Donna dirigente con stipendio da impiegata: è evidente discriminazione

Nel caso in cui la condotta discriminatoria del datore di lavoro consista in un trattamento retributivo peggiorativo, determinato in base al sesso del lavoratore o della lavoratrice, non è necessario acquisire alcuna prova in ordine all’intenzionalità di trattare taluno in modo deteriore, sulla base del proprio sesso ciò che rileva è la disparità di trattamento sotto il profilo oggettivo.

Così ha coraggiosamente deciso il Giudice del lavoro di Aosta con il decreto del 5 gennaio 2016. Dirigente donna più flessibile e meno costosa. Una donna, assunta come dirigente presso un noto Casinò valdostano, lamentava di aver percepito una retribuzione di molto inferiore rispetto a quella dei colleghi maschi. Secondo la lavoratrice, la condotta discriminatoria del datore di lavoro non si esauriva nella retribuzione deteriore, ma culminava con un licenziamento pretestuoso ed ingiurioso, in cui la posizione lavorativa da sopprimere per motivi economici risultava proprio la sua, sebbene fosse la meno costosa tra i pari grado. Trattamento retributivo discriminatorio. Il Giudice del lavoro accerta, ictu oculi , il trattamento retributivo discriminatorio, applicando i principi enunciati agli artt. 25 e 28 d.lgs n. 198/2006 sulla discriminazione diretta e sull’esplicito diritto della lavoratrice a percepire la stessa retribuzione del lavoratore, quando le prestazioni richieste siano uguali o di pari valore. Nel caso di specie, la condotta discriminatoria non appare tanto evidente nella comparazione tra la retribuzione della ricorrente con quelle dei colleghi, maschi, pari grado, quanto piuttosto nella comparazione tra la retribuzione – da dirigente - della ricorrente con quelle dei dipendenti impiegati e quadri. Infatti, il trattamento economico riservato alla ricorrente era inferiore di circa il 40% rispetto alle retribuzioni dei colleghi maschi, ma era addirittura inferiore alle retribuzioni versate a taluni quadri ed a taluni impiegati! Le buste paga prodotte in giudizio non possono in alcun modo essere fraintese gli importi parlano chiaro. Inoltre, al giudice preme rilevare come non conti il tempo dell’assunzione, cioè come non rilevi il fatto che gli elevati salari di alcuni quadri ed impiegati fossero frutto di pattuizioni precedenti all’attuale periodo di crisi economica. Tale affermazione appare a maggior ragione equa, se si considera che due dirigenti uomini assunti dopo la ricorrente percepiscono stipendi di gran lunga superiori a quello di quest’ultima. Con attenzione, il giudice specifica che, di fronte ad un trattamento economico ingiustificatamente deteriore non è necessario acquisire alcuna prova sull’intenzionalità di trattare qualcuno in modo peggiorativo in ragione del sesso ciò che rileva, ai fini dell’accertamento di una condotta discriminatoria, è la disparità di trattamento sotto il profilo oggettivo. È chiaro che un simile principio sia facilmente applicabile quando la condotta discriminatoria è verificabile operando un semplice confronto fra retribuzioni. In sostanza, secondo il Tribunale, non si può dire Ho riservato una retribuzione inferire, ma non l’ho fatto apposta . Se la retribuzione è inferiore a quella dei pari grado - e lo è abbondantemente, come nel caso di specie - allora l’atteggiamento datoriale non può che essere discriminatorio. Ciò considerato, il giudice condanna la società datrice di lavoro al pagamento delle differenze retributive maturate dalla data di assunzione a quella del licenziamento, con le conseguenti incidenze sul trattamento di fine rapporto. Il parametro di riferimento è la retribuzione versata ai dirigenti Licenziamento tutto sommato legittimo. Al giudice del lavoro è richiesto altresì l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento intimato alla dirigente per giustificato motivo oggettivo. Il giudice rileva come il licenziamento appaia, effettivamente, giustificato da una precisa scelta organizzativa, volta alla riduzione dei costi del lavoro, attraverso la soppressione della posizione della ricorrente e la contestuale creazione della figura del direttore generale che si sarebbe fatto carico anche delle mansioni fino ad allora svolte dalla ricorrente. Nonostante l’accertamento della legittimità del licenziamento, il giudice si lascia andare ad un’affermazione significativa quando scrive che appare singolare che, tra tutti i dirigenti, sia stata licenziata proprio quella – di sesso femminile – che costava meno . Chi ha orecchie per intendere, intenda.

