L’intervallo di alcuni giorni tra conoscenza dei fatti e contestazione è un termine accettabile

In materia di sanzioni disciplinari che il datore di lavoro può irrogare al lavoratore, il principio di immediatezza della contestazione ha carattere relativo, in quanto deve essere applicato tenuto conto della peculiarità della fattispecie e, in particolare, della concreta possibilità del datore di lavoro di venire a conoscenza della illegittimità della condotta del lavoratore e di reagire alla condotta medesima, in considerazione altresì della complessità dell'organizzazione del datore di lavoro, per un'adeguata valutazione della gravità dell'addebito mosso al dipendente e della validità o meno delle giustificazioni da lui fornite. Di conseguenza non appare tardiva la contestazione d’addebito intervenuta a distanza di pochi giorni dalla ricezione da parte dell’organo deputato ai procedimenti disciplinari delle risultanze del servizio ispettivo.

Così affermato dalla Corte di Cassazione, sezione Lavoro con la sentenza n. 4279/16, pubblicata il 4 marzo. Il caso impugnazione di sanzione disciplinare per addebito contestato dopo circa 10 giorni dalla conoscenza dei fatti da parte del datore di lavoro. Un dipendente di Poste Italiane, con qualifica di quadro, si rivolgeva al Tribunale del lavoro al fine di ottenere la declaratoria di illegittimità della sanzione della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per 4 giorni, irrogatagli a seguito di comportamento ritenuto negligente e pregiudizievole per l’Ente aveva lasciata incustodita sul bancone dell’ufficio una ingente somma di denaro dopo un’operazione di versamento e parte della somma era stata trafugata. Il Tribunale rigettava l’opposizione, dichiarando legittima la sanzione e rigettava la domanda di Poste Italiane di risarcimento del danno. Entrambi proponevano appello e la Corte d’appello dichiarava l’illegittimità della sanzione e condannava il lavoratore al risarcimento del danno, pari all’importo trafugato. Ricorrevano in Cassazione sia l’ente che il lavoratore per la riforma della sentenza d’appello. Il principio di immediatezza nel procedimento disciplinare. La Corte d’appello, nella sentenza impugnata aveva ritenuto che la contestazione d’addebito fosse tardiva, in quanto formalizzata a distanza di 7 mesi dall’evento contestato. Poste Italiane, nel motivo di censura proposto, lamenta che la Corte di merito non ha considerato che sui fatti contestati era stato svolto un accertamento da parte del servizio ispettivo, il cui esito era stato portato a conoscenza dell’organo aziendale deputato al procedimento disciplinare in data 18 febbraio 2002 quest’ultimo aveva contestato l’addebito al lavoratore in data 1 marzo 2002, dopo 10 giorni dalla conoscenza dei fatti. La Corte di Cassazione ritiene fondato il motivo di censura. E’ dettato consolidato della Suprema Corte quello secondo il quale in ambito di procedimento disciplinare vige il principio dell’immediatezza della contestazione, di cui all’articolo 7 della l. n. 300/1970, che mira da un lato ad assicurare al lavoratore incolpato il diritto di difesa nella sua effettività, dall’altro, nel caso di ritardo della contestazione, a tutelare il legittimo affidamento del prestatore sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto incriminabile. Con la conseguenza che in caso di tardiva contestazione dei fatti, si realizza una preclusione all’esercizio del potere disciplinare e l’invalidità della sanzione irrogata. Immediatezza e ragionevolezza Il principio di immediatezza deve essere contemperato con il tempo necessario per il datore di lavoro di prendere conoscenza con certezza dei fatti costituenti addebito. Costituisce infatti altro principio consolidato della Suprema Corte quello secondo cui il requisito di immediatezza della contestazione va inteso in senso relativo, in quanto deve tenersi conto della peculiarità della fattispecie e, in particolare, della concreta possibilità del datore di lavoro di venire a conoscenza della illegittimità della condotta del lavoratore e di reagire alla condotta medesima, in considerazione sia della complessità dell'organizzazione del datore di lavoro, per un'adeguata valutazione della gravità dell'addebito mosso al dipendente sia della validità o meno delle giustificazioni da lui fornite. 10 giorni tra conoscenza e contestazione sono un intervallo ragionevole. Nel caso specifico, tra la conclusione delle operazioni di ispezione e la messa a disposizione del relativo verbale ai vertici aziendali e la contestazione di addebito trascorsero 10 giorni. Questo lasso di tempo appare assolutamente giustificabile e dunque la contestazione d’addebito non può considerarsi tardiva. La decisione adottata dalla Corte d’appello appare pertanto errata, con conseguente accoglimento del motivo proposto. Confermata la condanna al risarcimento del danno. Non è stato viceversa ritenuto fondato il ricorso incidentale proposto dal lavoratore. Secondo i Giudici di legittimità, concordando con le motivazioni rese dalla Corte di merito, il comportamento tenuto dal lavoratore costituisce violazione delle più elementari norme di diligenza a carico di questi. L’aver lasciato incustodita una ingente somma di denaro al termine dell’operazione contabile eseguita costituisce grave omissione che non può minimamente essere giustificata da una asserita carenza di organizzazione nel sistema di sicurezza della postazione di lavoro abbandonata dal dipendente. Corretta pertanto appare la decisione della Corte territoriale di condanna al risarcimento del danno arrecato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 1 dicembre 2015 – 4 marzo 2016, n. 4279 Presidente Roselli – Relatore Bronzini Svolgimento del processo Il Tribunale di Roma con sentenza del 16.4.2008 dichiarava la legittimità del provvedimento disciplinare di sospensione dal servizio e dalla retribuzione per giorni quattro del 15.4. 2002 del dipendente delle Poste S.R. e rigettava le domanda proposte dalle Poste e dal S. di risarcimento del danno. La Corte di appello con sentenza del 20.2.2012 accoglieva in parte gli appelli delle parti e dichiarava l'illegittimità della sanzione disciplinare irrogata al S. e condannava quest'ultimo al risarcimento del danno in favore delle Poste liquidato in euro 8.470,00 oltre interessi legali. La Corte territoriale osservava che era stata contestata al S., quadro presso un Ufficio postale, di avere seguito un'operazione di versamento di lire 25.000.000, ma di non avere apposto il denaro immediatamente nel cassetto, ma invece di essersi attivato per fornire degli stampati ad altro cliente, per cui tornato alla postazione di lavoro il cliente non era più in sala e una parte del versamento L. 16.400.000 era scomparsa dal piano di appoggio del bancone per tale condotta era stata applicata la sanzione della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per 4 gg. Per la Corte di appello la contestazione era tardiva in quanto proposta dopo 7 mesi dal fatto e pertanto l' ingiustificabile ritardo comportava l'illegittimità della sanzione. Circa, invece, la riproposta domanda di risarcimento dei danno da parte delle Poste la stessa appariva fondata in quanto il comportamento tenuto dal lavoratore violava i doveri essenziali di diligenza, posto che la somma era stata lasciata incustodita per giunta da parte di un lavoratore con qualifica di quadro e quindi ben consapevole delle cautele e degli obblighi inerenti alla riscossione di una somma. Ininfluente era la circostanza dell'assenza di una linea gialla di cortesia e l'assenza del cassetto di sicurezza nella postazione occupata, visto che comunque il S. non avrebbe mai dovuta lasciare la somma incustodita. Pertanto sussistevano i presupposti per il chiesto risarcimento in favore delle Poste. Infondata era la domanda risarcitoria del S. in relazione all'indagine ispettiva in quanto era diritto dei datore di lavoro accertare eventuali illeciti disciplinari e no era emerso che l'ispezione fosse stata condotta in modo indebito. Per la cassazione di tale decisione propongono ricorso le Poste con un motivo resiste controparte con controricorso che ha proposto ricorso incidentale affidato a due motivi cui resiste Poste con controricorso. Motivi della decisione Con il motivo proposto le Poste lamentano l'erronea motivazione circa un fatto decisivo della controversia in ordine al rispetto del principio di immediatezza della contestazione. La Corte di appello aveva omesso di considerare che sui fatti si era svolto un accertamento ispettivo che era stato comunicato il 15.2.2002 alla Filiale di Roma Est che ne aveva preso conoscenza il 18.2.2002 per l'avvio del procedimento disciplinare il 1.3.2002 vi era stata la contestazione disciplinare. Pertanto il principio di immediatezza era stato rispettato con riferimento al momento in cui l'organo deputato a promuovere il procedimento disciplinare era venuto a conoscenza della ricostruzione ispettiva dei fatti. Il motivo appare fondato e pertanto va accolto. E' principio ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che il criterio di immediatezza vada inteso in senso relativo, tenuto conto anche dei tempi occorrenti per accertare la condotta del lavoratore e dell'eventuale complessità della struttura aziendale Cass. n. 6903/1994 Cass. n. 4790/2000 Cass. n. 6348/2000 Cass. n. 9253/2001 e moltissime altre . Nel caso in esame la struttura organizzativa è certamente complessa e contempla anche un Servizio ispettivo diverso dall'organo cui è deputato a promuovere, sulla base delle indicazioni del primo, il procedimento disciplinare. Pertanto applicandosi l'orientamento di cui sopra la contestazione non appare certamente tardiva in quanto intervenuta pochi giorni dopo che l'organo titolare del potere disciplinare ha avuto conoscenza degli investimenti ispettivi. L'affissione del codice disciplinare dato e non concesso che essa fosse necessaria con riferimento all'illecito in discorso2 consistente in un comportamento mascoscopicamente negligente è stata incensurabilmente accertata dalla Corte di appello vedi la sentenza impugnata, pag. 2 . Con il primo motivo del ricorso incidentale si allega la violazione e falsa applicazione dell'art. 2104 c.c., dell'art. 2086 e dei d. Igs n. 626/94, nonché l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. La postazione ove operava il S. era priva di quanto necessario al lavoratore per operare in sicurezza. La somma non era rimasta incustodita ed accessibile al pubblico perché si trovava dietro ad un vetro blindato all'interno dell'Ufficio. Il motivo appare infondato in quanto è stata contestata ed accertata da parte del ricorrente in via incidentale la violazione dei più elementari doveri di diligenza posto che, pur avendo ricevuto una somma di una certa consistenza per l'incasso, si era occupato di altre richieste di clienti lasciando la detta somma incustodita. Appare evidente che questa grave omissione che concerne quella minima diligenza che deve tenere una persona che custodisce una ingente somma di denaro abbia poco a che fare con l'eventuale carenza nell'organizzazione del sistema di sicurezza della postazione, visto che se il S. non si fosse allontanato senza sorvegliare la somma, questa in parte non sarebbe certamente sparita. La motivazione appare congrua e logicamente coerente le censure, oltre che di merito, appaiono non pertinenti. Con il secondo motivo si allega l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 c.c. e 2059 c.c. La postazione era priva di elementari sistemi di sicurezza il S. aveva chiesto un risarcimento del danno per tali violazioni. il motìvo appare inammissibile per difetto di autosufficienza. La corte di appello ha ricordato che il S. aveva richiesto in appello anche il risarcimento del danno cagionatogli dalla indagine ispettiva e dall'attribuzione dì un fatto criminoso e ha ritenuto che era diritto del datore di lavoro verificare il comportamento dei lavoratore e che non vi era alcuna prova che l'ispezione avesse travalicato i limiti di una corretta acquisizione degli elementi relativi ai fatti per cui è processo. Parte ricorrente in via incidentale allega che il risarcimento richiesto invece riguardava altri profili, in particolare il danno alla salute per avere operato in una postazione non dotata di idonei sistemi di sicurezza ma non riproduce o ricostruisce esattamente i termini con cui aveva posto la questione in appello sicché il motivo è generico e non rispettoso di quanto previsto all'art. 366 n. 6 c.p.c. Pertanto, riuniti i ricorsi, va accolto il ricorso principale, rigettato l'incidentale va conseguentemente cassata la sentenza impugnata con rinvio anche in ordine alle spese, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione. La Corte ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente ìn via incidentale , dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13. P.Q.M. La Corte riuniti i ricorsi, accoglie il ricorso principale, rigettato l'incidentale, cassa la sentenza impugnata con rinvio anche in ordine alle spese, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione. La Corte ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater dei d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente in via incidentale , dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1.