Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: lavoratore non ha onere di allegare possibilità di repechage

In materia di illegittimo licenziamento per giustificato motivo oggettivo, spetta al datore di lavoro l’allegazione e la prova dell’impossibilità di repechage del lavoratore licenziato, con esclusione di un onere di allegazione al riguardo del secondo, essendo contraria agli ordinari principi processuali una divaricazione tra i due suddetti oneri, entrambi spettanti alla parte deducente.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sez. Lavoro., con la sentenza n. 5592/2016, depositata il 22 marzo. Il caso. La pronuncia in commento trae origine dal giudizio promosso dal dipendente licenziato per giustificato motivo oggettivo, al fine di ottenere la declaratoria di illegittimità del recesso datoriale, con condanna della società alla reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento dei danni. Sulla base dei dati di bilancio, dei licenziamenti operati nel medesimo periodo all’interno della divisione diretta dal ricorrente e dell’ammissione della società alla cassa integrazione guadagni, i giudici di merito hanno ritenuto provata l’effettiva ricorrenza del giustificato motivo oggettivo, sub specie di riorganizzazione aziendale, con accorpamento della divisione diretta dal ricorrente in altra divisione a causa dell’andamento economico e finanziario negativo. Il lavoratore che impugna il licenziamento deve allegare la possibilità di repechage? La pronuncia in commento dà atto dell’esistenza di un consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità secondo cui, ai fini della legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ai sensi dell’art. 3 della l. n. 604/1966, se indubbiamente l’onere di provare l’impossibilità di impiegare il lavoratore in altre mansioni compatibili con la qualifica rivestita compete al datore di lavoro, tuttavia esso conseguirebbe da un diverso e propedeutico onere, a carico dello stesso lavoratore che impugni il licenziamento, di allegazione dell’esistenza di altri posti di lavoro per la sua utile ricollocazione, in virtù di un preteso obbligo di collaborazione nell’accertamento di un possibile repechage cfr., ex plurimis , Cass., n. 19923/2015, n. 4920/2014 e n. 25197/2013 , in una sorta di cooperazione processuale”. In particolare, è stato affermato che, pur gravando sul datore di lavoro l’onere di provare l’impossibilità di una diversa utilizzazione, resta pur sempre a carico del lavoratore, ricorrente in giudizio per ottenere l’annullamento del licenziamento, l’onere di dedurre ed allegare, in osservanza delle prescrizioni sulla forma della domanda dettate dall’art. 414 c.p.c. secondo cui la domanda deve contenere, tra l’altro, l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda , le specifiche circostanze e ragioni costituenti i presupposti di tale azione sarà poi onere del convenuto datore di lavoro, in opposizione alle suddette deduzioni e allegazioni, fornire la prova ai sensi del citato art. 5 della l. n. 604/1966 così Cass., n. 10559/1998 . Non si può chiedere al lavoratore di indicare i posti di lavoro assegnabili. La Suprema Corte ritiene, tuttavia, di non poter condividere tale orientamento. In proposito, vengono richiamati alcuni precedenti, nei quali i giudici di legittimità avevano affermato che l’onere della prova dell’impossibilità di adibire il lavoratore allo svolgimento di mansioni analoghe e quelle svolte in precedenza, pur dovendo essere mantenuto entro limiti di ragionevolezza sì che può considerarsi assolto anche mediante il ricorso a risultanze probatorie presuntive e indiziarie , non può, tuttavia, essere posto direttamente o indirettamente a carico del lavoratore, neppure al solo fine dell’indicazione dei posti di lavoro assegnabili un’indicazione del genere da parte del lavoratore licenziato sarebbe, in realtà, inesigibile, essendo questi estraneo all’organizzazione aziendale cfr. Cass., n. 8254/1992 e n. 4164/1991 tale indicazione, pur possibile, comporterebbe un’inversione dell’onere probatorio. Ed allora, la domanda del lavoratore è correttamente individuata, a norma dell’art. 414, n. 3 e n. 4, c.p.c., da un petitum di impugnazione del licenziamento per illegittimità e da una causa petendi di inesistenza del giustificato motivo così come intimato dal datore di lavoro, cui incombe pertanto la prova, secondo la previsione dell’art. 5 l. n. 604/1966, della sua ricorrenza in tutti gli elementi costitutivi, in essi compresa l’impossibilità di repechage senza alcun onere sostitutivo del lavoratore alla sua controparte datrice sul piano dell’allegazione, per farne conseguire un onere probatorio offrendogli, per così dire, l’affermazione del fatto da provare . Si tratterebbe di una divaricazione davvero singolare, in quanto inedita sul piano processuale, nel quale l’onere della prova è modulato in coerente corrispondenza con quello dell’allegazione, come inequivocabilmente stabilito dall’indicazione dei requisiti della domanda esposizione dei fatti sui quali si fonda la domanda e indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi art. 414, n. 4 e n. 5, c.p.c., con previsione del tutto analoga a quella dell’art. 163, comma 3, n. 4 e n. 5, c.p.c. , in funzione di una corretta ripartizione dell’onere probatorio secondo la previsione dell’art. 2697 c.c., a norma del quale ciascuna delle parti deve provare i fatti a fondamento delle proprie domande o eccezioni, espressione del rispettivo onere di allegazione, nell’evidente indisgiungibilità dei due piani Cass., S.U., n. 2951/2016 . Una conferma viene dai principi in materia di inadempimento e di vicinanza della prova. Tale ricostruzione sistematica della ripartizione dei rispettivi oneri di allegazione e di prova tra le parti nella fattispecie in esame trova piena conferma anche ove ricondotta ai principi in tema di responsabilità da inadempimento. In base a tali principi, il creditore attore lavoratore impugnante il licenziamento come illegittimo è onerato della allegazione e prova della fonte negoziale o legale del proprio diritto rapporto di lavoro a tempo indeterminato e dell’allegazione dell’inadempimento della controparte illegittimo esercizio del diritto di recesso per giustificato motivo oggettivo , mentre il debitore convenuto datore di lavoro è onerato della prova del fatto estintivo legittimo esercizio del diritto di recesso per giustificato motivo oggettivo nella ricorrenza dei suoi presupposti, tra i quali, come detto, anche l’impossibilità di repechage . Inoltre, il principio di riferibilità o vicinanza della prova – conforme all’esigenza di non rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto del creditore a reagire all’inadempimento, senza peraltro penalizzare il diritto di difesa del debitore, in quanto nella migliore disponibilità degli elementi per dimostrare le ragioni del proprio comportamento cfr., da ultimo, Cass., n. 1665/2016 – trova riscontro anche nel caso di specie per la maggiore vicinanza di allegazione e prova dell’impossibilità di repechage al datore di lavoro, non disponendo il lavoratore, al contrario del primo, della completezza di informazione delle condizioni dell’impresa, tanto più in una condizione di crisi, in cui esse mutano continuamente a misura della sua evoluzione e degli interventi imprenditoriali per rimediarvi o comunque indirizzarne gli sbocchi.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 17 febbraio – 22 marzo 2016, n. 5592 Presidente Venuti – Relatore Patti Fatto Con sentenza 13 febbraio 2013, la Corte d’appello di Trieste respingeva l’appello proposto da P.A. dipendente da marzo 2006 di Harpo s.p.a. quale quadro A 3 ai sensi del CCNL per il settore chimico e con mansioni di direttore commerciale della divisione Geotecnica, a suo dire demansionato per il trasferimento nel marzo 2008 alla direzione della divisione Applicazioni Industriali e quindi licenziato per giustificato motivo oggettivo avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva rigettato le domande di illegittimità del licenziamento intimatogli con lettera del 17 marzo 2009, di condanna della società datrice alla reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, compensando tra le parti le spese di giudizio. Sulla base degli scrutinati dati di bilancio, dei licenziamenti operati nel periodo all’interno della divisione Applicazioni Industriali e dell’ammissione della società alla Cassa Integrazione Guadagni richiesta nell’ottobre 2009, la Corte territoriale riteneva provata l’effettiva ricorrenza del giustificato motivo oggettivo, sub specie di riorganizzazione aziendale con accorpamento della divisione diretta da P. in quella Geotecnica per l’andamento economico e finanziario negativo, pure in assenza di specifica allegazione di repechage del lavoratore essa escludeva poi il dedotto demansionamento, per l’equipollenza dell’incarico direttivo in entrambe le divisioni a seguito del suo spostamento dalla divisione Geotecnica a quella Applicazioni Industriali, per un suo rilancio, a seguito dell’acquisizione di nuove commesse , alle dirette dipendenze, sia prima che dopo, dell’amministratore delegato e del presidente della società datrice. Con atto notificato il 1 luglio 2013, P.A. ricorre per cassazione con cinque motivi, cui resiste Harpo s.p.a. con controricorso entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c Motivi della decisione Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 3 I. 604/1966 e vizio di motivazione illogica, insufficiente e contraddittoria, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c., per mancato accertamento dell’effettiva cessazione, al di là del suo accorpamento ad altra, dell’attività della divisione Applicazioni Industriali e della soppressione delle proprie mansioni, senza alcuna giustificazione di ciò, nonostante la specificità al riguardo delle doglianze in appello. Con il secondo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 3 I. 604/1966, 1175, 1375, 2697, 2729 c.c. e vizio di motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c., per non ritenuto inadempimento dalla società datrice all’obbligo di repechage, pure con motivazione insufficiente e contraddittoria. Con il terzo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 3 L. 604/1966, 1175, 1375, 2697, 2729 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per erronea ripartizione dell’onere della prova, non posto a carico, secondo più rigoroso indirizzo interpretativo di legittimità, del datore di lavoro, senza alcun coinvolgimento collaborativo del lavoratore, come invece per altro indirizzo di minor rigore. Con il quarto, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 3 l. 604/1966, 1175, 1375 c.c. e vizio di motivazione illogica, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c., per mancata esatta valutazione della disponibilità manifestata allo svolgimento di mansioni anche inferiori, con la lettera del 25 marzo 2009 in risposta a quella datoriale di licenziamento senza preavviso del 17 marzo 2009, nell’impossibilità di manifestare prima una tale disponibilità, essendo all’oscuro della determinazione della propria datrice, con la conseguente inapplicabilità al caso di specie del principio acriticamente recepito dalla Corte territoriale, riguardante tuttavia ipotesi diversa di previa conoscenza della situazione dai lavoratori prima oggetto di demansionamento impugnato giudizialmente e quindi licenziati. Con il quinto, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 3 l. 604/1966, 1175, 1375 c.c. e vizio di motivazione contraddittoria, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c., per omessa valutazione del proprio carico familiare nella valutazione della preferenza datoriale per la conservazione dell’incarico di direttore della divisione Geotecnica al dr. B. in proprio danno. Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 3 I. 604/1966 e vizio di motivazione, per mancato accertamento dell’effettiva cessazione dell’attività della divisione Applicazioni Industriali e della soppressione delle mansioni del lavoratore, è inammissibile. Sotto il profilo di violazione di legge, al di là della formale enunciazione della sua rubrica, esso non integra gli appropriati requisiti di erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta regolata dalla disposizione di legge, mediante specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina Cass. 26 giugno 2013, n. 16038 Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010 Cass. 31 maggio 2006, n. 12984 . Né qui rileva una questione di sindacabilità, sotto il profilo della falsa interpretazione di legge, del giudizio applicativo di una norma cd. elastica quale indubbiamente la clausola generale del giustificato motivo obbiettivo ai sensi degli artt. 1 e 3 L. 604/1966 , che indichi solo parametri generali e pertanto presupponga da parte del giudice un’attività di integrazione giuridica della norma, a cui sia data concretezza ai fini del suo adeguamento ad un determinato contesto storico - sociale in tal caso ben potendo il giudice di legittimità censurare la sussunzione di un determinato comportamento del lavoratore nell’ambito del giustificato motivo piuttosto che della giusta causa di licenziamento , in relazione alla sua intrinseca lesività degli interessi del datore di lavoro Cass. 18 gennaio 1999, n. 434 Cass. 22 ottobre 1998, n. 10514 . E ciò per la sindacabilità, da parte della Corte di Cassazione, dell’attività di integrazione del precetto normativo compiuta dal giudice di merito, a condizione che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza del predetto giudizio rispetto agli standards, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale Cass. 26 aprile 2012, n. 6498 Cass. 2 marzo 2011, n. 5095 con limitazione, alla luce dell’esperienza applicativa della Corte, almeno nella sua teorica enunciazione, quando il giudice del merito sia chiamato ad applicare concetti giuridici indeterminati, del controllo di legittimità alla verifica di ragionevolezza della sussunzione del fatto e quindi ad un sindacato su vizio di violazione di norma di diritto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., ben lontano da quello dell’art. 360, primo comma, n 5. c.p.c. Cass. s.u. 18 novembre 2010, n. 23287 . Ed infatti, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione che può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto posta dal giudice a fondamento della decisione id est del processo di sussunzione , per l’esclusivo rilievo che, in relazione al fatto accertato, la norma non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata male applicata Cass. 15 dicembre 2014, n. 26307 Cass. 24 ottobre 2007, n. 22348 . Sicché, il processo di sussunzione, nell’ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata al contrario del sindacato di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 5 c.p.c., che invece postula un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti. Ciò che appunto si verifica nel caso di specie, in cui si controverte, non tanto e per le ragioni dette di esatta interpretazione di norme né di corretto esercizio del processo di sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta regolata dalla disposizione di legge denunciata correttamente individuata nell’integrazione del giustificato motivo oggettivo dal processo di riorganizzazione aziendale comportante l’accorpamento della divisione già diretta da P. in quella Geotecnica, per crisi economica e finanziaria , quanto piuttosto di accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni e della loro concreta attitudine a costituire giustificato motivo soggettivo di licenziamento effettiva soppressione delle mansioni del lavoratore e pertanto sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e sindacabile in cassazione a condizione che la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli standards, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale Cass. 2 marzo 2011, n. 5095 . Parimenti inammissibile è il denunciato vizio di illogica, insufficiente e contraddittoria motivazione, non più deducibile per l’attuale testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. di denuncia per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti , applicabile ratione temporis per la pubblicazione della sentenza impugnata in data posteriore 13 febbraio 2013 al trentesimo giorno successivo a quella di entrata in vigore della legge 7 agosto 2012, n. 134, di conversione del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83 12 settembre 2012 , secondo la previsione dell’art. 54, terzo comma del decreto legge citato. Esso ha, infatti, introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo nel senso che, qualora esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia . Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6 e 369, secondo comma, n. 4 c.p.c., il ricorrente deve indicare il fatto storico , il cui esame sia stato omesso, il dato , testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Sicché, detta riformulazione deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Ed è pertanto denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico , nella motivazione apparente , nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile , esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053 . Né l’omesso esame di elementi istruttori integra in sé il suddetto vizio, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498 con la conseguente preclusione nel giudizio di cassazione dell’accertamento dei fatti ovvero della loro valutazione a fini istruttori Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439 . Il secondo violazione e falsa applicazione degli artt. 3 L. 604/1966, 1175, 1375, 2697, 2729 c.c. e vizio di motivazione, per non ritenuto inadempimento dalla società datrice all’obbligo di repechage e il terzo motivo violazione e falsa applicazione degli artt. 3 L. 604/1966, 1175, 1375, 2697, 2729 c.c., per erronea ripartizione dell’onere della prova al riguardo sono congiuntamente esaminabili per la loro stretta connessione. Essi sono fondati. Il collegio è ben consapevole di un consolidato indirizzo di questa Corte, ai fini della legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ai sensi dell’art. 3 della legge n. 604 del 1966 accanto ad uno di chiara affermazione dell’onere datoriale della prova dell’impossibilità di impiegare il lavoratore in altre mansioni compatibili con la qualifica rivestita, in relazione al concreto contenuto professionale dell’attività cui il lavoratore stesso era precedentemente adibito Cass. 12 luglio 2012, n. 11775 26 marzo 2010, n. 7381 Cass. 13 agosto 2008, n. 21579 Cass. 14 giugno 2005, n. 12769 Cass. 9 giugno 2004, n. 10916 Cass. 1 ottobre 1998, n. 9768 Cass. 26 ottobre 1993, n. 9369 , secondo cui, se indubbiamente un tale onere competa al datore di lavoro, tuttavia esso conseguirebbe da un diverso e propedeutico onere, a carico dello stesso lavoratore che impugni il licenziamento, di allegazione dell’esistenza di altri posti di lavoro per la sua utile ricollocazione, in virtù di un preteso obbligo di collaborazione nell’accertamento di un possibile repechage Cass. 6 ottobre 2015, n. 19923 Cass. 3 marzo 2014, n. 4920 Cass. 8 novembre 2013 n. 25197 Cass. 19 ottobre 2012, n. 18025 Cass. 26 aprile 2012, n. 6501 Cass. 8 febbraio 2011 n. 3040 Cass. 18 marzo 2010, n. 6559 Cass. 22 ottobre 2009, n. 22417 Cass. 19 febbraio 2008, n. 4068 Cass. 9 agosto 2003, n. 12037 Cass. 12 giugno 2002, n. 8396 Cass. 3 ottobre 2000, n. 13134 in una sorta, per così dire, di cooperazione processuale. Tuttavia, come chiaramente si evince dall’integrale lettura delle sentenze citate, un tale indirizzo imperniato su una netta e inedita divaricazione tra onere di allegazione in capo al lavoratore e di prova in capo al datore di lavoro è meramente tralaticio, fondandosi su una petizione di principio secondo cui il lavoratore, pur non avendo il relativo onere probatorio, che grava per intero sul datore di lavoro, ha comunque un onere di deduzione e di allegazione di tale possibilità di repechage ” assunta come postulato, in quanto affatto argomentata nel suo fondamento giuridico. Per trovare una spiegazione, occorre risalire ad una lontana sentenza, che, premesso l’onere datoriale, in tema di licenziamento per giustificato motivo obiettivo secondo costante orientamento della medesima Corte, di provare l’impossibilità di una diversa utilizzazione, trattandosi di circostanza pur sempre ricollegabile alle generali ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa , ha offerto la seguente giustificazione Pur sussistendo . siffatto carico probatorio sul datore di lavoro, resta peraltro pur sempre a carico del lavoratore, ricorrente in giudizio per ottenere l’annullamento del licenziamento, l’onere di dedurre ed allegare, in osservanza delle prescrizioni sulla forma della domanda dettate dall’art. 414 c.p.c. secondo cui la domanda deve contenere, tra l’altro, l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali essa si fonda n. 3 cit. art. 414 , le specifiche circostanze e ragioni costituenti i presupposti di tale azione. E pertanto - con riferimento al caso che qui interessa - è da ricondurre a tale onere, del lavoratore ricorrente, il dedurre e l’allegare circostanze di fatto e ragioni di diritto costituenti il fondamento della affermata illegittimità del licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo e così la insussistenza di un giustificato motivo, ovvero l’inadeguatezza in tal senso del motivo addotto dal datore di lavoro, ed anche la possibilità, comunque, di una sua diversa utilizzazione nell’impresa con mansioni equivalenti . Sarà poi onere del convenuto datore di lavoro, in opposizione alle suddette deduzioni e allegazioni attinenti agli elementi essenziali dell’azione contro di lui proposta, fornire la prova ai sensi del citato art. 5 della legge n. 604/1966 che in sostanza contiene una specificazione del principio generale di cui al secondo comma dell’art. 2697 c.c. dei fatti impeditivi dell’azionato diritto ad ottenere l’annullamento del licenziamento e fornire quindi la prova della sussistenza delle ragioni produttive e organizzative aziendali di cui al citato art. 3 della legge n. 604/1966 ed in particolare, nel caso di specie, la prova della sostenuta riduzione dell’attività imprenditoriale per diminuzione degli appalti , nonché la prova che non v’era comunque possibilità di una diversa e adeguata utilizzazione del dipendente. Ma ove una siffatta possibilità di diversa utilizzazione che costituisce elemento di fatto certamente collegato, ma pur sempre differenziato e distinto rispetto alle vere e proprie ragioni di carattere organizzativo, produttivo e funzionale riferite alla attività aziendale dal citato art. 3 non sia stata neppure allegata dal ricorrente tra gli elementi posti a fondamento dell’azione e tra i presupposti della sua domanda, non v’è ragione logica per cui il convenuto debba chiedere di provare la insussistenza di una tale circostanza, in quanto appunto nemmeno prospettata dalla parte interessata a farla valere Cass. 23 ottobre 1998, n. 10559 . Appare evidente come i principi testualmente riportati e che, si ribadisce, costituiscono la giustificazione del consolidato indirizzo qui confutato non possano essere condivisi, e non solo perché già in precedenza smentiti, in particolare da due sentenze, secondo cui l’onere della prova della impossibilità di adibire il lavoratore allo svolgimento di mansioni analoghe e quelle svolte in precedenza, pur dovendo essere mantenuto entro limiti di ragionevolezza sì che può considerarsi assolto anche mediante il ricorso a risultanze probatorie di natura presuntiva e indiziaria . non può tuttavia essere posto direttamente o indirettamente a carico del lavoratore, neppure al solo fine della indicazione di posti di lavoro assegnabili invero, pur dovendosi tener conto della specificità dei vari settori dell’impresa, la superfluità del lavoro del dipendente licenziato deve essere valutata entro l’ambito dell’intera azienda e non già con riferimento al singolo posto ricoperto, nel senso che grava interamente sul datore di lavoro la dimostrazione della impossibilità di utilizzare il dipendente in altro settore della stessa azienda Cass. 7 luglio 1992 n. 8254 La prova . dell’impossibilità di un diverso impiego della lavoratrice licenziata nell’azienda, senza dequalificazione, gravava per intero anch’essa sul datore di lavoro e non poteva quindi trasferirsi neppure in parte sulla lavoratrice pur se al solo fine dell’indicazione di posti di lavoro a lei assegnabili . Non si vede in realtà come sia esigibile un’indicazione del genere da parte del lavoratore licenziato, che è estraneo all’organizzazione aziendale, e l’indirizzo in tal senso di questa Corte . può dirsi costante Cass. 18 aprile 1991, n. 4164 . Con la loro enunciazione si ritiene, in buona sostanza, che la possibilità di una diversa utilizzazione del lavoratore licenziato in mansioni diverse cd. repechage sia elemento costitutivo della domanda di impugnazione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e perciò nell’onere di allegazione del lavoratore medesimo, cui il datore di lavoro opponga il fatto impeditivo dell’azionato diritto ad ottenere l’annullamento del licenziamento in esso inclusa la negazione della possibilità di una diversa e adeguata utilizzazione del dipendente , purché allegata dal ricorrente tra gli elementi posti a fondamento dell’azione e tra i presupposti della sua domanda . Ma in realtà non è così, perché, se è indubbio che nel giudizio di impugnazione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo la causa petendi sia data dall’inesistenza dei fatti giustificativi del potere spettante al datore di lavoro, gravando su quest’ultimo l’onere di provare la concreta sussistenza delle ragioni inerenti all’attività produttiva e l’impossibilità di utilizzare il lavoratore licenziato in altre mansioni compatibili con la qualifica rivestita, è pur vero che l’indicazione pur possibile da parte del lavoratore che si sia fatto parte diligente di un posto di lavoro alternativo a lui assegnabile, o l’allegazione di circostanze idonee a comprovare l’insussistenza del motivo oggettivo di licenziamento, comporti l’inversione dell’onere della prova Cass. 5 marzo 2015, n. 4460, con espresso richiamo sul punto di Cass. 7 luglio 1992, n. 8254, che in proposito, giova ribadire, ha testualmente affermato che l’onere della prova della impossibilità di adibire il lavoratore allo svolgimento di mansioni analoghe e quelle svolte in precedenza . non può tuttavia essere posto direttamente o indirettamente a carico del lavoratore, neppure al solo fine della indicazione di posti di lavoro assegnabili . Ora, l’art. 5 L. 604/1966 è assolutamente chiaro nel porre a carico del datore di lavoro l’onere della prova della sussistenza . del giustificato motivo di licenziamento ed in tale senso esso è interpretato in ordine al controllo giudiziale dell’effettiva sussistenza del motivo determinato da ragioni tecniche, organizzative e produttive, addotto dal datore di lavoro, essendo invece insindacabile la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost. Cass. 14 maggio 2012, n. 7474 Cass. 11 luglio 2011, n. 15157 . Ed in esso rientra il requisito dell’impossibilità di repechage, quale criterio di integrazione delle ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro ed al regolare funzionamento di essa, nella modulazione della loro diretta incidenza sulla posizione del singolo lavoratore licenziato, derogabile soltanto quando il motivo consista nella generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile dovendo in tal caso il datore di lavoro pur sempre improntare l’individuazione del soggetto da licenziare ai principi di correttezza e buona fede, cui deve essere informato, ai sensi dell’art. 1175 c.c., ogni comportamento delle parti del rapporto obbligatorio e quindi anche il recesso di una di esse Cass. 28 marzo 2011, n. 7046 ovvero in caso di licenziamento del dirigente d’azienda per esigenze di ristrutturazione aziendali per incompatibilità del repechage con la posizione dirigenziale del lavoratore, assistita da un regime di libera recedibilità del datore di lavoro Cass. 11 febbraio 2013, n. 3175 . Ed allora, la domanda del lavoratore è correttamente individuata, a norma dell’art. 414 n. 3 e n. 4 c.p.c., da un petitum di impugnazione del licenziamento per illegittimità e da una causa petendi di inesistenza del giustificato motivo così come intimato dal datore di lavoro, cui incombe pertanto la prova, secondo la previsione dell’art. 5 L. 604/1966, della sua ricorrenza in tutti gli elementi costitutivi, in essi compresa l’impossibilità di repechage senza alcun onere sostitutivo del lavoratore alla sua controparte datrice sul piano dell’allegazione, per farne conseguire un onere probatorio offrendogli, per così dire, l’affermazione del fatto da provare . Si tratterebbe di una divaricazione davvero singolare, in quanto inedita sul piano processuale, nel quale l’onere della prova è modulato in coerente corrispondenza con quello dell’allegazione, come inequivocabilmente stabilito dall’indicazione dei requisiti della domanda esposizione dei fatti . sui quali si fonda la domanda e indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi art. 414 n. 4 e n. 5 c.p.c., con previsione del tutto analoga a quella dell’art. 163, terzo comma, n. 4 e n. 5 c.p.c. , in funzione di una corretta ripartizione dell’onere probatorio secondo la previsione dell’art. 2697 c.c., a norma del quale ciascuna delle parti deve provare i fatti a fondamento delle proprie domande o eccezioni, espressione del rispettivo onere di allegazione, nell’evidente indisgiungibilità dei due piani Cass. s.u. 16 febbraio 2016, n. 2951 in riferimento ad allegazione e prova della titolarità della posizione giuridica vantata in giudizio Cass. 15 ottobre 2014, n. 21847 e Cass. 19 agosto 2009, n. 18399 in riferimento all’onere di provare le proprie allegazioni soltanto ove non specificamente contestate da controparte . La patrocinata ricostruzione sistematica della ripartizione dei rispettivi oneri di allegazione e di prova tra le parti nella fattispecie in esame trova piena conferma anche ove ricondotta ai principi in tema di responsabilità da inadempimento, di cui la normativa di carattere generale in materia di licenziamenti come principalmente stabilita dalla legge n. 604/1966 e dall’art. 18 della legge n. 300/1970 costituisce specificazione, essendo applicabile agli effetti del licenziamento, qualora non operi detta normativa, la disciplina civilistica dell’inadempimento Cass. 22 luglio 2004, n. 13731 . Sicché, in base a tali principi, il creditore attore lavoratore impugnante il licenziamento come illegittimo è onerato della allegazione e prova della fonte negoziale o legale del proprio diritto rapporto di lavoro a tempo indeterminato e dell’allegazione dell’inadempimento della controparte illegittimo esercizio del diritto di recesso per giustificato motivo oggettivo , mentre il debitore convenuto datore di lavoro è onerato della prova del fatto estintivo legittimo esercizio del diritto di recesso per giustificato motivo oggettivo nella ricorrenza dei suoi presupposti, tra i quali, come detto, anche l’impossibilità di repechage in coerenza con i principi di persistenza del diritto art. 2697 c.c. e di riferibilità o vicinanza della prova Cass. s.u. 30 ottobre 2001, n. 13533 . E tale principio di riferibilità o vicinanza della prova, conforme all’esigenza di non rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto del creditore a reagire all’inadempimento, senza peraltro penalizzare il diritto di difesa del debitore, in quanto nella migliore disponibilità degli elementi per dimostrare le ragioni del proprio comportamento, ormai di consolidata applicazione Cass. 29 gennaio 2016, n. 1665 Cass. 14 gennaio 2013, n. 2016 Cass. 2 settembre 2013, n. 20110 Cass. 17 aprile 2012, n. 6008 Cass. 6 giugno 2012, n. 9099 , trova coerente riscontro anche nel caso di specie per la maggiore vicinanza di allegazione e prova dell’impossibilità di repechage al datore di lavoro, non disponendo il lavoratore, al contrario del primo, della completezza di informazione delle condizioni dell’impresa, tanto più in una condizione di crisi, in cui esse mutano continuamente a misura della sua evoluzione e degli interventi imprenditoriali per rimediarvi o comunque indirizzarne gli sbocchi. Ciò che, d’altro canto, da tempo è stato ben presente a questa Corte, avendo in particolare essa osservato non si vede in realtà come sia esigibile un’indicazione del genere ossia dei posti assegnabili da parte del lavoratore licenziato, che è estraneo all’organizzazione aziendale Cass. 18 aprile 1991, n. 4164, che ha anche sottolineato la costanza di un indirizzo in tal senso della Corte . In via conclusiva, si comprende allora come la tralaticia affermazione di una sorta di cooperazione processuale del lavoratore, e più in generale di ogni parte, sul piano dell’allegazione in favore della controparte sia priva di alcun fondamento normativo soltanto sul piano sostanziale un tale obbligo di cooperazione è, infatti, previsto tra le parti, siccome tenute ad un comportamento di collaborazione, conforme ai principi di correttezza e di buona fede, a norma degli artt. 1175, 1206 e 1375 c.c., quale obbligazione collaterale alle principali Cass. 6 febbraio 2008, n. 2800 Cass. 16 gennaio 1997, n. 387 . Dalle superiori argomentazioni, assorbenti l’esame del quarto violazione e falsa applicazione degli artt. 3 L. 604/1966, 1175, 1375 c.c. e motivazione illogica, per mancata esatta valutazione della disponibilità manifestata allo svolgimento di mansioni anche inferiori e del quinto motivo violazione e falsa applicazione degli artt. 3 L. 604/1966, 1175, 1375 c.c. e motivazione contraddittoria, per omessa valutazione del proprio carico familiare nella valutazione della preferenza datoriale per la conservazione dell’incarico di direttore della divisione Geotecnica al dr. B. , discende coerente l’accoglimento dei due motivi congiuntamente scrutinati, con la cassazione della sentenza impugnata in relazione ad essi e rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Trieste in diversa composizione, sulla base del seguente principio di diritto In materia di illegittimo licenziamento per giustificato motivo oggettivo, spetta al datore di lavoro l’allegazione e la prova dell’impossibilità di repechage del lavoratore licenziato, in quanto requisito del giustificato motivo di licenziamento, con esclusione di un onere di allegazione al riguardo del secondo, essendo contraria agli ordinari principi processuali una divaricazione tra i due suddetti oneri, entrambi spettanti alla parte deducente . P.Q.M. La Corte rigetta il primo motivo accoglie il secondo e il terzo assorbiti gli altri cassa la sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio, alla Corte d’appello di Trieste in diversa composizione.