Nell’impiego pubblico il CCNL è legge

A differenza di quanto accade nell’impiego privato, il datore di lavoro pubblico, quanto alla individuazione delle mansioni esigibili dal lavoratore, ha solo la possibilità di adattare i profili professionali indicati nel CCNL alle proprie esigenze organizzative, atteso che il rapporto è regolato esclusivamente dai contratti collettivi e dalle leggi sul lavoro privato. Ogni atto contrario, quand’anche più favorevole per il lavoratore, è nullo.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25246, depositata il 15 dicembre 2015. Il caso. Alcune dipendenti del Comune di Roma, inquadrate nel profilo professionale di operatore dei servizi socio educativi , lamentavano di avere ripetutamente svolto attività di pulizia dell’asilo nido comunale nel quale prestavano servizio diverse ed ulteriori rispetto a quelle dovute sulla base del mansionario adottato dal Comune con apposita deliberazione della Giunta. In ragione di ciò richiedevano la corresponsione, ex art. 36 Cost., di una retribuzione aggiuntiva. Tale domanda veniva accolta sia dal Tribunale che dalla Corte d’appello che ritenevano, in estrema sintesi, le ulteriori attività assegnate alle lavoratrici fonte di maggiore dispendio di energie psico-fisiche con conseguente diritto ad un adeguamento della retribuzione ex art. 36 Cost. Contro tale sentenza il Comune proponeva ricorso alla Corte di Cassazione, articolando vari motivi. Il datore di lavoro pubblico non può discostarsi dal CCNL. In particolare, ad avviso del ricorrente, i giudici di merito avevano erroneamente fondato la propria decisione sul solo mansionario aziendale, senza considerare quanto previsto dal CCNL applicato al rapporto, a mente del quale il datore di lavoro poteva esigere qualsiasi attività ascrivibile al profilo di inquadramento senza dover erogare compensi aggiuntivi. Inoltre, ad avviso del ricorrente, la retribuzione del dipendente pubblico poteva essere solo quella prevista dalla contrattazione collettiva per il livello di inquadramento, senza alcuna possibilità di discostarsi neanche in melius da tali previsioni. Motivi che vengono tutti condivisi dalla Cassazione la quale, affermando il principio esposto in massima, ribadisce che nell’impiego pubblico risulta nullo l’atto in deroga, anche in melius , alle disposizioni del contratto collettivo, sia quale atto negoziale, per violazione di norma imperativa, sia quale atto amministrativo, perché viziato da difetto assoluto di attribuzione [ ] dovendosi escludere che la P.A. possa intervenire con atti autoritativi nelle materie demandate alla contrattazione collettiva nello stesso senso Cass. SS.UU. n. 21744/2009 . Nel pubblico l’equivalenza tra mansioni è solo formale. Prosegue poi la Cassazione rammentando come l’art. 52 del d.lgs. n. 165/2001 assegni rilievo solo al criterio dell’equivalenza formale in riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita e senza che possa aversi riguardo [ ] all’art. 2103 c.c. . Il parametro di riferimento, per la configurabilità di una prestazione aggiuntiva , doveva quindi essere il sistema di classificazione dettato dalla contrattazione collettiva, poiché la mansione poteva essere considerata ulteriore rispetto a quelle legittimamente esigibili se, e solo se, diversa ed ulteriore da quelle previste dal profilo professionale delineato dal CCNL. In questo contesto, ritiene la Corte che il datore di lavoro pubblico incontri gli stessi limiti anche nella determinazione del trattamento economico dovuto ai propri dipendenti, che deve coincidere con quello definito dagli stessi CCNL. Il CCNL includeva le ulteriori mansioni svolte nell’inquadramento assegnato alle lavoratrici. Nel caso di specie, il CCNL applicato al rapporto includeva le ulteriori mansioni assegnate alle lavoratrici nei rispettivi livelli di inquadramento, prevedendo altresì che tutte le mansioni ascrivibili a ciascuna categoria, in quanto professionalmente equivalenti, sono esigibili . Era dunque errata la motivazione della sentenza di merito, fondata sul solo mansionario predisposto unilateralmente dal Comune e, pertanto, condizionato nella sua validità al rispetto del sistema di classificazione operato dal CCNL. Nemmeno sussisteva una violazione dell’art. 36 Cost. Sotto altro profilo, la Corte ritiene censurabile la pronuncia impugnata anche sotto il profilo della violazione dell’art. 36 Cost., atteso che il giudizio sulla conformità di un trattamento all’art. 36 Cost. non può svolgersi per singoli istituti, né giorno per giorno, ma occorre valutare l’insieme delle voci che compongono il trattamento complessivo del lavoratore in un arco temporale di una qualche significativa ampiezza . Nel caso di specie, le lavoratrici si erano limitate a rivendicare un compenso per l’asserita prestazione aggiuntiva omettendo di indicare l’ammontare complessivo della retribuzione mensile, ragion per cui il giudizio di inadeguatezza della retribuzione effettuato dalla Corte di merito risultava viziato dalla violazione dei criteri imposti dal precetto costituzionale .