Prosecuzione del rapporto di lavoro con l’acquirente: sì, se il rapporto è in essere al momento della cessione

In materia di cessione d’azienda la continuità del rapporto di lavoro ex art. 2112 c.c. postula la sussistenza di un rapporto di lavoro valido ed efficace al momento del trapasso aziendale. Qualora risulti che il lavoratore era già stato licenziato al momento della cessione e l’atto di recesso non impugnato nei termini di legge dal lavoratore, viene meno il diritto di questi al trasferimento presso il cessionario, anche se gli effetti del recesso operano in epoca successiva all’attuato trasferimento.

Cosi deciso dalla Corte di Cassazione, sezione Lavoro con la sentenza n. 2747, depositata l’11 febbraio 2016. La vicenda esaminata. Impugnazione di licenziamento da parte di lavoratore di azienda ceduta volta ad ottenere il diritto al trasferimento presso l’azienda cessionaria. Un lavoratore dipendente di una società ceduta si rivolgeva al giudice del lavoro al fine di ottenere il diritto al trasferimento presso l’azienda cessionaria, impugnando contestualmente il recesso attuato dalla cedente. Il Tribunale accoglieva la domanda. Proponeva appello l’azienda e la Corte d’appello riformava la sentenza di primo grado, rigettando la domanda, ritenendo non sussistenti gli elementi richiesti dall’articolo 2112 c.c. per un valido trasferimento del lavoratore presso l’azienda cessionaria. Proponeva ricorso in Cassazione il lavoratore. La continuità del rapporto di lavoro in caso di cessione d’azienda. In materia di trasferimento di azienda, si ha continuità del rapporto di lavoro tra datore cedente e ceduto a condizione che sussista al momento dell’atto di cessione un valido ed efficace rapporto di lavoro. Tale condizione non può ritenersi sussistente nel caso in cui il lavoratore, prima della stipula dell’atto di cessione d’azienda, venga licenziato, con provvedimento di recesso regolarmente ricevuto. Ciò anche nel caso in cui gli effetti del provvedimento espulsivo operino in epoca successiva al trasferimento. Il licenziamento deve comunque essere impugnato tempestivamente Secondo il lavoratore ricorrente la cessione d’azienda era intervenuta in costanza di rapporto di lavoro, sul presupposto che il datore di lavoro cedente, dopo l’invio del provvedimento di recesso, avesse ritenuto di far proseguire in via provvisoria il rapporto, prorogando gli effetti della cessazione del rapporto per un brevissimo arco temporale. Ma gli Ermellini non condividono l’assunto. Viene in primo luogo affermato che per principio consolidato, il provvedimento di licenziamento, quale atto unilaterale recettizio, si perfeziona nel momento in cui giunge a conoscenza del lavoratore destinatario. Da tale momento decorre il termine di decadenza per l’impugnazione ai sensi della l. n. 604/1966. Restando così irrilevante che la cessazione del rapporto di lavoro si verifichi in secondo tempo. Nel caso specifico l’impugnazione al licenziamento non venne attuata dal lavoratore, facendo così consolidare l’efficacia del recesso attuato. la mancata impugnazione fa cessare il rapporto di lavoro alla data del provvedimento di recesso. Secondo altro principio giurisprudenziale della Suprema Corte, in conseguenza del principio secondo cui gli atti unilaterali producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza della persona alla quale sono destinati, la dichiarazione di volontà, espressa con l'atto unilaterale di recesso, si intende perfezionata con la sola emissione e a tale momento occorre risalire per valutare la capacità e volontà del dichiarante. Conseguentemente, il cessionario dell'azienda subentra in tutti i rapporti dell'azienda ceduta nello stato in cui si trovano, ivi compreso il rapporto caratterizzato da un licenziamento intimato dal cedente, con onere, per il lavoratore, di impugnare il recesso nei sessanta giorni per evitare di incorrere nella decadenza di cui all'art. 6 l. n. 604/1966 e correlata possibilità per il datore di lavoro cessionario opporre le eccezioni e difese spettanti al cedente. La Corte d’Appello ha dunque correttamente fatto applicazione dei principi di diritto enunciati, ritenendo ormai cessato il rapporto di lavoro al momento della cessione d’azienda, per mancata tempestiva impugnazione del recesso. Irrilevante il prolungamento del preavviso. Peraltro, concludono i Giudici di legittimità, rimane irrilevante la decisione del datore di lavoro cedente di posticipare l’efficacia del licenziamento, in quanto ciò non ha fatto altro che prolungare il periodo di preavviso, senza incidere sulla volontà di risoluzione del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro. E dunque non può ritenersi una volontà di revoca dell’attuato recesso. Il ricorso è stato così ritenuto infondato e rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 3 dicembre 2015 – 11 febbraio 2016, numero 2747 Presidente Macioce – Relatore Buffa Svolgimento del processo La corte d'appello di Napoli, con sentenza del 24/2/10, in riforma della sentenza dei 6/10/05 del tribunale della stessa sede, ha rigettato la domanda con la quale il lavoratore P., licenziato dalla società La Metropoli, la cui azienda era stata ceduta a terzi, aveva impugnato il recesso e chiesto l'accertamento del suo diritto a transitare presso la cessionaria Security. In particolare, la corte territoriale mentre ha escluso l'acquiescenza del lavoratore al recesso per aver egli sottoscritto nuovo contratto con la Security il 1.3.01 non