Aggressione solo verbale nei confronti del datore di lavoro: niente licenziamento

Smontata la visione adottata dall’azienda e concretizzatasi nella cacciata del dipendente. Non in discussione l’episodio attribuito all’uomo, ossia l’avere rivolto frasi forti all’indirizzo del presidente della società, ma ciò non è sufficiente per rendere legittimo il licenziamento.

Scontro verbale tra il lavoratore e il presidente dell’azienda in ballo ben 8 mesi di stipendi ancora non versati. L’uomo si rivolge a muso duro all’esponente della società Qua dentro mi sto zitto, ma fuori parliamo da pari a pari . Parole e rabbia non sufficienti, però, secondo i magistrati, per ritenere giustificato il licenziamento Cassazione, sentenza n. 6165/2016, Sezione Lavoro, depositata ieri . Pagamenti. Provvedimento durissimo, quello adottato dall’azienda, una società cooperativa del settore portuale dipendente messo alla porta, in via definitiva. Decisivo il fatto che l’uomo, ufficialmente in malattia, si sia recato nella sede sociale della cooperativa per rivendicare il pagamento di alcune spettanze economiche e, a fronte dell’invito del presidente ad attendere la disponibilità finanziaria della società, abbia proferito alcune espressioni sconvenienti e minacciose nel dialetto locale . Tale visione è ritenuta corretta dai giudici di merito evidente, a loro avviso, la gravità del comportamento volgare e intimidatorio tenuto dal lavoratore, una violazione piena della relazione di subordinazione nei confronti del datore di lavoro . E per completare il quadro accusatorio, poi, viene anche richiamato un precedente disciplinare a carico dell’uomo, sanzionato in passato per il rifiuto di cambiare turno e per l’abbandono del posto di lavoro . Parole. Fondamentale, sia per l’azienda che per i giudici, la frase Qua dentro mi sto zitto, ma fuori parliamo da pari a pari”, rivolta dal lavoratore al presidente della cooperativa. Ma, ribattono ora i legali dell’uomo, la valutazione compiuta tra primo e secondo grado è eccessivamente dura. Ciò perché, innanzitutto, la frase incriminata non aveva, sostengono i legali, alcun contenuto o intento di minaccia , ma era finalizzata solo ad evidenziare la consapevolezza della opportunità di tacere all’interno dei luoghi di lavoro . E, sempre secondo la linea difensiva, complessivamente le frasi rivolte al rappresentante della società non avevano carattere intimidatorio , alla luce del loro significato nel dialetto locale , e non erano contrarie al vivere civile , soprattutto tenendo presente l’uso comune di quelle parole nell’ambito di contesti sociali a bassa scolarizzazione , come quello del lavoratore. I legali puntano a mettere in discussione il licenziamento, ritenuto eccessivamente duro. Obiettivo pienamente raggiunto, sanciscono ora i magistrati della Cassazione. Decisiva la constatazione che la pronuncia di espressioni sconvenienti non è stata seguita dal passaggio alle vie di fatto , ossia alle mani. Il diverbio tra il lavoratore e il presidente della cooperativa è rimasto limitato all’ambito esclusivamente verbale. E ciò, contratto alla mano, non consente all’azienda di adottare la misura risolutiva , ossia l’allontanamento definitivo del dipendente. E, viene aggiunto in chiusura, la gravità dell’infrazione non può essere ricavata unicamente dai precedenti disciplinari del lavoratore, precedenti che, come in questa vicenda, non possono essere utilizzati per dare concretezza ad un addebito del tutto inidoneo a costituire giusta causa o giustificato motivo di licenziamento .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 18 dicembre 2015 – 30 marzo 2016, n. 6165 Presidente Roselli – Relatore Torrice Fatto e diritto 1. La Corte d'appello di Reggio Calabria, con sentenza depositata il I marzo 2013, in totale riforma della sentenza del Tribunale di Palmi, ha respinto il ricorso, proposto da C.G. nei confronti della Copmar Società cooperativa, volto alla declaratoria di illegittimità ed inefficacia del licenziamento intimato per giustificato motivo soggettivo in data 3 maggio 2005 ed alla pronunzia dei provvedimenti reintegratori economici e reali. 2. Ha ritenuto che non risultava contestato che il giorno 12.4.2005 il lavoratore, in malattia dal 29.3.2005 al 18.4.2005, si era recato presso la sede sociale della cooperativa per rivendicare il pagamento di alcune spettanze economiche e che, a fronte dell'invito del Presidente Tarantino ad atténdere la disponibilità finanziaria, aveva profferito alcune espressioni sconvenienti e minacciose nel dialetto locale. 3. Di contro, non era rimasto provato che il lavoratore, fuori dall'Ufficio, avesse pronunciato, nei confronti del Tarantino, una frase altrettanto volgare. 4. 11 riferimento, contenuto nella lettera di contestazione in data 15.4.2015, al fatto che il lavoratore, benché in malattia, si era recato negli uffici della azienda, consentiva di ritenere in nuce contestata la violazione dell'ars. 35 del CCNL, violazione richiamata nella lettera di licenziamento. 5. La fattispecie dell'abuso delle norme relative al trattamento di malattia, da intendersi come fittizio stato di malattia, prevista dalla norma collettiva sopra richiamata, doveva ritenersi realizzata. 6. Tanto perché era risultato dimostrato che il lavoratore non era ammalato, avuto riguardo all'energia manifestata il giorno 12.4.2005, e perché lo stesso lavoratore aveva dichiarato, in sede di libero interrogatorio, di avere in precedenza manifestato il proposito di mettersi in malattia in reazione al diniego della datrice di lavoro di pagare le spettanze economiche dovute. 7. In ogni caso, il contegno volgare e intimidatorio costituiva violazione delle norme della comune etica e del comune vivere civile e della relazione di subordinazione, la quale impone il rispetto da parte del lavoratore nei confronti del datore di lavoro. 8. La gravità dell'illecito doveva essere valutata anche con riguardo al provvedimento disciplinare in data 14.3.2005, richiamato nella comunicazione di licenziamento, con il quale era stato sanzionato il rifiuto manifestato dal C. di cambiare il turno e l'abbandono del posto di lavoro, condotte accompagnate dalla pronuncia di frasi intimidatorie. 9. L'elencazione delle fattispecie sanzionate con il licenziamento con preavviso, contenuta nell'ars. 35 del CCNL Porti, aveva mero valore esemplificativa. 10. Avverso detta sentenza C. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. 11. La Coopmar società cooperativa ha resistito con controricorso. 12, 1 motivi di ricorso 13. Il primo motivo denuncia, violazione e falsa applicazione degli artt. 7 legge 30011970, 115 e 116 c.p.c, ed, ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.comma omesso esame di un fatto controverso oggetto di discussione tra le parti. 14. 11 ricorrente sostiene che la Corte territoriale avrebbe errato nell'escludere la illegittimità del licenziamento a fronte della eccepita violazione del principio della specificità e della immutabilità della contestazione disciplinare, posto che nella sentenza impugnata era stato affermato che la contestazione dell'abuso del trattamento di malattia era stata fatta non in modo esplicito e chiaro. 15. Inoltre, la Corte territoriale avrebbe errato nel trascurare il fatto che la datrice di lavoro non aveva effettuato alcun accertamento in ordine alla sussistenza dello stato di malattia e che, pertanto, non era stata offerta alcuna prova sulla simulazione della malattia e, di conseguenza, sull'abuso delle norme sul trattamento di malattia. 16. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell'ari. 360 n. 3 c.p.comma violazione e falsa applicazione degli artt. 7 L. 30011970, 5 legge 60411966, 2967 e 2729 c.c., 111 comma 7 Cost. e, ai sensi dell'ari. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione 17. I1 ricorrente, richiamando quanto dedotto nel primo motivo sulla mancanza di prova in ordine alt' abuso delle norme sul trattamento di malattia, e precisato che mai la datrice di lavoro aveva chiesto di provare, in primo grado ed in appello, l'insussistenza della malattia lamenta che la Corte territoriale, pur in assenza di prova, avrebbe escluso lo stato di malattia desumendolo dalle dichiarazioni rese da esso ricorrente in sede di libero interrogatorio a proposito della manifestata intenzione di assentarsi per malattia, a fronte di precedente diniego della datrice di lavoro di pagargli le spettanze retributive, e dalle energie manifestate i1 12.4.2005 . 18. Afferma che la Corte territoriale avrebbe violato gli artt. 115 e 116 c.p. e. perché, a fondamento del suo convincimento, avrebbe posto fatti non provati dalla parte che era onerata della relativa prova e perché avrebbe introdotto, in violazione dell'art. 115 comma 2 c.p.comma il concetto di energia come fatto rientrante nella comune esperienza. 19. Afferma che la motivazione sul punto, per essere perplessa e incomprensibile, sarebbe in contrasto con l'art. 111 Cost. 20. Sostiene che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare che, se la malattia fittizia fosse stata la conseguenza del diniego di pagamento delle spettanze retributive, essa avrebbe dovuto seguire e non precedere il diniego. 