Tribunale di Aosta, sez. Lavoro, decreto 5 gennaio 2016 Giudice Eugenio Gramola Decreto La ricorrente è stata assunta dalla resistente con contratto a tempo determinato a decorrere dal 20,3.2012 con la retribuzione annua complessiva di E 90.000 lordi, oltre ad un premio annuo di e 10.000, da corrispondersi in relazione ai risultati ottenuti. Il contratto di lavoro veniva successivamente trasformato in contratto a tempo indeterminato, che si concludeva a seguito del licenziamento intimato in data 6.10.2015. La esercitava le funzioni, dirigenziali, di Responsabile della Direzione Amministrazione, Finanza e controllo del Casino di St. Vincent e, inoltre, di responsabile dell'ufficio patrimonio aziendale del predetto. La ricorrente assume di aver ricevuto un trattamento deteriore rispetto agli altri quattro dirigenti di sesso maschile, due dei quali assunti successivamente alla B. stessa, in quanto il proprio salario era determinato in misura nettamente inferiore rispetto ai predetti, nonostante le rilevanti responsabilità connesse con le funzioni da lei esercitate. Per di più iil proprio stipendio era inferiore anche a quello di altri dipendenti, aventi la qualifica di quadro o, addirittura, di impiegato. Inoltre, il licenziamento sarebbe stato intimato, a coronamento della detta condotta discriminatoria, a seguito di una riorganizzazione aziendale sostanzialmente fittizia, e l'espulsione dal lavoro sarebbe avvenuta con modalità ingiuriose. Il dato normativo da prendersi a base ai fini della presente decisione è costituito dall'art. 25 comma 1 D. Lgs. 198/2006 che stabilisce costituisce discriminazione diretta, ai sensi dei presente titolo, qualsiasi atto, patto o comportamento che produca un effetto pregiudízievole discriminando le `lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un'altra lavoratrice o di un altro lavoratore 1n situazione analoga. Inoltre, l'art. 28 comma 1 1. cit. statuisce che La lavoratrice ha diritto alla stessa retribuzione del lavoratore quando le prestazioni richieste siano uguali o di pari valore. E' chiaro che le dette disposizioni sono applicabili, a fortiori, nel caso in cui la retribuzione della donna sia più bassa di quella prevista per prestazioni di valore inferiore, riconosciuta a dipendenti di sesso maschile. E' pacifico che non è necessario acquisire alcuna prova in ordine alla sussistenza dell'intenzionalità di trattare in modo deteriore taluno in relazione al proprio sesso ciò che rileva è la disparità di trattamento sotto il profilo oggettivo. Nel caso di specie tale disparità di trattamento salariale sussiste ed è evidente. Ritiene questo giudicante che questa risulti non tanto dal raffronta con le retribuzioni degli altri quattro dirigenti, rispetto ai quali risulta difficile effettuare una comparazione tra funzioni certamente affatto differenti e comunque certamente tutte di grande rilievo, ma dal raffronto con quelle percepite da quadri e, fìnanco, da alcuni impiegati di I livello. Dall'esame del docomma 13 prodotto dallo ricorrente la retribuzione annua lorda della risulta pari ad e 92.505,52. Due impiegati - di sesso maschile - percepiscono stipendi più alti quello dì supera i 96.000 euro. Tra i quadri, sei dipendenti percepiscono tutti stipendi congruamente più alti della ricorrente supera i 124.000 euro e i.1 raggiunge la somma di C 128.800. Si tratta del 40% in più della ricorrente, che pure, come dirigente, ha ben maggiori responsabilità e una tutela ben inferiore a livello giuslavoristico, attesa la posizione apicale in cui si trova rispetto alla struttura aziendale. E' evidente che tale disparità di