Risoluzione tacita: oltre l’inerzia c’è di più

Affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che sia accertata una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, sicché la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine è di per sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso.

Così ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 2645/2016, depositata il 10 febbraio. La fine poco chiara di un rapporto di lavoro. Il dato fattuale è chiaro un rapporto di lavoro a termine cessava regolarmente alla scadenza pattuita, il lavoratore restava fermo per ben quattro anni, dopodiché decideva di impugnare quel contratto, chiedendo la nullità del termine e la conversione dello stesso in contratto a tempo indeterminato. L’inerzia o lentezza, che dir si voglia, del lavoratore nel far valere la nullità/inefficacia del termine apposto al proprio contratto veniva letta dei giudici di merito come una volontà risolutiva del rapporto di lavoro, di conseguenza, risultava inutile convertire il contratto impugnato in contratto a tempo indeterminato, poiché si sarebbe data continuità ad un rapporto di lavoro ormai esauritosi. Il lavoratore proponeva, quindi, ricorso in Cassazione, sede in cui il datore di lavoro continuava ad eccepire lo scioglimento del rapporto di lavoro per mutuo consenso. Risoluzione o prosecuzione? La Corte di Cassazione è, quindi, chiamata ad interpretare il comportamento delle parti, applicando gli artt. 1372 e 1321 c.c. sull’interpretazione del contratto. La Suprema Corte parte dal presupposto che il comportamento delle parti sia, per sua natura, un dato soggettivo, la cui valutazione deve essere svincolata da dati squisitamente oggettivi come, ad esempio, il trascorre del tempo. Nel caso di specie, il mero decorso del tempo e la mera inerzia del lavoratore costituiscono un semplice fatto che, al di fuori delle ipotesi tipiche fissate dalla legge, è di per sé irrilevante. Tantomeno può essere sufficiente al fine della risoluzione del rapporto per mutuo consenso tacito la cessazione della funzionalità del rapporto di lavoro, tanto più che in esso possono intervenire svariate ipotesi di sospensione, siano esse previste ex lege o derivanti dalla volontà delle parti. Diversamente, la Corte d’appello aveva rilevato una cessazione per mutuo consenso tacito in considerazione del lungo tempo trascorso tra la cessazione di fatto del rapporto di lavoro ed il deposito del ricorso, nonché della mancanza di giustificazioni del lavoratore circa il tempo trascorso inutilmente. In questo senso, secondo la Corte di Cassazione, risultano violate le regole di ripartizione dell’onere della prova, per le quali grava sul datore di lavoro l’onere di provare la ricostruzione della volontà delle parti in ordine alla cessazione del rapporto. L’indicazione della Corte di Cassazione. Poiché la valutazione del significato degli elementi di fatto compete al giudice di merito, gli ermellini cassano il ricorso con rinvio, indicando alla Corte d’appello il criterio interpretativo per valutare l’effettiva volontà delle parti ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che sia accertata una chiara e certa comune volontà delle parti di porre, definitivamente, fine ad ogni rapporto lavorativo. A tale scopo non è sufficiente considerare il solo lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, ma anche il comportamento tenuto dalle parti nonché eventuali circostanze significative, in modo tale che venga rispettato il sistema delle presunzioni previsto dall’art. 2729 comma 1 c.c., secondo cui il giudice deve ammettere presunzioni gravi, precise e concordanti. L’inerzia non basta, non basta nemmeno che il lavoratore non riesca a giustificare la propria inerzia ci vuole altro, altre circostanze significative quali?

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 22 ottobre 2015 – 10 febbraio 2016, n. 2645 Presidente Stile – Relatore Esposito Svolgimento dei processo 1.Con sentenza dei 18/3/2009-28/11/2009 la Corte d'appello di Roma ha confermato la decisione dei giudice di primo grado che aveva respinto la domanda avanzata da N.P. ai fine di far dichiarare la nullità della clausola di apposizione dei termine contenuta nel contratto intercorso tra la medesima e Poste Italiane s.p.a. dal 3/6/1999 al 30/10/1999 per esigenze eccezionali ex art. 23 156/1987 e 8 CCNL dei 26/11/1994. 2. I giudici dei merito, di primo e secondo grado, ravvisavano la volontà risolutiva del rapporto in ragione del protrarsi dell'inerzia della ricorrente dopo la cessazione dei medesimo, della breve durata dei rapporto, nonché dalle circostanze dell'avere la N. svolto altrove la propria attività, instaurando altro rapporto di lavoro a tempo determinato e dell'aver continuato a versare contributi come coltivatore diretto. 3. Avverso la sentenza la N. propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, illustrato mediante memorie. Resiste Poste italiane S.p.A. con controricorso. Motivi della decisione 1.Con il primo motivo di ricorso Poste Italiane S.p.A. deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 comma secondo c.comma art. 360 n. 3 c.p.c. , in ragione della ritenuta fondatezza dell'eccezione di scioglimento del rapporto per mutuo consenso sollevata dalla società intimata, affermando che la parte appellante non ha fornito alcuna giustificazione circa il tempo trascorso tra il termine finale del contratto e la richiesta di ricostituzione dei rapporto. 2. Di seguito deduce violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1372 c.comma art. 360 n. 3 c.p.c. , sempre in materia di ritenuto scioglimento dei rapporto per mutuo consenso, non essendo stata verificata la volontà chiara e certa delle parti di volere, d'accordo tra loro, porre definitivamente fine al rapporto. 3. Con il terzo motivo lamenta motivazione insufficiente e contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio art. 360 n. 5 c.p.c. , in ragione della inidoneità del lasso temporale intercorso dalla cessazione dei rapporto - da solo o in uno ad altre circostanze - a comprovare la risoluzione dello stesso per mutuo consenso. 4.Deduce, ancora, violazione o falsa applicazione dell'art. 2729 comma 1 c.comma art. 360 n. 3 c.p.c. , per erronea ritenuta sussistenza di presunzioni dotate dei necessari caratteri della gravità, precisione e concordanza. S.Si duole, infine, della violazione dell'art. 2729 comma 2 c.c., che vieta l'operatività delle presunzioni semplici nei casi in cui la legge esclude la prova per testimoni art. 360 n. 3 c.p.c. . 6. I motivi, che, in quanto strettamente connessi possono essere trattati congiuntamente, risultano fondati e vanno accolti. Come questa Corte ha più volte affermato nel giudizio instaurato ai fini dei riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell'illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione dei rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata - sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell'ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative - una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo v. Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9 2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, nonché da ultimo Cass. 18-11-2010 n. 23319, Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n. 16932 . La mera inerzia dei lavoratore dopo la scadenza dei contratto a termine, quindi è di per sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione dei rapporto per mutuo consenso v. da ultimo Cass. 15- 11-2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n. 5887 , mentre grava sul datore di lavoro , che eccepisca tale risoluzione, l'onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro v. Cass. 2-12-2002 n. 17070 e fra le altre da ultimo Cass. 1- 2-2010 n. 2279, Cass. 15-11-2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n. 5887 e la valutazione del significato e della portata del complesso degli elementi di fatto compete ai giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto v. Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8- 2011 n. 16932 . 7.Tali principi, dei tutto conformi al dettato di cui agli art. 1372 e 1321 c.c., e al sistema, sono stati ripetutamente ribaditi da questa Corte si veda per tutte Cass. Sez. L, Sentenza n. 13535 del 01/07/2015, Rv. 635842 . Va, pertanto, ulteriormente confermato il richiamato indirizzo consolidato, basato in sostanza sulla necessaria valutazione dei comportamenti e delle circostanze di fatto, idonei ad integrare una chiara manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del rapporto, non reputandosi all'uopo sufficiente il semplice trascorrere dei tempo e neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto. Al riguardo, infatti, non può condividersi il diverso indirizzo che, valorizzando esclusivamente il piano oggettivo nel quadro di una presupposta valutazione sociale tipica v. Cass. 6-7-2007 n. 15264 e da ultimo Cass. 5-6-2013 n. 14209 , prescinde dei tutto dal presupposto che - come è stato chiarito da Cass. 28-1-2014 n. 1780 - la risoluzione per mutuo consenso tacito costituisce pur sempre una manifestazione negoziale che in quanto tale, seppure tacita, non può essere configurata su un piano esclusivamente oggettivo. D'altra parte, il mero decorso del tempo e la mera inerzia dei lavoratore costituiscono un semplice fatto che, al di fuori delle ipotesi tipiche fissate dalla legge, di per sé è irrilevante. Né può essere sufficiente al fine della risoluzione dei rapporto per mutuo consenso tacito la mera cessazione della funzionalità di fatto del rapporto stesso, tanto più che nel rapporto di lavoro possono anche intervenire numerose ipotesi di sospensione, previste dalla legge o derivanti dalla volontà delle parti v. fra le altre Cass. 7- 7-1998 n. 6615 . 8.Orbene, nella fattispecie la Corte di merito ha ritenuto configurabile la risoluzione per mutuo consenso tacito in considerazione del decorso temporale tra la cessazione di fatto del rapporto e il deposito dei ricorso oltre 4 anni e della mancanza di giustificazione da parte dei lavoratore circa il tempo trascorso quest'ultima in alternativa alla mancanza di assunzione di informazioni per il caso di tardiva consapevolezza . In ciò risultano violate le indicate regole di ripartizione dell'onere della prova, gravante sul datore di lavoro, riguardo alle circostanze dalle quali possa ricavarsi la ricostruzione della volontà negoziale di scioglimento dei rapporto. Né residui enunciati elementi la breve durata dei rapporto intercorso tra le parti, l'instaurazione di altro rapporto a tempo determinato e il versamento di contributi in agricoltura , possono essere ritenuti sufficienti, in termini di presunzioni rilevanti ex art. 2729 comma 1 c.c., al fine della dimostrazione del sostanziale disinteresse dei lavoratore al ripristino del rapporto. 9. Per tutte le ragioni indicate il ricorso va accolto con rinvio al giudice del merito che nella decisione della controversia si atterrà al seguente principio di diritto Nel giudizio instaurato ai fini dei riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell'illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata, non solo sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell'ultimo contratto a termine, ma anche dei comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative, una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, nel rispetto del sistema delle presunzioni ex art. 2729 comma 1 c.comma P.Q.M. La Corte cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione.