzazione imprenditoriale, ma si è limitata ad accertare, nei limiti del sindacato che le era proprio, la non effettività della dedotta soppressione del settore servizi generali , al quale la T. era addetta. 31. In conclusione, ciò che ha accertato la Corte di appello è la concreta insussistenza della soppressione dei servizi generali. 1. Il secondo motivo, nella parte in cui è dedotto vizio di motivazione, è inammissibile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo applicabile ratione temporis la sentenza impugnata è stata pubblicata il 4.11.2013 , atteso che non risulta indicato quale è il fatto controverso e decisivo che si addebita alla Corte territoriale di non avere esaminato Cass. SSUU, sentenze n. i 8053 e 8054 del 2014 . 2. Va osservato, che, in realtà, le doglianze formulate con riferimento all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.comma si traducono in una inammissibile richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze, con un riesame del merito della causa, attraverso una diversa lettura delle risultanze processuali, estraneo al giudizio di legittimità. 32. Sul terzo motivo. 33. Il motivo è inammissibile, nella parte in cui sembra volto ad escludere la responsabilità della ricorrente, nella scelta di licenziare la lavoratrice. 34. Non risulta,infatti, dedotto se, e in quale atto processuale, sia stata posta la questione relativa all’esonero di responsabilità di cui all’art. 2118 c.c., né tampoco quali fossero gli elementi probatori, allegati ed acquisiti al giudizio, idonei ad escludere la colpa nella condotta compendiatasi nel licenziamento della T. . 35. Il motivo è infondato nella parte in cui, attraverso il richiamo alla sentenza di questa Corte 5898/1991, sembra dedurre l’erroneità della sentenza, nella parte in cui ha attribuito al lavoratore le retribuzioni maturate dalla data del licenziamento a quello della effettiva reintegrazione. 36. Ai sensi dell’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, il risarcimento del danno per il periodo intercorrente tra il licenziamento e la sentenza di annullamento dello stesso o la morte del lavoratore, illegittimamente licenziato avvenuta prima di tale sentenza si identifica, quanto al danno eccedente le cinque mensilità, dovute ex lege , nelle retribuzioni non percepite, salvo che il dipendente provi di aver subito un danno maggiore ovvero che il datore di lavoro provi l’ aliunde perceptum o la sussistenza di un fatto colposo del lavoratore in relazione al danno che il medesimo avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza ex multis Cass.10155/2005 Cass. SSUU 2762/1985 principio implicitamente ribadito in Cass. 17460/2013 . 37. Il ricorso va, in conclusione, respinto. 38. Le spese del giudizio seguono la soccombenza, con distrazione In favore dell’Avv.to A. Lombardo, dichiaratosi antistatario per le sole competenze e gli onorari. 39. Sussistono le condizioni oggettive richieste dall’art. 13, comma 1-quater del d.p.r. 115/2002 per il raddoppio del contributo unificato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio, liquidate in Euro 100,00 per esborsi ed in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre 15% per spese generali forfettarie, IVA e CPA, con distrazione in favore dell’Avv.to A. Lombardo dichiaratosi antistatario, per le sole competenze e gli onorari. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.