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 17 novembre – 15 dicembre 2015, n. 25246 Presidente Macioce – Relatore Di Paolantonio Svolgimento del processo Con ricorso al Tribunale di M.R.A. , C.M.P. , R.A. , P.C. e Ma.An. , dipendenti del Comune di Roma ora Roma Capitale , inquadrate nella categoria B con il profilo professionale di operatore dei servizi socio educativi, esponevano di avere svolto regolarmente tutte le attività di pulizia dei locali dell'asilo nido comunale presso il quale prestavano servizio, diverse ed ulteriori rispetto alle limitate attività di riordino delle aule e dei bagni, contrattualmente dovute in base al mansionario adottato con deliberazione della Giunta comunale n. 2800 del 3.10.1995, poi ribadito dalla stessa Giunta con la delibera n. 358 del 7 ottobre 2000. Chiedevano, pertanto, che venisse riconosciuto il loro diritto, fondato sull'art. 36 cost., a percepire la giusta retribuzione per dette mansioni aggiuntive ed invocavano l'applicazione, eventualmente anche in via equitativa, della indennità prevista dall'accordo sindacale del 31 ottobre 2000 per gli operatori chiamati a sostituire il cuoco, pari a tre ore di lavoro straordinario per ogni giornata lavorativa. Il Tribunale, con sentenza del 4 luglio 2008, accoglieva integralmente le domande. La sentenza veniva solo parzialmente riformata dalla Corte di Appello di Roma che, con la decisione qui impugnata, condannava il Comune appellante a pagare in favore delle appellate, per ogni giorno lavorato e sino al deposito del ricorso di primo grado, un compenso aggiuntivo pari ad un'ora di lavoro straordinario . La Corte osservava che il mansionario approvato con delibera della Giunta Comunale del 3.10.1995, poi confermato con la successiva deliberazione del 7.4.2000, adottata previo accordo con le organizzazioni sindacali, aveva assegnato al personale ausiliario in servizio presso gli asili nido solo limitate attività di pulizia delle aule e dei bagni, necessarie al fine di assicurare per tutto l'orario scolastico buone condizioni igieniche ed ambientali. Le appellate, al contrario, avevano eseguito anche le pulizie di carattere straordinario nonché quelle indispensabili, alla fine o all'inizio di ciascuna giornata, per ripristinare le condizioni igieniche dell'intero edificio, non solo delle aule e dei bagni. Ciò aveva comportato un maggiore dispendio di energie psico-fisiche, essendo dette attività più gravose rispetto a quelle di semplice attesa e custodia, previste sempre dal richiamato mansionario. La Corte, pertanto, riteneva che le mansioni aggiuntive dovessero essere retribuite ex art. 36 Cost. ma, contrariamente a quanto statuito dal Giudice di prime cure, escludeva che il compenso potesse essere quantificato in misura pari all'indennità riconosciuta all'operatore dei servizi socio educativi chiamato a svolgere mansioni di cuoco. Considerata la natura delle attività svolte, la non quotidianità di alcuni interventi più gravosi, l'entità del maggiore impegno richiesto, la Corte territoriale determinava equitativamente la maggiorazione in misura pari all'importo di una sola ora di straordinario per ogni giorno di servizio prestato. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Roma Capitale sulla base di quattro motivi. Le intimate hanno resistito con controricorso, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c Ragioni della decisione 1 - Con il primo motivo di ricorso Roma Capitale denuncia la omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 n. 5 c.p.c. e rileva che la Corte di Appello ha fondato la decisione solo sul mansionario aziendale, con il quale sono stati individuati i compiti degli operatori dei servizi socio educativi, senza considerare in alcun modo le previsioni del CCNL 1998/2001 che, all'art. 3, legittima il datore di lavoro ad esigere qualsiasi attività ascrivibile al profilo di inquadramento. Con il secondo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di accordo collettivo nazionale di lavoro ex art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione all'art. 3 comma 2 del CCNL 1998/2001 Ordinamento Revisione del sistema di classificazione del personale , nonché violazione di norma di legge ex art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione all'art. 56 del d.lgs n. 29 del 1993, come modificato dal d.lgs n. 80 del 1998 . Ribadisce che nel sistema dell'impiego pubblico contrattualizzato il prestatore può essere adibito a tutte le mansioni considerate equivalenti nell'ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi, sicché per dette mansioni il dipendente non può pretendere alcun compenso aggiuntivo. Con il terzo motivo Roma Capitale denuncia la violazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione all'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001 e rileva che la retribuzione del dipendente pubblico può essere soltanto quella prevista dalla contrattazione collettiva, non potendo il datore di lavoro attribuire compensi ulteriori per attività, riconducibili al profilo professionale, svolte nel normale orario di lavoro. Infine con il quarto motivo la ricorrente si duole della falsa applicazione di norma di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione all'art. 36 Costituzione , rilevando che il precetto costituzionale non può essere invocato allorquando, come nella fattispecie, il datore di lavoro, entro l'orario ordinario, richieda al prestatore mansioni riconducibili al profilo di inquadramento. 2. 1 - I motivi, da trattare congiuntamente perché connessi, sono fondati. La Corte territoriale ha basato la decisione sul mansionario aziendale ed ha ritenuto di potere qualificare aggiuntiva l'attività di pulizia dello stabile e delle aree pertinenziali, pacificamente svolta durante il normale orario di lavoro, solo perché lo stesso Comune, dopo avere affidato in appalto a terzi detta attività, si era impegnato ad esigere unicamente dal personale ausiliario in servizio gli interventi urgenti nonché quelli indispensabili per assicurare durante l'intero tempo scuola le necessarie condizioni igieniche delle aule e dei bagni. Nessun cenno è contenuto nella sentenza impugnata alla classificazione del personale effettuata dalla contrattazione collettiva di comparto, classificazione alla quale neppure le ricorrenti avevano fatto riferimento, giacché, come si desume dalla sintesi della vicenda processuale riportata negli scritti difensivi delle parti, avevano fondato la loro domanda solo sul mansionario approvato dalla Giunta municipale con le deliberazioni richiamate nella decisione impugnata ed ivi trascritte nel loro contenuto essenziale. L'art. 52 del d.lgs n. 165/2001, nel testo applicabile ratione temporis alla fattispecie, prevede che il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni considerate equivalenti nell'ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi . Gli artt. 2 e 45 del decreto riservano, poi, alla contrattazione collettiva la definizione del trattamento economico fondamentale ed accessorio, escludendo che il datore di lavoro pubblico, nel contratto individuale, possa attribuire un trattamento diverso, anche se di miglior favore per il dipendente. Analizzando il complesso di dette disposizioni questa Corte ha ripetutamente affermato che la disciplina tiene conto delle perduranti peculiarità relative alla natura pubblica del datore, condizionato nella organizzazione del lavoro da vincoli strutturali di conformazione al pubblico interesse e di compatibilita finanziaria delle risorse in tal senso Cass. 21.5.2009 n. 11835 e Cass. 11.5.2010 n. 11405 . Ne ha tratto la conseguenza che, a differenza di quanto accade nell'impiego privato, il datore di lavoro pubblico, quanto alla individuazione delle mansioni esigibili da parte del lavoratore, ha solo la possibilità di adattare i profili professionali, indicati a titolo esemplificativo nel contratto collettivo, alle sue esigenze organizzative, senza modificare la posizione giuridica ed economica stabilita dalle norme pattizie, in quanto il rapporto è regolato esclusivamente dai contratti collettivi e dalle leggi sul rapporto di lavoro privato. È conseguentemente nullo l'atto in deroga, anche in melius , alle disposizioni del contratto collettivo, sia quale atto negoziale, per violazione di norma imperativa, sia quale atto amministrativo, perché viziato da difetto assoluto di attribuzione ai sensi dell'art. 21-septies della legge 7 agosto 1990, n. 241, dovendosi escludere che la P.A. possa intervenire con atti autoritativi nelle materie demandate alla contrattazione collettiva. Cass. S.U. 14.10.2009 n. 21744 . Parimenti consolidato è nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui l'art. 52 del d.lgs. n. 165/2001 nel testo anteriore alla novella recata dall'art. 62, comma 1 del d.lgs. n. 150 del 2009 assegna rilievo solo al criterio dell'equivalenza formale in riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita, senza che possa aversi riguardo alla norma generale di cui all'art. 2103 cod. civ. e senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente della mansione Cass. 5.8.2010 n. 18283 e Cass. 26.3.2014 n. 7106 . Infine non è senza rilievo, ai fini che qui interessano, sottolineare che il datore di lavoro pubblico incontra precisi limiti nella determinazione del trattamento economico spettante al personale, poiché detta voce di spesa deve essere evidente, certa e prevedibile nella evoluzione art. 8 , con la conseguenza che il trattamento economico non può che essere quello definito dai contratti collettivi art. 45, commi 1 e 2 , la cui conclusione è assoggettata ad un rigoroso procedimento di determinazione degli oneri finanziari conseguenti art. 47 . 2.2 - Per gli enti del comparto regioni ed autonomie locali il CCNL 31.3.1999 di revisione del sistema di classificazione del personale ha previsto l'articolazione dello stesso in quattro categorie, stabilendo, all'art. 3 che le categorie sono individuate dall'insieme dei requisiti professionali necessari per lo svolgimento delle mansioni pertinenti a ciascuna di esse comma 4 che gli enti, in relazione al proprio modello organizzativo, identificano i profili professionali non individuati nell'allegato A o aventi contenuti professionali diversi rispetto ad essi e li collocano nelle corrispondenti categorie nel rispetto delle relative declaratorie, utilizzando in via analogica i contenuti delle mansioni dei profili indicati a titolo semplificativo nell'allegato A. comma 6 che tutte le mansioni ascrivibili a ciascuna categoria, in quanto professionalmente equivalenti, sono esigibili. L'assegnazione di mansioni equivalenti costituisce atto di esercizio del potere determinativo dell'oggetto del contratto di lavoro. comma 2 . Quanto, poi, al trattamento economico il CCNL 1.4.1999 ed i contratti successivi, hanno riservato alla contrattazione collettiva decentrata la individuazione delle fattispecie e dei criteri per la corresponsione di compensi aggiuntivi finalizzati a compensare l'esercizio di attività svolte in condizioni particolarmente disagiate da parte del personale delle categorie A, B e C artt. 4 lett. c e 17 lett. e del CCNL 1.4.1999 . Le parti collettive, quindi, oltre a stabilire, nell'esercizio del potere delegato dall'art. 45 del d.lgs 165/2001, il trattamento economico fondamentale, hanno rimesso alla contrattazione decentrata di ente anche la individuazione delle ipotesi in cui le condizioni di maggiore gravosità della prestazione giustificano il riconoscimento di un compenso aggiuntivo. 2.3 - La questione che qui viene in rilievo, relativa alla sussistenza del diritto del dipendente pubblico ad essere retribuito ex art. 36 cost. per la prestazione aggiuntiva resa nell'ambito del normale orario di lavoro, non può prescindere dal quadro normativo e contrattuale sopra delineato nei suoi tratti essenziali. Dai principi di diritto richiamati, infatti, discende innanzitutto che il parametro di riferimento per la stessa configurabilità in astratto di una prestazione aggiuntiva deve essere il sistema di classificazione dettato dalla contrattazione collettiva, giacché la mansione potrà essere considerata ulteriore rispetto a quelle che il datore di lavoro può legittimamente esigere ex art. 52 d.lgs 165/2001 solo a condizione che la stessa esuli dal profilo professionale delineato in via generale dalle parti collettive. Non a caso le pronunce di questa Corte Cass. 19.3.2008 n. 7387 e Cass. 3.6.2014 n. 12358 , che hanno ammesso la astratta possibilità di riconoscere ex art. 36 Cost. una maggiorazione stipendiale al dipendente pubblico chiamato a svolgere mansioni aggiuntive, si riferivano a fattispecie nelle quali le prestazioni ulteriori pacificamente non erano ricomprese nel profilo, come delineato in un caso dalla legge nell'altro dalla contrattazione collettiva. Non è, invece, possibile porre a fondamento della pretesa il solo mansionario con il quale il datore di lavoro pubblico abbia individuato in concreto i compiti da assegnare al prestatore, poiché detta individuazione è comunque condizionata nella sua validità dal rispetto del sistema contrattuale di classificazione, che, a sua volta, costituisce l'unico parametro ex art. 52 d.lgs 165/2001 per la individuazione della mansione esigibile. Va, poi, precisato che la prestazione può essere considerata aggiuntiva solo qualora la mansione assegnata esuli dal profilo professionale, non già nella diversa ipotesi in cui, a fronte di un inquadramento che comporti una pluralità di compiti, il datore di lavoro, nell'ambito del normale orario, eserciti il suo potere di determinare l'oggetto del contratto dando prevalenza all'uno o all'altro compito riconducibile alla qualifica di assunzione. Nel caso di specie, pertanto, sussiste il vizio denunciato ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. di violazione dell'art. 52 del d.lgs 165/2001 e della contrattazione collettiva di comparto, sia perché la Corte territoriale non ha in alcun modo valutato la classificazione del personale ed i profili professionali delineati dalle parti collettive, sia perché, una volta ammessa la riconducibilità al profilo professionale delle attività di pulizia le ricorrenti non avevano mai contestato che detta attività fosse esigibile da parte del datore di lavoro, sia pure nei termini indicati dal mansionario aziendale , si deve escludere che la attività in questione possa essere considerata aggiuntiva e, quindi, legittimare una maggiorazione della retribuzione, solo perché prestata in un arco di tempo più esteso rispetto a quello fissato dal mansionario aziendale. Non vale richiamare la sentenza di questa Corte n. 482 del 13 gennaio 2014 poiché in quel caso il ricorso, sebbene relativo a fattispecie analoga, è stato respinto per un difetto di autosufficienza del motivo, che non si ravvisa nella fattispecie nella quale il mansionario aziendale è stato trascritto nella motivazione della sentenza impugnata ed i motivi sono stati incentrati sulla violazione e sulla falsa applicazione di norme di diritto. 2.4 - Sussiste, poi, anche la denunciata violazione dell'art. 36 cost Occorre premettere che la determinazione della giusta retribuzione operata dal giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità solo limitatamente agli aspetti che implicano apprezzamenti di fatto. Può essere, invece, denunciata la falsa applicazione della norma di diritto qualora si lamenti l'errore commesso nella individuazione dei criteri imposti dal precetto costituzionale per il processo perequativo. È consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo cui il giudizio di congruità della retribuzione va formulato prendendo in considerazione tutti gli elementi concreti del rapporto, da fornirsi da parte del lavoratore che lamenti l'insufficienza della retribuzione, e riguarda il trattamento economico complessivo corrisposto al lavoratore, non già singole componenti dello stesso. Da detto principio discende che perché il prestatore possa pretendere ex art. 36 cost. il pagamento della prestazione ritenuta aggiuntiva non è sufficiente la mera allegazione dello svolgimento di compiti ulteriori e di un criterio di calcolo per determinare il compenso di tale attività, ma è necessario fornire elementi tali che consentano di verificare la congruità del complessivo trattamento economico ricevuto rispetto al parametro di cui all'art. 36 Cost. Cass. 3.6.2014 n. 12358 . Infatti la Corte Costituzionale ha reiteratamente chiarito che il giudizio sulla conformità di un trattamento all'art. 36 Cost. non può essere svolto per singoli istituti, né - può aggiungersi -giorno per giorno, ma occorre valutare l'insieme delle voci che compongono il trattamento complessivo del lavoratore in un arco temporale di una qualche significativa ampiezza sentenze nn. 366 e 287 del 2006, n. 470 del 2002 e n. 164 del 1994 Corte Costituzionale 4.4.2012 n. 120 . Nel caso di specie, al contrario, le ricorrenti, come si desume dalla motivazione della sentenza impugnata e dalla sintesi della vicenda processuale riportata negli scritti difensivi, si sono limitate a rivendicare un compenso per la asserita prestazione aggiuntiva senza fare alcun riferimento all'ammontare complessivo della retribuzione mensile. La Corte territoriale ha, quindi, espresso un giudizio di inadeguatezza della retribuzione, violando i criteri imposti dal precetto costituzionale, del quale ha fatto non corretta applicazione. L'impugnata sentenza va pertanto, in accoglimento del ricorso, cassata e non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la domanda delle originarie ricorrenti deve essere respinta. Le spese dell'intero processo, in considerazione della novità della questione e delle contrapposte soluzioni cui sono pervenuti i giudici del merito, vanno compensate. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta le originarie domande. Compensa integralmente fra le parti le spese dei gradi di merito e del presente giudizio di legittimità.