Somministrazione a termine: cambio di rotta sulla decadenza

Il regime di decadenza di cui all’art. 6 l. n. 604/66, come novellato dall’art. 32, comma 4, l. n. 183/2010, si applica ai contratti di somministrazione a termine in corso alla data di entrata in vigore della legge stessa 24.11.2010 nonché ai contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della citata legge e già scaduti a tale data.

Con la sentenza n. 2420/16, depositata l’8 febbraio, la Corte di Cassazione inverte il proprio recentissimo orientamento in tema di decadenza dall’impugnazione dei contratti di somministrazione a tempo determinato Cass. 21916/2015 . Lavoratore somministrato, lavoratore sfortunato. Un lavoratore assunto con contratto di somministrazione a termine ricorreva in Cassazione sollevando due questioni di diritto se il termine di decadenza previsto per l’impugnazione dei contratti di somministrazione a termine si applica anche ai contratti stipulati prima dell’entrata in vigore del c.d. Collegato Lavoro l. n. 183/2010 quale sia il dies a quo per l’impugnazione del contratto di somministrazione. L’art. 32 del Collegato Lavoro ha introdotto il termine di decadenza di 60 giorni per l’impugnazione del contratto di somministrazione a termine. Nel suo complesso, il Collegato Lavoro è entrato in vigore il 24.11.2010, mentre la disposizione sulla decadenza, in virtù del c.d. decreto milleproroghe, è entrata in vigore al 31.12.2011. Questo slittamento” ha assicurato ai lavoratori ed ai loro difensori un arco di tempo utile per adeguarsi alla nuova e più rigorosa disciplina dell’impugnazione. Ciò non sarebbe stato necessario se il nuovo meccanismo decadenziale non fosse stato applicabile anche ai contratti cessati prima dell’entrata in vigore del Collegato Lavoro. E’ questo il grimaldello utilizzato dalla Corte di Cassazione per risolvere la questione della retroattività o meno del termine di decadenza previsto per l’impugnazione dei contratti di somministrazione a termine. Una cosa è l’impugnazione, un’altra, il contratto. Secondo lo storico orientamento della Suprema Corte, sussiste retroattività quando una disposizione introduce - per fatti e rapporti già assoggettati all’imperio di una legge precedente - una nuova disciplina degli effetti che si sono già esauriti sotto la legge anteriore oppure, quando si ha una nuova disciplina di tutti gli effetti di un rapporto giuridico sorto prima dell’entrata in vigore della nuova norma, senza distinzione tra effetti verificatisi prima o dopo l’entrata in vigore della nuova disposizione. Diversamente non si può parlare di retroattività quando la nuova norma disciplina status , situazioni e rapporti che, pur costituendo effetti di un pregresso rapporto generatore, siano distinti ontologicamente e funzionalmente da quest’ultimo. E’ questo il caso dell’impugnazione del contratto di somministrazione a termine una cosa è il contratto di somministrazione, un’altra è la sua impugnazione, impugnazione per la quale è stata introdotta una nuova norma che prevede un termine di decadenza, prima non contemplato. Secondo la Corte è ammissibile l’applicabilità di una nuova legge alle situazioni già esistenti alla data di entrata in vigore della nuova disciplina, quando esse debbano essere considerate a prescindere dal fatto giuridico che le ha poste in essere e in modo tale che la nuova norma non modifichi l’assetto giuridico del fatto anteriore. A nulla rileva che tali situazioni siano determinate da un fatto anteriore all’entrata in vigore della nuova disciplina. Alla data di entrata in vigore dell’art. 32 Collegato Lavoro 1.1.2012 il lavoratore già poteva impugnare il proprio contratto di somministrazione scaduto anteriormente , pertanto, il nuovo regime decadenziale può trovare applicazione al caso di specie. Si è, quindi, in presenza di una retroattività impropria. Ciò considerato la Corte di Cassazione ribalta il suo precedente orientamento affermando che il termine decadenziale introdotto dal Collegato Lavoro si applica sia ai contratti di somministrazione a termine in corso alla data di entrata in vigore del Collegato, sia a quelli già scaduti in tale data da qui la necessità di prorogare l’entrata in vigore della norma sul termine decadenziale . Dies a quo per la decadenza. Gli altri due motivi di ricorso sono più lineari. Il dies a quo per determinare il termine di decadenza è rappresentato dalla data di scadenza del contratto di somministrazione. Come nei contratti a tempo determinato, infatti, il rapporto di lavoro del somministrato a termine cessa alla data di scadenza, senza necessità di avvisi o risoluzioni formali. Pertanto è dal termine apposto alla somministrazione che decorrono i 60 giorni per impugnare il contratto viziato, non da comunicazioni di cessazione che, peraltro, non sono nemmeno previste dalla legge. Il fatto, quindi, che non vi sia comunicazione formale della cessazione del contratto non comporta il diritto del lavoratore ad impugnare tale contratto sine die . In ogni caso, il rinnovo per un numero indefinito di volte del contratto di somministrazione non autorizza di per sé il lavoratore a nutrire un giustificato affidamento a riguardo, tale da far ritener indispensabile una formale contraria comunicazione da parte del somministratore.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 17 novembre 2015 – 8 febbraio 2016, n. 2420 Presidente Stile – Relatore Manna Svolgimento del processo Con sentenza depositata il 17.6.14 la Corte d'appello di Brescia rigettava il gravame di A.E.B. contro la sentenza del Tribunale della stessa sede che ne aveva respinto, per intervenuta decadenza ex art. 32 co. 4 legge n. 183/10, la domanda volta ad ottenere la declaratoria di illegittimità dei contratti di somministrazione in forza dei quali egli aveva lavorato presso la Pelletterie Moon S.r.l. unipersonale con due contratti conclusi tra l’11.2. e il 30.11.11, contratti che il lavoratore aveva impugnato solo in data 31.3.12. Per la cassazione della sentenza ricorre A.E.B. affidandosi a due motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c Pelletterie Moon S.r.l. unipersonale resiste con controricorso. Motivi della decisione 1- Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 32 co. 4 legge n. 183/10 e degli artt. 12 e 14 disp. prel. al c.c. per avere l'impugnata sentenza ritenuto che il termine di 60 giorni per impugnare il contratto di somministrazione decorra dalla scadenza del contratto medesimo anziché dalla comunicazione scritta della sua cessazione da parte dell'agenzia di somministrazione comunicazione mai avvenuta nel caso di specie , vale a dire dal momento in cui il datore di lavoro rende noto al lavoratore il proprio intento di porre fine al rapporto sostiene altresì il ricorrente che, a differenza di quanto avviene per le assunzioni a termine per le quali è previsto un limite massimo di reiterazione di 36 mesi ai sensi del d.l. n. 24/14 , per il ricorso al lavoro in somministrazione non è previsto alcun limite, sicché esso ben può essere reiterato per un numero indefinito di volte a sostegno della tesi dell'inapplicabilità del termine di decadenza il ricorrente cita l'interpello n. 12/2014 del Ministero del lavoro. Il secondo motivo prospetta violazione e falsa applicazione dell'art. 32 legge n. 183/10 e degli artt. 11 e 12 disp. prel. al c.c., per avere la Corte territoriale affermato l'applicabilità, a partire dal 1.1.12, del termine di decadenza di cui all'art. 6 legge n. 604/66, come modificato dall'art. 32 cit., anche ai contratti di somministrazione stipulati prima dell'entrata in vigore dell'art. 32 legge n. 183/10, sebbene si tratti di norma irretroattiva, come desumibile anche da Corte cost. 4.6.14 n. 155. 2- Per esigenze di logica espositiva va dapprima esaminato il secondo motivo di ricorso, che si rivela infondato. Dispone l'art. 32 co. 4 legge n. 183/10 Le disposizioni di cui all'articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano anche a ai contratti di lavoro a termine stipulati ai sensi degli articoli 1, 2 e 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore della presente legge, con decorrenza dalla scadenza del termine b ai contratti di lavoro a termine, stipulati anche in applicazione di disposizioni di legge previgenti al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e già conclusi alla data di entrata in vigore della presente legge, con decorrenza dalla medesima data di entrata in vigore della presente legge c alla cessione di contratto di lavoro avvenuta ai sensi dell'articolo 2112 del codice civile con termine decorrente dalla data del trasferimento d in ogni altro caso in cui, compresa l'ipotesi prevista dall'articolo 27 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, si chieda la costituzione o l'accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto. . Si premetta che non giova all'interpretazione suggerita da parte ricorrente la sentenza n. 155/14 della Corte cost. nella parte in cui afferma che L'applicazione retroattiva del più rigoroso e gravoso regime della decadenza alla sola categoria dei contratti a termine già conclusi prima della entrata in vigore della legge n. 183 del 2010, lasciando immutato per il passato il più favorevole regime previsto per le altre ipotesi disciplinate dalla norma, non si pone in contrasto con il principio di ragionevolezza . Invero, tale affermazione della Corte cost. da un lato è maturata su una vicenda. diversa da quella odierna perché relativa a contratti stipulati prima dell'entrata in vigore della legge n. 183/10, dall'altro non prende autonoma posizione sulla correttezza dell'interpretazione proposta dall'ordinanza di rimessione la cui individuazione è, infatti, compito del giudice della nomofilachia, vale a dire di questa Corte Suprema , ma si limita ad effettuare lo scrutinio di legittimità costituzionale della norma come interpretata dall'ordinanza del giudice remittente, che ipotizzava un'irragionevole disparità di trattamento fra l'ipotesi del contratto a termine - di cui alla lett. b del cit. art. 32 co. 4 legge n. 183/10 - e le altre disciplinate dallo stesso articolo. Ora, è l'interpretazione dell'ordinanza di rimessione a dover essere discussa, atteso che, come questa S.C. ha già avuto modo di statuire v. Cass. n. 24233/14 , l’ incipit del comma 1 bis dell'art. 32 legge n. 183/10 introdotto dal c.d. decreto milleproroghe , ove si parla di una prima applicazione In sede di prima applicazione, le disposizioni di cui all'articolo 6, primo comma, della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, relative al termine di sessanta giorni per l'impugnazione del licenziamento, acquistano efficacia a decorrere dal 31 dicembre 2011. , oggettivamente evoca un meccanismo di nuovo conio per il quale è stato assicurato un adeguato arco temporale affinché i lavoratori e i loro difensori potessero adeguarsi alla nuova più rigorosa disciplina, che espone il dipendente licenziato all'onere di ben due diversi termini di decadenza. Ciò non sarebbe stato necessario se tale nuovo meccanismo non fosse stato applicabile anche a contratti cessati prima dell'entrata in vigore dell'art. 32 cit. Inoltre, l'art. 252 disp. att. c.c. testimonia della normale applicabilità di nuovi più brevi termini di prescrizione e decadenza anche a fronte di diritti sorti anteriormente. È pur vero che nel caso che qui interessa si tratta non già dell'introduzione d'un più breve termine di decadenza, bensì dell'introduzione d'un termine di decadenza là dove prima non ve ne erano. Tuttavia ciò non importa una retroattività propriamente detta, ma soltanto l'assoggettamento d'un diritto, già acquisito, ad un termine di decadenza per il suo esercizio. Invero, secondo antico ma pur sempre attuale insegnamento di questa S.C. v. Cass. n. 2705/82 Cass. n. 2743/75 , si può parlare di retroattività normativa quando una disposizione di legge introduca, per fatti e rapporti già assoggettati all'imperio di una legge precedente, una nuova disciplina degli effetti esauritisi facta praeterita sotto la legge anteriore con l'eccezione data dal limite della cosa giudicata , ovvero una nuova disciplina di tutti gli effetti di un rapporto posto in essere prima dell'entrata in vigore della nuova norma, senza distinzione tra effetti verificatisi anteriormente o posteriormente alla nuova disposizione. Non sussiste, invece, retroattività ove la nuova norma disciplini gli atti di un procedimento, anche se riguardanti eventi ed effetti sostanziali già compiuti e si tratti della sua applicazione agli atti da compiere, oppure - ed è questa l'ipotesi che qui viene in rilievo - quando la nuova norma disciplini status, situazioni e rapporti che, pur costituendo lato sensu effetti di un pregresso fatto generatore previsti e considerati nel quadro di una diversa normativa , siano distinti ontologicamente e funzionalmente indipendentemente dal loro collegamento con detto fatto generatore , in quanto suscettibili di una nuova regolamentazione mediante l'esercizio di poteri e facoltà non consumati sotto la precedente disciplina. In altre parole, è ammissibile l'applicabilità di una nuova legge alle situazioni esistenti o sopravvenute in un momento posteriore all'entrata in vigore della nuova legge, pur se determinate da un fatto anteriore, quando esse debbano essere considerate a prescindere dal fatto che le ha poste in essere e in modo che, attraverso tale applicazione, non resti modificata la disciplina giuridica del fatto generatore. È - quest'ultimo - il caso dell'introduzione d'un termine di decadenza ove prima non ve ne erano, come nella vicenda in oggetto, in cui il potere d'azione, ossia il potere di chiedere in sede giurisdizionale l'accertamento della reale titolarità d'un rapporto di lavoro già esauritosi in capo all'impresa utilizzatrice anziché in capo all'agenzia di somministrazione , era indubbiamente già sorto prima dell'entrata in vigore dell'art. 32 co. 4 legge n. 183/10, ma non si era ancora consumato non essendosene verificata rinuncia o prescrizione alcuna né essendo intervenuto un giudicato a riguardo . Né l'introduzione d'un termine di decadenza modifica il fatto generatore del diritto, diritto che rimane acquisito nella sua unità concettuale, ma non anche nel suo contenuto di poteri e facoltà. In questo senso ritiene il Collegio di andare in contrario avviso rispetto a Cass. n. 21916/15, secondo cui il regime della decadenza di cui all'art. 6 legge n. 604/66 come novellato dall'art. 32 co. 4 l. n. 183/10 con la proroga di cui al comma 1 bis del medesimo articolo, introdotto dal d.l. n. 225/10, convertito con modificazioni in legge n. 10/11 , si applica ai soli contratti di somministrazione a termine in corso alla data di entrata in vigore della legge stessa vale a dire alla data del 24.11.10 e non anche a quelli già scaduti a tale data, in assenza di una previsione analoga a quella dettata per i contratti a termine in senso stretto. Un'apposita previsione sarebbe stata necessaria solo per derogare alla regola dell'art. 11 disp. prel. c.c., vale a dire per munire di retroattività la norma, mentre nel caso in esame non si è in presenza - come si è visto - d'una retroattività propriamente detta. 3- Anche il primo motivo di ricorso è infondato. Nella vicenda per cui è processo, nella quale l'odierno ricorrente invocava, ex art. 27 d.lgs. n. 276/03 applicabile ratione temporis , la costituzione d'un rapporto di lavoro direttamente in capo all'utilizzatore l'odierna società controricorrente , il presupposto è dato da un contratto di somministrazione a tempo determinato che, come tutti i contratti con predeterminazione d'una data scadenza, cessa allo spirare del termine senza bisogno di comunicare recesso alcuno. Non si vede, quindi, come si possa far decorrere il termine di decadenza dì cui all'art. 6 legge n. 604/66 da una comunicazione che per legge non è necessaria, non rispondendo al vero contrariamente a quanto si legge nella memoria ex art. 378 c.p.c. depositata da parte ricorrente che l'art. 32 co. 4 lett. d legge n. 183/10 abbia previsto in capo all'utilizzatore della prestazione lavorativa l'onere di comunicare la scadenza del rapporto, con la conseguenza che - in mancanza - il lavoratore avrebbe il diritto di impugnare sine die la somministrazione irregolare in realtà tale norma si limita a prevedere l'applicabilità, anche all'ipotesi della somministrazione irregolare, dell'art. 6 legge n. 604/66 come modificato dal co. 1 dello stesso art. 32 , che a sua volta non chiarisce espressamente di qui la controversia in esame se l'onere in discorso sussiste anche riguardo a rapporti cessati in forza non d'un atto di recesso, ma della scadenza del termine originariamente pattuito. Né il potenziale rinnovo per un numero indefinito di volte del contratto di somministrazione a differenza di quanto previsto per i contratti a termine dall'art. 5 d.lgs. n. 368/01 autorizza di per sé il lavoratore a nutrire un giustificato affidamento a riguardo, tale da far ritenere indispensabile una formale contraria comunicazione da parte del somministratore. Infine, l'esegesi propugnata dal ricorrente chiama in causa l'interpello n. 12/2014 del Ministero del lavoro, che però - oltre a non vincolare l'interprete, non essendo fonte del diritto - ad ogni modo si riferisce non ai contratti di lavoro con illegittima pattuizione d'un termine, bensì ai licenziamenti nulli perché orali o privi della comunicazione dei motivi. 4- In conclusione il ricorso è da rigettarsi. Le spese del giudizio di legittimità si compensano, considerata l'esistenza d'un difforme precedente in materia. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi dell'art. 13 co. 1 quater d.P.R. n. 115/2002, come modificato dall'art. 1 co. 17 legge 24.12.2012 n. 228, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del co. 1 bis dello stesso articolo 13.