21. li terzo motivo denunzia, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., violazione c falsa applicazione degli artt. 12 delle preleggi, 34 e 35 CCNL dei lavoratori dei porti, 115 e 116 c.p.comma e 1362 c.comma 22. Il ricorrente sostiene che, pur a volere ritenere simulato lo stato di malattia, la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto applicabile l'art. 35 lett. i del CCNL Porti, che punisce con il licenziamento con preavviso l'abuso delle norme relative al trattamento di malattia e non invece l'art. 34 dello stesso CCNL, che punisce con la sanzione conservativa della sospensione il lavoratore che si assenti simulando malattia o, con sotterfugi , si sottragga agli obblighi di lavoro. 23. La Corte territoriale avrebbe, in conseguenza, omesso di uniformarsi alla previsione contrattuale che sanziona in maniera meno grave la simulazione della malattia. 24. Il quarto motivo denunzia, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2106 , 2119 c.c, 1 e 3 della legge 60411966, anche in relazione all'art. 1455 c.c., e alt' art. 35 del CCNL Porti. 25. Il ricorrente assume che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere la sussistenza del giustificato motivo soggettivo del licenziamento con preavviso perché le frasi, pacificamente pronunziate, non avevano carattere intimidatorio, avuto riguardo al significato delle espressioni utilizzate e pronunziate nel dialetto locale, e non erano contrarie al vivere civile, avuto riguardo alt' uso comune delle parole profferite nell'ambito di contesti sociali, quale il suo, a bassa scolarizzazione. 26. D' altra parte, la frase qua dentro mi sto zitto ma fuori parliamo da paria pari, in cui non era ravvisabile alcun contenuto o intento di minaccia, evidenziava la consapevolezza di esso lavoratore della opportunità di tacere all'interno dei luoghi di lavoro. 27. Il ricorrente desume dalle circostanze sopra evidenziate che la Corte territoriale avrebbe errato nell'interpretare ed applicare l'art. 35 lett. A dei CCNL Porti perché non si sarebbe realizzata la fattispecie tipizzata del diverbio litigioso seguito da vie di fatto. 28. Assume anche che la sanzione espulsiva adottata sarebbe sproporzionata rispetto alla condotta realizzata. 29. Il quinto motivo denunzia, ai sensi dell'ars. 360 n. 3 epe , violazione e falsa applicazione degli arti. 2106, 2119 c.c_, 1 e 3 della legge 60411966, anche in relazione all'ars. 1455 c.comma 30. Il ricorrente, sostanzialmente richiamando le norme invocate nel quarto motivo e le prospettazioni sviluppate nella sua ultima parte, sostiene che la Corte territoriale avrebbe omesso dei tutto il giudizio di proporzionalità essendosi limitata ad affermare la sussistenza della fattispecie disciplinare e a considerare soltanto il suo comportamento senza metterlo in relazione al comportamento del datore di lavoro. 31. In particolare la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare 32. sotto il profilo oggettivo il fatto che il mancato pagamento di cui si era doluto riguardava una somma che era rilevante otto mensilità di retribuzione in relazione alla entità della retribuzione di un operaio e alla non contestazione dell'effettiva debenza delle somme di danaro rivendicate. 33. sotto il profilo soggettivo. il ruolo ricoperto da esso ricorrente ed il grado di affidamento richiesto dalle sue mansioni proprie del più basso livello previsto dal CCNL Porti , il fatto che la sua condizione di bassa scolarizzazione, quasi analfabeta, comporta l'uso di un lessico povero e dialettale e di frasi proprie del contesto sociale e lavorativo, la mancanza di voluntas nocendi e lo stato di elevata tensione determinato dal ripetuto e pretestuoso procastinamento da parte del datore di lavoro del pagamento delle somme rivendicate, il particolare stato emotivo determinato dalla umiliazione determinata dalla necessità di sollecitare il pagamento di retribuzioni pacificamente spettanti. 34. 11 ricorrente lamenta, inoltre, che la Corte territoriale avrebbe omesso di confrontare la fattispecie concreta con le previsioni del CCNL, che punisce con il licenziamento fatti ben più gravi di quello commesso, di non avere motivato in ordine alla graduazione della pena, e che avrebbe ignorato l'aspetto prognostico del giudizio da formulare sulla potenziale compromissione dell'idoneità del lavoratore all'esatto adempimento delle obbligazioni. 35. L'esame dei motivi 36. La Corte territoriale ha ritenuto, come sopra evidenziato, che le frasi pronunciate dal C., per il loro contenuto volgare e intimidatorio costituivano violazione delle norme del vivere civile e degli obblighi correlati alla posizione della subordinazione dei lavoratore rispetto al datore di lavoro e che, pertanto, erano idonee in ogni caso, prescindendo, quindi, dall'addebito di abuso delle norme sul trattamento di malattia, ad integrare la fattispecie del giustificato motivo soggettivo. Ha considerato, ai fini della valutazione della gravità della condotta, il precedente illecito - sanzionato con cinque giorni di sospensione -, compendiatosi nel rifiuto opposto al cambiamento di turno, nell'allontanamento dal posto di lavoro e nella pronuncia di espressioni minacciose. Ha attribuito valore meramente esemplificativo alla tipizzazione degli illeciti contenuta nell'ars. 35 del CCNL applicato al rapporto di lavoro. 37. Avuto riguardo alla ratio decidendi della sentenza impugnata, il quarto motivo di ricorso va esaminato in via preliminare perché potenzialmente decisivo. Tanto in applicazione del principio della ragione più liquida, che, imponendo un nuovo approccio interpretativo con la verifica delle soluzioni sul piano dell'impatto operativo, piuttosto che su quello tradizionale della coerenza logico-sistematica, consente di sostituire il profilo di evidenza a quello dell'ordine di trattazione delle questioni cui all'ars. 276 cod. procomma civ., con una soluzione pienamente rispondente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, ormai anche costituzionalizzata Cass. 1209212014, 2362112011, e, indirettamente, sulle conseguenze di tale postulato in materia di giudicato implicito Cass. SSUU 2093212011, 2488312008, 2952312008 Cass. Il 35612006 . 38. Come sopra rilevato, con il quarto motivo il ricorrente sostiene che la Corte territoriale avrebbe errato nell'interpretare ed applicare l'art. 35 lett. A del CCNL Porti perché la sua condotta non sarebbe sussumibile entro la fattispecie tipizzata dalla disposizione contrattuale del diverbio litigioso seguito da vie di fatto. Assume, inoltre, che la sanzione espulsiva adottata sarebbe sproporzionata rispetto alla condotta realizzata. 39. Il motivo é fondato. 40. Il giudizio di gravità formulato dalla Corte viola le previsioni del CCNL, che punisce con la sanzione espulsiva art. 35 lett. a bis del CCNL Porti il diverbio litigioso o oltraggioso seguito da vie di fatto avvenuto all'interno dell'Azienda/Ente atteso che nella fattispecie in esame alle espressioni rivolte al presidente della Cooperativa non è seguito il passaggio alle vie di fatto. 4T. In tema di licenziamento, infatti, le tipizzazioni degli illeciti disciplinari contenute nei contratti collettivi, rappresentando le valutazioni che le parti sociali hanno fatto in ordine alla valutazione della gravità di determinati comportamenti rispondenti, in linea di principio, a canoni di normalità Cass. 2906/2005 , non consentono al datore di lavoro di irrogare la sanzione risolutiva quando questa costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo in relazione ad una determinata infrazione Cass.1905312005, 1626012004, 269212015 . 42. La sentenza non è conforme a diritto nella parte in cui ha desunto la particolare gravità dell'infrazione ascritta all'odierno ricorrente dal precedente disciplinare, perché l'esistenza di precedenti disciplinari costituisce soltanto uno dei parametri di valutazione della gravità dell'illecito e non può essere utilizzata per dare concretezza ad un addebito del tutto inidoneo ad integrare giusta causa o giustificato motivo di licenziamento come avvenuto nel caso in esame . 43. Sulla scorta delle considerazioni svolte va accolto il quarto motivo, con assorbimento degli altri. 44. La sentenza va in conclusione cassata dovendo affermarsi i seguenti principi. 45. La pronuncia di espressioni sconvenienti non seguita dal passaggio alle vie di fatto non realizza la fattispecie disciplinare, prevista dall'ari. 35 lett, a bis CCNL Porti, del diverbio litigioso o oltraggioso seguito da vie di fatto avvenuto all'interno dell'Azienda/Ente. 46. I1 datore di lavoro non può irrogare la sanzione risolutiva quando questa costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo in relazione ad una determinata infrazione. 47. La gravità dell'infrazione non può ricavarsi unicamente dai precedenti disciplinari perché questi costituiscono soltanto uno dei parametri di valutazione e non possono essere utilizzati per dare concretezza ad un addebito del tutto inidoneo ad integrare giusta causa o giustificato motivo di licenziamento come avvenuto nel caso in esame . 48. La sentenza va cassata con rinvio alla Corte di Appello di Catanzaro, che nel riesaminare la causa, anche in merito alle spese del giudizio, dovrà tenere conto dei principi di diritto sopra enunciati . P.Q.M. La Corte accoglie il quarto motivo, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese alla Corte di Appello di Catanzaro.