ritenendo il fatto in sé rilevante, e non essendo prodotto il contratto in modo di poter verificare eventuali riferimenti al precedente rapporto lavorativo , ha ritenuto la decadenza dei lavoratore dall'impugnazione del recesso del 22.12.00, per scadenza del termine di sessanta giorni ex art. 6 I. 604/1966 infine, ha ritenuto che la proroga del rapporto lavorativo disposta per brevissimo periodo dal datore con lettera -in costanza di preavviso dopo l'intimazione del recesso in ragione della proroga dell'esercizio provvisorio dell'impresa era al più illegittima, ma non poteva ritenersi revoca del precedente recesso in ragione del suo obiettivo tenore. Avverso tale sentenza ricorre il lavoratore datore per sette motivi, cui resiste il datore con controricorso. Motivi della decisione II ricorrente deduce 1 Ex art. 360 numero 3 e 5 c.p.c., violazione degli artt. 414 e 434 c.p.c. e vizio di motivazione, per aver trascurato l'assenza nell'appello di specifiche censure alla sentenza di primo grado. 2 Ex art. 360 numero 3 e 5 c.p.c.,violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. e vizio di motivazione, per aver trascurato che la stipula di nuovo contratto, peraltro non prodotto, non implica rinuncia all'impugnativa di precedente recesso. 3 Ex art. 360 numero 3 c.p.c., violazione degli artt. 6 I. 6041966, per aver trascurato che il rapporto era proseguito con il cessionario e non occorreva impugnare nei termini il recesso verso soggetto che non era più datore. 4 Ex art. 360 numero 3 c.p.c., violazione degli artt. 2 I. 6041966, per aver trascurato che il secondo licenziamento proveniva da soggetto che non era più datore. 5 Ex art. 360 numero 3 e 5 c.p.c., violazione degli artt. 2 I. 6041966 e vizio di motivazione, per le ragioni di cui al punto che precede. 6 Ex art. 360 numero 3 e 5 c.p.c., violazione dell'art. 2112 c.c., per aver trascurato che la cessione di azienda era intervenuta in costanza di rapporto di lavoro. 7 Ex art. 360 numero 3 e 5 c.p.c.,violazione degli artt. 2112 c.c., 47 I. 428/90, 3 co. 3 I. 223/91, per aver trascurato la cessione d'azienda avvenuta senza deroghe. Preliminare è l'esame dei sesto motivo di ricorso. Come rilevato dalla corte territoriale, la continuità dei rapporto di lavoro con l'acquirente ex art. 2112 c.c. postula la sussistenza di un rapporto di lavoro valido ed efficace al momento del trapasso aziendale nella specie, tale condizione non si era verificata in quanto il lavoratore era stato già licenziato con atto del 22.12.00, atto peraltro intangibile in quanto non impugnato dal lavoratore nel termine di legge. La soluzione è corretta per le ragioni di seguito indicate. Da un lato, infatti come ritenuto già da questa Corte, Sez. L, Sentenza numero 6845 del 24/03/2014 , il licenziamento, quale negozio unilaterale recettizio, si perfeziona nel momento in cui la manifestazione di volontà del datore di lavoro giunge a conoscenza del lavoratore, sicché la decorrenza del termine di decadenza, per l'impugnazione del recesso, opera dalla comunicazione del licenziamento e non dal momento, eventualmente successivo, di cessazione dell'efficacia dei rapporto di lavoro. Per altro verso, si è ritenuto Sez. L, Sentenza numero 15678 del 11/07/2006 che il cessionario dell'azienda subentra in tutti i rapporti dell'azienda ceduta nello stato in cui si trovano, ivi compreso il rapporto caratterizzato da un licenziamento intimato dal cedente, con onere, per il lavoratore, di impugnare il recesso nei sessanta giorni per evitare di incorrere nella decadenza di cui all'art. 6 della legge numero 604 del 1966 Nello stesso senso, e più in generale, Sez. L, Sentenza numero 4130 del 21/02/2014, secondo la quale resta salva la possibilità per il cessionario, convenuto in giudizio ai sensi dell'art. 2112 cod. civ., di opporre le eccezioni relative al rapporto di lavoro, alle modalità della sua cessazione o alla tutela applicabile al cedente avverso il licenziamento, a prescindere dalle difese spiegate da quest'ultimo e dalla formazione del giudicato nei suoi confronti ed in favore del lavoratore . Applicati tali principi al caso di specie, non può che confermarsi la correttezza della soluzione adottata dalla corte territoriale, posto che il lavoratore non ha impugnato il licenziamento nel termine. Resta peraltro irrilevante la lettera datoriale del 30.12.2001 che ha differito l'efficacia del licenziamento, atteso che tale lettera non ha fatto altro che spostare nel tempo la produzione degli effetti dell'atto e dunque ha prolungato il periodo di preavviso, senza incidere in alcun modo sulla volontà risolutiva del rapporto da parte del datore ciò è del resto confermato dal carattere puramente estrinseco al rapporto delle ragioni del differimento dell'efficacia del licenziamento, correlato solo ad un provvisorio e breve prolungamento dell'esercizio provvisorio dell'attività di impresa. Il ricorso va dunque rigettato in relazione al motivo sesto. I restanti motivi, che presuppongono la situazione non ricorrente di continuazione del rapporto con il cessionario senza soluzione di continuità, restano assorbiti. Le spese di lite vanno compensate, in considerazione della particolarità della fattispecie, caratterizzata come detto da una lettera datoriale di differimento del termine dell'originario licenziamento, in un arco temporale nel quale veniva stipulata la cessione di azienda. P.Q.M. rigetta il sesto motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri compensa le spese di lite.