Giusta causa di licenziamento: la norma è “elastica”

La giusta causa di licenziamento di cui all’art. 2119 c.c. - intesa quale fatto che non consenta la prosecuzione, nemmeno provvisoria, del rapporto - è una nozione che la legge configura con una c.d. clausola generale, cioè con una disposizione di contenuto limitato, che tratteggia un modulo generico da specificarsi in sede interpretativa, sia mediante la valorizzazione di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia mediante principi che la stessa disposizione tacitamente richiama.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 24367/15, depositata il 30 novembre. Il caso. La pronuncia in commento trae origine da un licenziamento per giusta causa intimato da Poste Italiane s.p.a. ad un dipendente addetto al recapito – per l’accumulo nella propria abitazione di posta inevasa -, in relazione al quale la Corte d’appello territoriale aveva ordinato alla società di reintegrare il dipendente nel proprio posto di lavoro, con condanna della società al pagamento delle retribuzioni maturate e al versamento dei relativi contributi previdenziali. La giusta causa di licenziamento è configurata dalla legge come clausola generale. Gli Ermellini hanno in primis ricordato che, secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità, la giusta causa di licenziamento ex art. 2119 c.c., intesa quale fatto che non consenta la prosecuzione, nemmeno provvisoria, del rapporto, è una nozione che la legge configura con una c.d. clausola generale, cioè con una disposizione di contenuto limitato, che tratteggia un modulo generico da specificarsi in sede interpretativa sia mediante la valorizzazione di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia mediante principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Dette specificazioni hanno natura giuridica e la loro disapplicazione può quindi essere dedotta in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l'accertamento della concreta ricorrenza, nel caso concreto, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, integra un giudizio di fatto demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logico-giuridici. Analogo discorso è riferibile alla nozione legale di proporzionalità della sanzione disciplinare di cui all'art. 2108 c.c La Corte di merito ha utilizzato una nozione restrittiva di dolo. I Giudici di Piazza Cavour hanno poi specificato che rientra tra le specificazioni interpretative della nozione di giusta causa l'individuazione delle nozioni di dolo e di pregiudizio in relazione ai parametri indicati dall'art. 54, comma 6, del relativo CCNL Violazioni dolose di leggi e regolamenti di doveri di ufficio che possano arrecare o abbiano arrecato forte pregiudizio alla società o ai terzi , al quale hanno fatto riferimento i giudici di merito ai fini della valutazione riguardo alla sussistenza della giusta causa di licenziamento. Nello specifico, il Collegio di merito ha evidenziato la mancanza di prova dell'elemento soggettivo del dolo nella condotta contestata, ravvisando, invece, in essa i connotati dell'elemento psicologico della colpa ex art. 43 c.p., laddove tuttavia l'evento oggetto di contestazione non è attribuibile all'agente in termini di imprudente, negligente o imperita gestione del rischio, né è riferibile a conseguenza non voluta - e tuttavia prevedibile ed evitabile - dell'inosservanza di prescrizioni doverose. Si può dunque ben vedere, secondo il Supremo Collegio, che, nell'escludere la natura dolosa della condotta, la Corte di merito ha fatto riferimento ad una nozione restrittiva di dolo, sostanzialmente coincidente con la nozione di dolo intenzionale, nonostante il dolo richiesto ai fini della configurabilità della giusta causa si riferisca, invece, ad una nozione più generale, coincidente con la rappresentazione e volizione del fatto costituente l'addebito disciplinare, nel senso che l'evento è preveduto e voluto quale conseguenza della propria azione . Il pregiudizio non coincide necessariamente con una diminuzione economicamente valutabile. Quanto al pregiudizio di cui alla disposizione della contrattazione collettiva, dal Palazzaccio hanno sottolineato che quest'ultimo, secondo i criteri civilistici generali in tema di danno, non deve coincidere necessariamente con una diminuzione economicamente valutabile , dal momento che il carattere patrimoniale del danno riguarda non solo l'accertamento di un saldo negativo nello stato patrimoniale del danneggiato ma anche l'incidenza in concreto di una diminuzione dei valori e delle utilità di cui il medesimo può disporre, costituendo il patrimonio, ai fini in considerazione, quell'insieme di beni, valori e utilità tra loro collegati sotto il profilo e mediante un criterio funzionale. Ne consegue, secondo i Giudici di legittimità, che il carattere della patrimonialità - che attiene al danno e non al bene leso dal fatto dannoso - non implica necessariamente un esborso monetario o una perdita di reddito o prezzo, ma può configurarsi anche come diminuzione dei valori o delle utilità economiche del danneggiato. Alla luce di quanto sopra esposto, pertanto, la Corte ha accolto il ricorso in esame.