La differenza di contributi dovuti a seguito di accertamento non comporta evasione ma solo omissione contributiva

In materia di previdenza, la fattispecie dell’omissione contributiva deve ritenersi limitata all’ipotesi del solo mancato pagamento dei contributi da parte del datore di lavoro, in presenza di tutte le denunce e registrazioni obbligatorie necessarie invece, la fattispecie dell’evasione ricorre qualora manchi anche uno solo degli altri necessari adempimenti, come la presentazione delle denunce mensili. Ove il datore di lavoro, ritenuto conforme l’inquadramento dei lavoratori alle previsioni collettive, abbia su queste basi effettuato le dovute registrazioni e provveduto ad effettuare i versamenti dei contributi, la sopravvenuta debenza di un ulteriore obbligo contributivo derivante da accertamento amministrativo configura una mera omissione contributiva e non la più grave fattispecie dell’evasione.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24536/2015, depositata il 2 dicembre. La vicenda esaminata opposizione a cartella Inps con cui veniva richiesto il pagamento di contributi evasi e somme aggiuntive correlate, in seguito a verbale ispettivo. L’Inps, a seguito di accertamenti in sede ispettiva, notificava cartella di pagamento ad un’azienda, per il mancato versamento di contributi e somme aggiuntive dovuti, derivanti dal verbale degli ispettori. L’azienda proponeva opposizione ed il Tribunale la accoglieva parzialmente. Presentava appello l’azienda e la Corte territoriale riformava parzialmente la sentenza di primo grado, rideterminando per difetto gli importi dovuti e condannando l’azienda al pagamento delle somme così rideterminate. Quest’ultima ricorreva per cassazione e l’Inps presentava ricorso incidentale. Le norme esaminate. La controversia prende spunto dall’applicabilità, alla fattispecie delle norme sanzionatorie di cui alle l. n. 662/1996, art. 1, comma 217, e n. 388/2000, art. 116, comma 8. Entrambe prevedono conseguenze nel caso di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi, il cui ammontare è rilevabile dalle denunce e/o registrazioni obbligatorie” omissione contributiva e, ipotesi più grave, in caso di evasione connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero, oltre alla somma aggiuntiva di cui alla lett. a , al pagamento di una sanzione, una tantum ” evasione contributiva . Le sanzioni devono essere calcolate in base alla norma vigente nel periodo di omissione. Un primo motivo proposto dall’Inps con il ricorso incidentale riguarda l’errato riferimento, da parte della Corte di merito, alla normativa applicabile per il calcolo delle sanzioni connesse alle violazioni accertate. I Giudici di legittimità, ritenendo fondato il motivo proposto, accolgono la doglianza, affermando che l’accertamento dei crediti azionati è antecedente al 1° ottobre 2000, decorrenza di efficacia del nuovo regime sanzionatorio previsto dall’art. 116, comma 1, della l. n. 388/2000. E dunque ha errato la Corte d’Appello nel riferirsi a tale normativa, anziché a quella di cui all’art. 1, comma 217, della l. n. 233/1996, applicabile ratione temporis . La buona fede del datore di lavoro non fa scattare l’evasione contributiva. Non vengono, invece, ritenuti fondati gli ulteriori motivi di censura dell’Inps, incentrati sull’erronea valutazione della violazione commessa dall’azienda. Secondo l’Ente previdenziale ricorreva, nella fattispecie, evasione contributiva, con applicazione del più rigoroso regime sanzionatorio. Ma la Suprema Corte non condivide la tesi. Viene richiamata prima di tutto la pronuncia resa dalle Sezioni Unite della Corte, n. 4808/2005, ove era stato affermato il principio secondo cui, in materia di previdenza, la fattispecie dell’omissione contributiva deve ritenersi limitata all’ipotesi del solo mancato pagamento dei contributi da parte del datore di lavoro, in presenza di tutte le denunce e registrazioni obbligatorie necessarie diversamente, la fattispecie dell’evasione ricorre ove manchi anche uno solo degli altri necessari adempimenti, come la presentazione delle denunce mensili, in quanto strettamente funzionali al regolare svolgimento dei compiti di istituto dell’ente previdenziale, ed alla tempestiva soddisfazione dei diritti pensionistici dei lavoratori assicurati. Premesso ciò, i Giudici di legittimità osservano che, nel caso di specie, il datore di lavoro aveva effettuato le dovute registrazioni e provveduto a versare i contributi, basandosi sull’inquadramento dei lavoratori, ritenuto corretto in base alle previsioni della contrattazione collettiva applicata. Soltanto a seguito della verifica ispettiva dell’Inps era emerso l’obbligo di un’ulteriore contribuzione ciò non è sufficiente a far integrare gli estremi dell’evasione contributiva, poiché non si è in presenza di omissione o di falsità di registrazioni obbligatorie. Consegue che si debba applicare alla fattispecie il regime sanzionatorio di cui all’art. 1, comma 217, lett. a della l. n. 662/1996.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 7 ottobre – 2 dicembre 2015, n. 24536 Presidente Stile – Relatore De Marinis Svolgimento del processo Con sentenza del 23 settembre 2009, la Corte d'Appello di Palermo, in parziale riforma della decisione di parziale accoglimento resa dal Tribunale di Agrigento, rigettava l'opposizione proposta dalla Madison S.r.l. avverso la cartella esattoriale emessa dalla Montepaschi SE.RI.T. recante il credito azionato dall'INPS per un importo di Euro 588.192,35 a titolo di contributi omessi e somme aggiuntive per il periodo novembre 1994/ottobre 1999 e, fermo l'annullamento della cartella di pagamento, condannava la Società, al pagamento, in favore dell'INPS, della somma di Euro 156.706,08 oltre le sanzioni civili determinate ai sensi dell'art. 116, comma 8, lett. a , l. n. 388/2000. La decisione della Corte territoriale discende dall'aver questa ritenuto non viziata da ultrapetizione la condanna pronunciata dal giudice di prime cure al pagamento parziale del credito a seguito dell'azione, da ritenersi non soggetta a decadenza, promossa dall'Istituto ed avente ad oggetto la sussistenza e l'entità del credito contributivo, risultato fondato quanto all'an, con esclusione degli illeciti contestati ai punti 2, 4 e 9 del verbale ispettivo e con riguardo al quantum, in relazione all'importo individuato a seguito dell'espletata CTU. Per la cassazione di tale decisione ricorre la Società, affidando l'impugnazione a sette motivi, poi illustrati con memoria, cui resistono, con controricorso, la SERIT Sicilia e l'INPS, il quale a sua volta spiega ricorso incidentale, articolato su tre motivi, cui resiste, con controricorso la Società. Quest'ultima ha poi presentato memoria. Motivi della decisione In via preliminare si dispone la riunione al ricorso principale del ricorso incidentale proposto avverso la medesima sentenza dall'INPS. Il ricorso principale è articolato su sette motivi che qui di seguito così si riassumono. Con il primo motivo, la Società ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 100, 112, 416, 418 c.p.c. in combinato disposto con l'art. 24, comma 1, d. lgs. n. 46/1999, lamenta a carico della Corte territoriale l'essere questa incorsa in un vizio di ultrapetizione nella parte in cui, con riferimento ai crediti accertati, ha emesso sentenza di condanna in luogo di una pronuncia di mero accertamento ed in un vizio di extrapetizione nella parte in cui statuisce per la condanna al pagamento di una somma che non era stata oggetto di opposizione, somma recata al punto 7 del verbale ispettivo per la quale la Società aveva già provveduto a versare un acconto in adempimento di un debito che non intendeva contestare. Con i successivi motivi, dal secondo al sesto, la Società contesta nel merito la conformità a diritto e la congruità logica di ciascuno dei capi di sentenza recanti il rigetto dei motivi di gravame proposti dalla Società odierna ricorrente e, nel relativo atto, rispettivamente contraddistinti dai nn. 5,6,7,8 e 9. Infatti, la denuncia, di cui al secondo motivo, della violazione e falsa applicazione degli arti. 115, 244 e 421 c.p.c., 2103, 2697 e 2721 c.c. e 243 del CCNL del 6 ottobre 1994 Turismo-Confcommercio in una con quella del vizio di motivazione è riferita all'inesatto inquadramento dei lavoratori F. e C. ed attiene all'illegittima inversione dell'onere della prova in materia di mansioni, all'insufficiente motivazione in ordine alla ritenuta inattendibilità dei testi, alla prevalenza accordata in principio alle dichiarazioni degli ispettori rispetto a quelle dei testi. Quanto denunciato al terzo motivo sotto la rubrica violazione e falsa applicazione degli artt. 2103, 2697 e 2721 c.c., dell'art. 243 del CCNL del 6 ottobre 1994 Turismo-Confcommercio nonché contraddittoria motivazione sul punto , attiene all'erroneo inquadramento dei cuochi e dei camerieri ed investe l'illegittima inversione dell'onere della prova in materia di mansioni ed al travisamento delle deposizioni testimoniali in ordine all'organizzazione della cucina e del servizio. Il quarto motivo, intitolato alla violazione e falsa applicazione dell'art. 39, commi 1 e 3 Cost. in una con il vizio di contraddittoria motivazione, è teso a censurare l'omessa valutazione della mancata iscrizione al sindacato ed il travisamento delle argomentazioni in base alla e quali la Società odierna ricorrente aveva sostenuto l'insussistenza a suo carico dell'obbligo di erogazione dell'indennità di vacanza contrattuale. Con il quinto motivo la Società ricorrente imputa alla Corte territoriale la violazione dell'art. 112 c.p.c. ed il vizio di motivazione, per aver omesso di pronunziarsi sulla statuizione del primo giudice, censurata come illegittima in sede di gravame, relativa alla retrodatazione della decadenza dalle agevolazioni contributive. Il sesto motivo ribadisce a carico della Corte territoriale il medesimo vizio di omessa pronunzia, in una con quelli di violazione e falsa applicazione delle leggi n. 245/1993 e n. 499/1997 e degli artt. 2697 e 2721 c.c. nonché di carente motivazione, relativamente alla deduzione per cui essa Società aveva esercitato il proprio incontestato diritto a fruire dello sgravio, ben maggiore di quello applicato, previsto dalla l. n. 448/1998 ma che per mero errore aveva indicato un codice identificativo di uno sgravio diverso e di minore ammontare cui non aveva diritto. Infine con il settimo ed ultimo motivo la Società ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell'art. 92 c.p.c., lamenta l'incongrua applicazione del criterio della reciproca soccombenza in relazione al reale esito del giudizio di opposizione in primo ed in secondo grado nonché l'erroneità dell'attribuzione ad essa Società delle spese relative all'espletata CTU Dal canto suo l'INPS, ricorrente incidentale, censura la decisione della Corte territoriale lamentando, con il primo motivo, inteso a denunciare la violazione e falsa applicazione dell'art. 116 L. n. 388/2000 e dell'arti, comma 217, L. n. 662/1996 nonché il vizio di motivazione, l'applicazione erronea del regime di computo delle sanzioni civili in relazione alle contestate omissioni contributive verificatesi antecedentemente al 30.9.2000 con il secondo motivo, intitolato alla violazione e falsa applicazione dell'art. 116, comma 8, L. n. 388/2000 nonché dell'art. 2697 c.c. nonché al vizio di motivazione, l'erroneo riferimento, sempre ai fini del computo delle sanzioni civili, ai criteri dell'omissione contributiva e non già dell'evasione come imponeva la mancata prova dell'assenza di dolo specifico con il terzo motivo, recante in rubrica la denuncia della violazione e falsa applicazione dell'art. 1, comma 217, L. n. 662/1996 e del vizio di motivazione, Io scostamento dai criteri distintivi tra omissione ed evasione contributiva quali individuati nella giurisprudenza di questa Corte. Prendendo le mosse dal ricorso principale, deve rilevarsi l'inammissibilità del primo motivo per essere stati dedotti i denunciati vizi di ultrapetizione e d extrapetizione in relazione al n. 3 dell'art. 360 c.p.c. e non al n. 4 del medesimo articolo, come si richiede in relazione alla natura della censura formulata attinente ad un error in procedendo sindacabile in sede di legittimità solo laddove si deduca, ai sensi della predetta disposizione, l'irregolarità dell'attività di giudice del merito. Analoghe ragioni inducono a ritenere inammissibile il quinto ed il sesto motivo. Inammissibili devono ritenersi altresì il secondo ed il terzo motivo, in quanto, prescindendo del tutto dalla confutazione dell'iter logico-valutativo in base al quale la Corte territoriale è pervenuta alla conclusione circa la correttezza dell'inquadramento superiore spettante ai dipendenti interessati, idonea a fondare la ritenuta sussistenza del credito contributivo azionato dall'INPS, si risolvono in una richiesta di riesame nel merito della controversia, viceversa, preclusa in sede di legittimità. Infondato, di contro, risulta il quarto motivo, atteso che la correttezza dell'inclusione nella base di computo dei contributi dell'indennità di vacanza contrattuale, riconosciuta dalla Corte territoriale, trova fondamento nel disposto dell'art. 1, dl. 338/1989 convertito nella legge n. 389/1989, che, a quei fini fa riferimento, tra l'altro, alla retribuzione stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, a prescindere dall'effettiva affiliazione ad esse dei datori di lavoro onerati del pagamento. Parimenti infondato è il settimo motivo, risultando, per la loro genericità, le censure dal ricorrente mosse alla statuizione con cui la Corte territoriale ha disposto in ordine all'attribuzione delle spese di lite, insuscettibili di indurre perplessità sulla coerente applicazione da parte della medesima del principio della reciproca soccombenza. Il ricorso va dunque rigettato. Quanto al ricorso incidentale è a dirsi come la censura sollevata con il primo motivo meriti accoglimento, conseguendo ciò dalla circostanza che l'accertamento dei crediti azionati è antecedente alla data del 1 ottobre 2000, fissata dalla legge quale termine di decorrenza dell'efficacia del nuovo regime sanzionatorio di cui all'art. 116, l. n. 388/2000, circostanza in relazione alla quale emerge l'erroneità del riferimento a tale disciplina operato, ai fini del computo delle sanzioni civili connesse alle violazioni accertate, dalla Corte territoriale, in luogo di quello alla disciplina previgente di cui ai commi da 217 a 224 dell'art. 1, l. n. 662/1996, applicabile ratione temporis . Al contrario, infondati risultano il secondo ed il terzo motivo, entrambi volti a censurare, tanto con riferimento, nel secondo motivo, alla disciplina di cui all'art. 116, comma 8, lett. a e b , l. n. 388/2000, quanto con riguardo, nel terzo, a quella di cui all'art. 1, comma 217, l. n. 662/1996, la qualificazione operata dalla Corte territoriale del contegno omissivo del datore di lavoro come omissione contributiva e non già come evasione contributiva. Ribadito che, come sancito da questa Corte a SS UU. nella decisione del 7.3.2005, n. 4808, ai sensi di quest'ultima disciplina, applicabile nella fattispecie, l'ipotesi dell'omissione contributiva deve ritenersi limitata al caso del solo mancato pagamento da parte del datore di lavoro in presenza di tutte le denunce e registrazioni obbligatorie necessarie, mentre la mancanza di uno solo degli altri necessari adempimenti - in quanto strettamente funzionali al regolare svolgimento di compiti d'istituto dell'ente previdenziale e alla tempestiva soddisfazione dei diritti pensionistici dei lavoratori assicurati - è sufficiente ad integrare gli estremi dell'evasione, deve rilevarsi come nella fattispecie, non ricorre l'ipotesi dell'omissione o della non conformità al vero di registrazioni obbligatorie, essendosi, al, contrario, verificato che il datore di lavoro, ritenuto conforme alle previsioni collettive, l'inquadramento attribuito ai lavoratori interessati, abbia su questa base effettuato le dovute registrazioni e provveduto a versare i contributi, configurandosi così, nella sopravvenuta evenienza dell'accertamento effettuato in via amministrativa della ricorrenza di un obbligo di ulteriore contribuzione, una mera omissione contributiva soggetta, nel vigore della l. n. 662/1996, al regime sanzionatorio di cui all'art. 1, comma 217, lett. a della predetta legge cfr. in tal senso, da ultimo, Cass. 1476/2015 . Il ricorso incidentale va dunque accolto in relazione al primo motivo e l'impugnata sentenza cassata entro detti limiti, con rinvio alla Corte d'Appello di Catania, che provvederà in conformità, disponendo, altresì, in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'Appello di Catania.