trattamento è illegittima e che alla ricorrente avrebbe correttamente dovuto essere riconosciuto un salario pari ad almeno 130.000 euro l'alino. Di fatto che gli elevati salari riconosciuti ad alcuni quadri ed impiegati siano frutto di pattuizioni precedenti agli attuali difficili momenti attraversati dal Casino resistente non autorizza ad operare le manifeste discriminazioni or ora rilevate, tanto più che i dirigenti e , assunti dopo la ricorrente, percepiscono il primo oltre 150.000 euro cfr. sempre la tabella di cui al docomma 13 di parte } e il secondo € 140.000 annui, oltre a premi. E' anche vero ché il Casino ha richiesto ai suoi dirigenti e imposto ai suoi dipendenti a seguito di un accordo sindacale un taglio, peraltro temporaneo, delle retribuzioni., ma anche su ciò è dfficile non rilevare che il taglio effettuato è stato operato su base volontaria rispetto agli altri dirigenti, laddove alla ricorrente si è senz'altro preferito non corrisponderle tout court il premio di e 10.000, cui i colleghi dirigenti hanno rinunziato volontariamente. Non coglie, nemmeno, nel segno l'osservazione per la quale la ricorrente è stata assunta a seguito di una selezione tra nove persone le altre di sesso maschile perché, a causa della vicinanza della sua abitazione a St. Vincent e della flessibilità contrattuale cui si sarebbe resa disponibile, il di, leì lavoro sarebbe costato di meno al Casino. La flesslbi1ítà contrattuale, che ha subito fatto si che la ricorrente accettasse un rapporto di lavoro a tempo determinato, non poteva certo consistere e ci, si augura non volesse consistere nel discriminarne il trattamento economico rispetto agli altri dipendenti di sesso maschile, anche con mansioni impiegatizie. Quanto al licenziamento, non vi sono concreti motivi per ritenere che questo abbia carattere discriminatorio, anche se appare singolare che, tra tutti i dirigenti, sia stata licenziata proprio quella dirigente - di sesso femminile - che costava di meno. In ogni caso, tenendo conto della sommarietà della presente fase, si ritiene che il datore di lavoro abbia sufficientemente motivato le ragioni del licenziamento con scelte organizzative diverse creare un direttore generale e affidargli anche le funzioni della con allegato risparmio di spesa . Le modalità con cui la Casa da Gioco si è condotta una volta intimato il licenziamento continuo controllo della ricorrente nel timore che in sostanza, sottraesse documenti aziendali pur poco conforme a regole di correttezza, non pare collegato con la discriminazione di genere effettuata. La domanda della ricorrente va dunque accolta con riferimento alla discriminazione retributiva, .Va dunque pronunziata, in accoglimento delle conclusioni attoree, ex art. 38 D. Lds. 198/2006, la condanna al risarcimento del danno patito dalla , nella misura delle differenze retributive maturate tra quanto in effetti corrisposto dalla data della prima assunzione al di del licenziamento e la boera di E130.000 annui, che sarebbe stata equa e corretta per assicurare la parità di trattamento tra la e le altre figure professionali presenti. in azienda. Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. A Condanna il Casino della Vallée s.p.a. al risarcimento del danno patito da a causa dell'illegittima discriminazione retributiva subita, nella misura delle differenze retributive maturate tra quanto in effetti corrisposto alla dalla data della prima assunzione al di del licenziamento e la somma di E 130.000 annui. B Pone a carico del Casino resistente le spese di giudizio, liquidate in e 7206 complessivi, oltre 15% per spese generali, IVA e cassa