Lavoro part time, pensione full time

I lavoratori occupati con rapporto a tempo parziale - c.d. verticale ciclico - non possono vedersi esclusi, ai fini della maturazione del diritto alla pensione, i periodi non lavorati nell’ambito del programma negoziale lavorativo concordato con il datore di lavoro.

Così ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 24532/2015, depositata il 2 dicembre 2015, seguendo la linea interpretativa della Corte del Lussemburgo. L’anzianità contributiva del part time verticale. Il caso sottoposto all’interpretazione della Suprema Corte riguarda il calcolo dell’anzianità contributiva di una lavoratrice che ha prestato la propria attività in regime di part time verticale ciclico. Ci si chiede se il part time verticale ciclico dia diritto al riconoscimento dell’anzianità contributiva anche per i periodi dell’anno in cui non vi è stata alcuna prestazione di attività lavorativa, né versamento di retribuzione e di contributi previdenziali. Ai sensi dell’art. 7, l. n. 638/1983, il calcolo dell’anzianità contributiva a fini pensionistici deve fare esclusivo riferimento ai periodi di effettivo svolgimento della prestazione lavorativa, con relativa corresponsione delle voci retributive, contributive ed assistenziali. Il legislatore, quindi, nega la possibilità di spalmare su tutto l’anno e quindi anche sui periodi non lavorati i contributi versati per i periodi lavorati. L’eco europea. Secondo la Corte di Cassazione, il problema interpretativo deve essere necessariamente affrontato tenendo in considerazione la disciplina comunitaria del sistema contributivo e pensionistico, dettata dalle direttiva CE 97/81, recepita con d.lgs. n. 61/2000. Tale disciplina è stata oggetto di importante intervento della Corte di Giustizia dell’unione Europea con la sentenza del 10.6.201 C-395/08 e C-396/08 . I giudici del Lussemburgo hanno affermato con forza che la ratio della disciplina quadro comunitaria è eliminare le discriminazioni nei confronti dei lavoratori a tempo parziale e, quindi, migliorare la qualità del lavoro part time. La direttiva comunitaria chiarisce che l’anzianità contributiva utile ai fini della determinazione della data di acquisizione del diritto alla pensione, sia calcolata per il lavoratore a tempo parziale come se quest’ultimo fosse occupato a tempo pieno e, quindi, prendendo in considerazione anche i tempi non lavorati. Un’ipotesi diversa è, invece, quella in cui la prestazione lavorativa sia stata interrotta o sospesa per impedimento. Solo in questo caso, infatti, i periodi di tempo non lavorati non vengono in rilievo ai fini del calcolo dell’anzianità contributiva. Nel lavoro part time non vi è un’interruzione della prestazione lavorativa, ma una mera riduzione dell’orario di lavoro che trova la sua ragione nella normale esecuzione del contratto di lavoro, ne consegue che il lavoro part time non configura in alcun modo un’interruzione dell’impiego. Se l’impiego è continuativo così dev’essere l’anzianità contributiva. Pertanto l’art. 7, comma 1, legge n. 63871983, interpretato alla luce della giurisprudenza comunitaria, prevede che, al di là della misura della pensione che deve essere proporzionata , i lavoratori occupati part time maturano la stessa anzianità contributiva dei lavoratori full time. In altri termini, per il calcolo dell’anzianità contributiva dei lavoratori part time vanno considerati anche i periodi di tempo non lavorati, poiché questi rientrano nella normale esecuzione del contratto di lavoro e non sono temporanea interruzioni dello stesso. La prospettiva futura Un simile orientamento è in linea con le previsioni legislative successive a quelle applicabili ratione temporis al caso di specie. Infatti, il d.lgs. n. 8172015 che ha abrogato la norma interpretata nella sentenza in commento, ossia il d.lgs. 61/2000 stabilisce che il lavoratore part time ha gli stessi diritti di un lavoratore full time ad egli comparabile ed il suo trattamento economico e normativo deve essere riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa. Inoltre, la stessa norma chiarisce che nel caso di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno in tempo parziale e viceversa , ai fini della determinazione dell’ammontare del trattamento pensionistico, i periodi lavorati a tempo pieno vanno considerati per intero, mentre quelli lavorati a tempo parziale vanno considerati in proporzione.§ Per cui, una cosa è l’anzianità contributiva, sulla quale non vi deve essere discriminazione tra i lavoratori part time e full time, un’altra cosa è l’ammontare del trattamento pensionistico, che deve necessariamente essere proporzionato al tempo dell’effettivo svolgimento della prestazione lavorativa e quindi, all’effettiva contribuzione versata.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 17 settembre – 2 dicembre 2015, n. 24532 Presidente/Relatore Manna Svolgimento del processo Con sentenza depositata il 23.7.09 la Corte d'appello di Roma, in totale riforma della sentenza n. 7790/05 del Tribunale della stessa sede, accertava il diritto di D.M.T. al riconoscimento da parte dell'INPS di un'anzianità contributiva pari a 52 settimane annue anche per i periodi in cui il suo rapporto di lavoro come assistente di volo alle dipendenze di Alitalia S.p.A. si era svolto con modalità di part time verticale ciclico, con tutte le conseguenze di legge in ordine alla data di maturazione del diritto alla pensione. Per la cassazione della sentenza ricorre l'INPS affidandosi ad un solo motivo. L'intimata resiste con controricorso, poi ulteriormente illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c Motivi della decisione 1- Con unico motivo l'INPS lamenta violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 61/2000, dell'art. 5 co. 11 d.l. n. 726/84 e dell'art. 7 co. 1 d.l. n. 463/83, nonché vizio di motivazione, per avere la sentenza impugnata ritenuto che il rapporto di lavoro di D.M.T. , svoltosi alle dipendenze di Alitalia S.p.A., dal 1.1.90 al 31.1.2000 con le modalità dei part time verticale ciclico, le dia diritto al riconoscimento dell'anzianità contributiva anche per i periodi dell'anno in cui non vi è stata alcuna prestazione di attività lavorativa né versamento di retribuzione e di contributi previdenziali in breve - sostiene l'istituto ricorrente - in base all'art. 7 legge n. 638/83 le modalità di calcolo dell'anzianità contributiva ai fini pensionistici non possono che riferirsi ai periodi in cui vi sia stato effettivo svolgimento dell'attività lavorativa con corresponsione della retribuzione e della contribuzione previdenziale, senza possibilità alcuna di spalmare su tutto l'anno e quindi anche sui periodi non lavorati i contributi versati per i periodi lavorati. 2- Il ricorso è infondato, pur dovendosi ex art. 384 ult. co. c.p.c. correggere nei sensi qui di seguito chiariti la motivazione della gravata pronuncia basata essenzialmente sull'art. 5 co. 11 d.l. n. 726/84 . Una precedente sentenza di questa S.C. la n. 9039/12 ha affermato, in tema di anzianità contributiva utile per il conseguimento di prestazioni previdenziali da parte di lavoratori a tempo parziale, che il tenore letterale dell'art. 1, comma 4, del d.l. n. 338 del 1989, conv. nella legge 389 del 1989, e la sua stessa riproposizione in termini immutati nell'art. 9 del d.lgs. n. 61/2000 escludono, con la puntuale indicazione che l'ambito disciplinato attiene alla retribuzione minima oraria da assumere quale base di calcolo per i contributi previdenziali dovuti per i lavoratori a tempo parziale , la possibile estensione, in via interpretativa, del meccanismo di adeguamento ivi previsto all'ipotesi del sistema di calcolo dell'anzianità contributiva utile per il conseguimento del diritto alla prestazione previdenziale nel settore del lavoro a tempo parziale del tutto diversa e disciplinata dall'art. 7 del d.l. n. 463 del 1987, conv. nella legge 638 del 1983, la cui legittimità è stata valutata positivamente dalla Corte Cost. con la sentenza n. 36 del 2012 non essendo configurabile un criterio di calcolo costituzionalmente obbligato . Si tratta, però, di precedente che non sovviene nel caso di specie, distinta essendo la questione del minimale contributivo da quella inerente al calcolo dell'anzianità previdenziale tout court , con particolare riferimento ai dipendenti a tempo parziale e alla durata dell'attività lavorativa da essi prestata. Inoltre, il summenzionato precedente non affronta la questione della compatibilità della normativa nazionale art. 7 legge n. 638/83 con la disciplina comunitaria in materia direttiva 97/81 , che invece è stata oggetto d'un intervento della Corte di Giustizia dell'Unione Europea qui di seguito CGUE con sentenza del 10.6.10 emessa nei procedimenti riuniti C-395/08 e C-396/08 . In essa la CGUE ha mosso il proprio argomentare dal rilievo che dalla clausola 1, lett. a , dell'accordo quadro allegato alla direttiva 97/81 emerge che uno degli oggetti di quest'ultimo è quello di eliminare le discriminazioni nei confronti dei lavoratori a tempo parziale e di migliorare la qualità del lavoro part time , obiettivo che risulta anche dal secondo comma del preambolo dell'accordo quadro medesimo e dall'undicesimo considerando della direttiva summenzionata. Ha aggiunto che il riferimento operato dalla clausola 4, punto 2, dell'accordo quadro, al principio del pro rata temporis che consente una riduzione proporzionata delle spettanze pensionistiche v. sentenze Schònheit e Becker, cause riunite C-4/02 e C-5/02, punti 90 e 91, nonché Gómez Limón Sànchez-Camacho, sentenza del 4.12.08, causa 537/07, punto 59 , fa sì che, proprio riguardo ai dipendenti Alitalia in rapporto part time c.d. ciclico, il principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno di cui alla direttiva 97/81 trasposta nell'ordinamento italiano con d.lgs. n. 61/2000 implica che l'anzianità contributiva utile ai fini della determinazione della data di acquisizione del diritto alla pensione sia calcolata per il lavoratore a tempo parziale come se egli avesse occupato un posto a tempo pieno, prendendo in considerazione anche i periodi non lavorati. Invero, il lavoro a tempo parziale costituisce un tipo particolare di rapporto lavorativo caratterizzato dalla mera riduzione della normale durata temporale della prestazione. Si tratta di caratteristica non equiparabile alle ipotesi in cui l'esecuzione delle prestazioni corrispettive dedotte in contratto è sospesa a cagione d'un impedimento o d'una interruzione temporanea dovuta al lavoratore, all'impresa o ad una causa estranea. Infatti, i periodi non lavorati, che corrispondono alla riduzione degli orari di lavoro prevista in un contratto part time , discendono dalla normale esecuzione di tale contratto e non dalla sua accidentale sospensione. Sempre nella summenzionata sentenza del 10.6.10 la CGUE ha chiarito che il lavoro a tempo parziale non implica un'interruzione dell'impiego analogamente a quanto affermato dalla medesima Corte nella sentenza 17.6.98, causa C-243/95, Hill e Stapleton, riguardo all'impiego a tempo frazionato . Su questa basi la CGUE è pervenuta alla conclusione che la clausola 4 dell'accordo quadro deve essere interpretata nel senso che osta ad una normativa nazionale che, per i lavoratori a tempo parziale c.d. verticale ciclico come gli assistenti di volo Alitalia , escluda i periodi non lavorati dal calcolo dell'anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione, a meno che tale differenza di trattamento non sia giustificata da ragioni obiettive. Sempre ad avviso della CGUE esse non possono - però - consistere nella contribuzione ridotta propria del lavoro part time , che può incidere sulla misura del trattamento pensionistico e non sulla durata del rapporto. Su questi presupposti la CGUE ha concluso che risulta discriminatorio che il rapporto di lavoro a tempo parziale c.d. verticale ciclico, pur avendo una durata effettiva equivalente a quella d'un rapporto part time orizzontale, finisca con il far maturare l'anzianità contributiva utile ai fini della pensione ad un ritmo più lento dello stesso lavoratore occupato a tempo parziale orizzontale o di quello a tempo pieno. Per l'effetto, l'art. 7 co. 1 legge n. 638/83, trattando in modo ingiustificatamente deteriore i lavoratori a tempo parziale c.d. verticale ciclico, si pone in contrasto con l'obiettivo dell'accordo quadro sopra ricordato, che è quello di incentivare il lavoro a tempo parziale. In conclusione, al di là della misura della pensione, i lavoratori occupati con rapporto a tempo parziale c.d. verticale ciclico come l'odierna controricorrente , non possono vedersi esclusi - ai fini della maturazione del diritto a pensione - i periodi non lavorati nell'ambito del programma negoziale lavorativo concordato con il datore di lavoro. In tal senso deve intendersi l'art. 7 co. 1 legge n. 638/83 in riferimento a tali dipendenti e ciò in conformità alla normativa comunitaria come interpretata dalla CGUE la cui prevalenza sulla normativa nazionale di segno diverso costituisce dato ormai acquisito . Ciò è sostanzialmente coerente anche con le nuove regole stabilite dal d.lgs. n. 81/15 che ha abrogato il d.lgs. n. 61/2000 , il cui art. 7 co. 2 stabilisce che il lavoratore a tempo parziale ha i medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno comparabile ed il suo trattamento economico e normativo è riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa , e il cui art. 11 co. 4 sancisce che Nel caso di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale e viceversa, ai fini della determinazione dell'ammontare del trattamento di pensione si computa per intero l’anzianità relativa ai periodi di lavoro a tempo pieno e, in proporzione all’orario effettivamente svolto, l’anzianità inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale ”. Sebbene tale d.lgs. non sia ratione temporis applicabile al caso di specie, nondimeno esso suggerisce una linea di continuità praticabile, alla luce d'una interpretazione storico-evolutiva, con la conclusione accolta nella presente sede. 3- In conclusione il ricorso è da rigettarsi. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 100,00 per esborsi e in Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.