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 15 luglio – 30 novembre 2015, n. 24367 Presidente Venuti – Relatore Esposito Svolgimento del processo 1.La Corte d'Appello di Roma, con sentenza resa pubblica il 25/9/2014, respingeva il reclamo avverso la sentenza del giudice di primo grado che, in totale riforma dell'ordinanza originariamente pronunciata, aveva dichiarato privo di giusta causa il licenziamento intimato da Poste Italiane s.p.a. a I.F.M., dipendente dell'ente addetto al recapito, ordinando alla società di reintegrare il predetto nel posto di lavoro, con condanna della società al pagamento delle retribuzioni maturate e al versamento dei relativi contributi previdenziali. 2. I giudici del merito, rilevando che la contestazione atteneva alla mera descrizione della condotta rilevata in occasione dell'accesso dei Carabinieri nella casa di abitazione dello I. , dunque al rinvenimento di numerosi pacchi contenenti volumi di Pagine Gialle, Pagine utili, Posta targhet e invii primo posta, hanno ritenuto che i fatti come addebitati non erano idonei a ricostruire mancanze punibili con la sanzione risolutiva e che, specificamente, la condotta, nei termini in cui era stata contestata, non era sussumibile entro le previsioni di cui all'art. 54 lettere c e k del CCNL Osservavano che le considerazioni svolte in ordine alla sproporzione della sanzione risolutiva rispetto alla condotta addebitata escludevano la conversione del licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo. Ritenevano l'insussistenza della giusta causa di recesso sulla scorta del rilievo che nella lettera di contestazione non risultava specificato se la materialità della condotta rinvenimento della posta inevasa risultava contestata in termini di mera negligenza nell'adempimento del dovere di consegna o se la detenzione della posta presso il domicilio del lavoratore implicasse volontà di occultamento doloso della violazione dell'obbligo di consegna o di appropriazione. Rilevavano che nella lettera di contestazione non vi erano elementi dai quali desumere il numero dei plichi prelevati e non consegnati e dunque il tempo di durata dell'omissione, circostanze queste idonee a ricostruire l'elemento soggettivo che accompagnò la condotta contestata ma anche a valutare la condotta nell'ambito di un contesto organizzativo risultato inefficiente in relazione alla consegna dei plichi relativi al materiale rinvenuto. Osservavano che le scatole rinvenute a casa dello I. facevano parte di un lotto di materiale particolarmente voluminoso, il quale per l'assenza di spazio sufficiente all'interno dell'ufficio postale era stato collocato per alcuni giorni nel piazzale esterno antistante l'ufficio e che, inoltre, in relazione alla consegna di detto materiale, erano state impartite direttive generiche riguardo alle modalità anche temporali della sua consegna. Rilevavano che in siffatto contesto organizzativo la condotta dello I. , consistita nella scelta di custodire senza alcuna autorizzazione presso la propria abitazione il materiale da consegnare, era significativo di una condotta negligente e arbitraria che, tuttavia, per l'assenza di prova in ordine all'elemento psichico che la ispirò, ai pregiudizi subiti da Poste Italiane o da terzi e alla loro entità non poteva essere considerata di gravità tale da minare irreparabilmente il rapporto fiduciario. 3. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione Poste italiane s.p.a., articolando tre motivi di censura. Resiste lo I. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie. Motivi della decisione 1.Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione di norme di legge, in particolare degli artt. 1175, 1375, 2104 e 2119 c.comma e degli art. 52 e 54 CCNL 2011 art. 360 n. 3 c.p.c . Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti art. 360 n. 5 c.p.c . Si contesta la ritenuta insussistenza della giusta causa. Si evidenzia che, sulla scorta delle risultanze processuali, doveva dedursi che il sig. I. avesse consapevolmente omesso di consegnare la corrispondenza, così palesemente violando i doveri e gli obblighi di servizio su di lui gravanti, in totale spregio delle disposizioni sul recapito e causando un disservizio alla società, per il venir meno della possibilità per la società di fare affidamento in futuro nel dipendente per il puntuale disimpegno delle sue mansioni, oltre che per la valenza diseducativa dell'operato del lavoratore nei confronti dei colleghi. Tutto ciò aveva comportato la violazione del dovere di diligenza di cui all'art. 2104 c.comma e irrimediabilmente leso il vincolo fiduciario. 2.Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione di norme contrattuali, in particolare dell'art. 54 CCNL 2011 art. 360 n. 3 c.p.c. . Osserva che la natura dolosa e l'intenzionalità del mancato recapito è da considerarsi in re ipsa poiché risulta desumibile con certezza dal lasso di tempo per il quale il mancato deposito si è protratto. Evidenzia che il materiale era stato sequestrato presso l'abitazione del ricorrente il 12/3/2012 a distanza di mesi dal verificarsi delle esigenze derivanti dalla temporanea mancanza di spazio all'interno dell'ufficio postale protrattesi per una settimana nel settembre 2011 . Tanto integra un comportamento doloso grave sanzionabile a termini dell'art. 54 e IV CCNL 2011 lett. comma 3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione degli artt. 112, 132 c.2 n. 4 c.p.comma e 118 comma 1 delle disp. di attuazione del c.p.c., in relazione all'art. 3 l. 604/66 art. 360 n. 3 c.p.c . Rileva che la sentenza non avrebbe fornito adeguata motivazione sull'eccezione spiegata in via gradata da Poste riguardo alla possibilità per il giudice di qualificare il licenziamento come sorretto da giustificato motivo soggettivo. 4. I primi due motivi di ricorso, da valutare congiuntamente stante l'intima connessione, sono fondati. 4.1. Va ricordato, sul piano della dedotta violazione di norme di legge, che, secondo la prevalente giurisprudenza di questa Corte, cui il collegio aderisce, la giusta causa di licenziamento di cui all'art. 2119 c.c., quale fatto che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto , è nozione che la legge - allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo - configura con una disposizione ascrivibile alla tipologia delle cosiddette clausole generali di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l'accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici. Pertanto, l'operazione valutativa compiuta dal giudice di merito nell'applicare le clausole generali come quella dell'art. 2119 c.c., che, in tema di licenziamento per giusta causa, detta una tipica norma elastica , non sfugge ad una verifica in sede di giudizio di legittimità, sotto il profilo della correttezza del metodo seguito nell'applicazione della clausola generale, poiché l'operatività in concreto di norme di tale tipo deve rispettare criteri e principi desumibili dall'ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali e dalla disciplina particolare anche collettiva in cui la fattispecie si colloca cfr., per tutte, Cass. Sez. L, Sentenza n. 25144 del 2010, Cass. n. 6498 del 26/04/2012, Rv. 622158 . Analogo discorso è riferibile alla nozione legale di proporzionalità della sanzione disciplinare di cui all'art. 2108 c.c., anch'essa evocata nel presente giudizio. 4.2. Tanto premesso, deve ritenersi rientrare nell'ambito delle specificazioni interpretative della nozione di giusta causa, rimesse al sindacato di legittimità sotto il profilo della violazione di legge, l'individuazione delle nozioni di dolo e di pregiudizio in relazione ai parametri indicati dall'art. 54 comma VI lett. c del CCNL 2011 violazioni dolose di leggi e regolamenti di doveri di ufficio che possano arrecare o abbiano arrecato forte pregiudizio alla società o ai terzi , al quale hanno fatto riferimento i giudici di merito ai fini della valutazione riguardo alla sussistenza della giusta causa di licenziamento. La Corte territoriale, muovendo dal tenore della contestazione indicante la sola la materialità della condotta, desumibile dall'avere gli agenti rinvenuto un notevole quantitativo di posta inevasa nell'abitazione dello I. , ha evidenziato la mancanza di prova dell'elemento soggettivo del dolo nella condotta contestata, ravvisando in essa, invece, gli indici di una condotta negligente e arbitraria. Hanno rilevato, infatti, i giudici del merito che il dolo non poteva essere ravvisato nella scelta di custodire senza alcuna autorizzazione presso la propria abitazione il materiale da consegnare, anche in relazione alla situazione di disorganizzazione dell'ente, risultante dalla circostanza che alcuni mesi prima la medesima posta era stata per un periodo accantonata in alcuni spazi dell'ufficio postale in attesa di smaltimento. Allo stesso modo hanno evidenziato la mancanza di prova in ordine ai pregiudizi subiti da Poste Italiane in conseguenza della descritta condotta. 4.3. Il ragionamento contiene in sé un vizio riconducibile a violazione di legge secondo i criteri indicati sub 4.2. Ed invero la Corte territoriale, richiamandosi alle norme generali che devono necessariamente integrare, specificandola, la disposizione della contrattazione collettiva richiamata art. 54 comma VI lett. c del CCNL 2011, relativa a violazioni dolose di leggi e regolamenti di doveri di ufficio che possano arrecare o abbiano arrecato forte pregiudizio alla società o ai terzi , ha ritenuto ravvisabile nella condotta contestata i connotati dell'elemento psicologico della colpa nei termini di cui all'art. 43 c.p., laddove l'evento oggetto di contestazione non è attribuibile all'agente in termini di imprudente, negligente o imperita gestione del rischio, né è riferibile a conseguenza non voluta contro l'intenzione , e tuttavia prevedibile ed evitabile, dell'inosservanza di prescrizioni doverose. Ne consegue che nell'escludere la natura dolosa della condotta la Corte territoriale assume una nozione restrittiva di dolo, in sostanza coincidente con la nozione di dolo intenzionale intendendosi per tale il legame psicologico che raggiunge l'intensità massima, nel senso che la rappresentazione del verificarsi del fatto costituente l'addebito disciplinare, costituisce lo scopo finalistico in vista dei quali il soggetto si determina alla condotta , ancorché il dolo richiesto ai fini della configurabilità della giusta causa rimanda, invece, a una nozione più generale dolo diretto , coincidente con la rappresentazione e volizione del fatto costituente l'addebito disciplinare, nel senso che l'evento nella specie l'accumulo di posta inevasa nella propria abitazione è preveduto e voluto quale conseguenza della propria azione. 4.4.Analogamente, per quanto attiene alla nozione di pregiudizio di cui alla disposizione della contrattazione collettiva, occorre rimarcare che quest'ultimo, secondo i criteri civilistici generali in tema di danno, non deve necessariamente coincidere con una diminuzione economicamente valutabile, poiché il carattere patrimoniale del danno riguarda non solo l'accertamento di un saldo negativo nello stato patrimoniale del danneggiato ma anche l'incidenza in concreto di una diminuzione dei valori e delle utilità suscettibili secondo una valutazione tipica, che si riflette sul quantum risarcitorio, di commisurazione in denaro di cui il medesimo può disporre, costituendo il patrimonio, ai fini in considerazione, quell'insieme di beni, valori e utilità tra loro collegati sotto il profilo e mediante un criterio funzionale. Ne consegue che il carattere della patrimonialità, che attiene al danno e non al bene leso dal fatto dannoso, non implica sempre e necessariamente un esborso monetario né una perdita di reddito o prezzo, potendo configurarsi anche come diminuzione dei valori o delle utilità economiche del danneggiato in tal senso Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9740 del 05/07/2002, Rv. 555533, i cui rilievi, sia pure resi in tema di responsabilità extracontrattuale, sono pertinenti al caso in disamina . 5.Alla luce delle svolte argomentazioni i primi due motivi di ricorso vanno accolti. Ne segue la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio al giudice del merito che nella valutazione dei fatti contestati dovrà attenersi, ai fini della verifica della sussistenza della giusta causa di licenziamento, alle nozioni di dolo e pregiudizio, cui la disposizione collettiva rimanda, nei termini innanzi precisati. Va affermato, pertanto, il seguente principio di diritto ai fini della valutazione della sussistenza della giusta causa di licenziamento ex art. 54 comma VI lett. c del CCNL 2011 per violazioni dolose di leggi e regolamenti di doveri di ufficio che possano arrecare o abbiano arrecato forte pregiudizio alla società o ai terzi deve farsi riferimento alla nozione di dolo di cui all'art. 43 c.p., nonché alla nozione di pregiudizio inteso come diminuzione dei valori o delle utilità economiche del danneggiato. 6.Nella pronuncia di annullamento resta assorbita la terza censura, la quale, poiché concerne la sussistenza del giustificato motivo di licenziamento, presuppone lo scrutinio preliminare della questione attinente alla sussistenza della giusta causa. P.Q.M. La Corte accoglie il primo e il secondo motivo, assorbito il terzo. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione.