Età e capacità lavorativa ridotta non bastano a provare l’incollocazione al lavoro

L’incollocazione al lavoro va provata in giudizio dall’istante, anche mediante presunzioni. I soli elementi di fatto rappresentati dall’età e dalla parziale incapacità lavorativa non possono supplire alla mancanza di prova di tale requisito, non essendo idonei a provare in modo univoco la situazione di effettiva non occupazione della parte interessata, poiché non sono incompatibili con un’attività lavorativa, ancorché ridotta.

È quanto ribadito dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione con la sentenza n. 23786/15, depositata il 20 novembre. Il caso. La ricorrente sottopone al vaglio del Supremo Collegio la sentenza con cui la Corte d’appello territorialmente competente, confermando il decisum di primo grado, ha respinto la sua domanda di conseguimento delle provvidenze economiche connesse al suo stato di invalidità. Non è stato provata l’incollocazione al lavoro. In primo luogo, gli Ermellini hanno ribadito che, per costante giurisprudenza di legittimità, per gli invalidi che per ragione di età non hanno diritto all’iscrizione nelle liste di collocamento obbligatorio l’incollocazione al lavoro va intesa come stato di effettiva disoccupazione e va provata in giudizio dall’istante, anche mediante presunzioni. Dalla sentenza in commento, invece, secondo Piazza Cavour, non emerge alcuna prova di tale requisito. Non bastano l’età e la parziale capacità lavorativa. Né, prosegue il Supremo Collegio, i soli elementi di fatto rappresentati dall’età e dalla parziale incapacità lavorativa possono supplire - nemmeno come elementi presuntivi - la mancanza di prova del requisito dell’incollocazione al lavoro, dal momento che non sono idonei a provare in modo univoco la situazione di effettiva non occupazione della parte interessata, non essendo incompatibili con un’attività lavorativa, ancorché ridotta. Hanno infatti ulteriormente precisato dal Palazzaccio che ai fini del riconoscimento dell’assegno di invalidità civile, le donne invalide ultrasessantenni ed infrasessantacinquenni, che non hanno più diritto ad essere iscritte nelle liste speciali di collocamento per aver raggiunto l’età pensionabile, possono dimostrare il requisito dell’incollocamento, richiesto per l’erogazione delle relative prestazioni, provando, con gli ordinari mezzi di prova, ivi comprese le presunzioni, lo stato di effettiva disoccupazione o di non occupazione. Pertanto, gli Ermellini hanno rigettato il motivo di ricorso esaminato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 16 settembre – 20 novembre 2015, n. 23786 Presidente Stile – Relatore Berrino Svolgimento del processo Con sentenza del 20.10 - 13.11.2009 la Corte d'appello di Catania ha rigettato l'impugnazione proposta da C.L. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Siracusa che le aveva respinto la domanda diretta al conseguimento delle provvidenze economiche connesse al suo stato di invalidità. La Corte territoriale ha spiegato che, a fronte della eccepita carenza del requisito socio-economico da parte dell'Inps, la ricorrente non aveva dedotto alcun elemento in ordine alla sussistenza di tale requisito, per cui a nulla valeva l'accertato grado di invalidità risalente ad epoca antecedente al sessantacinquesimo anno d'età dell'assistita, mentre aveva rilievo l'insussistenza del requisito specifico della incollocabilità al lavoro, rappresentante uno degli elementi costitutivi del diritto in esame ai sensi degli artt. 12 e 13 della legge n. 118del 1971. Per la cassazione della sentenza ricorre C.L. con quattro motivi. Resiste con controricorso l'Inps. Motivi della decisione 1. Col primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. assumendo che la Corte d'appello avrebbe dovuto limitare la sua indagine alla verifica della sussistenza del requisito sanitario, unica questione dedotta con l'impugnazione, e non estenderla alla disamina del requisito socioeconomico, rispetto al quale né l'Inps, né il Ministero dell'Economia avevano proposto appello incidentale, con conseguente formazione del giudicato interno sul punto. Il motivo è infondato. Invero, è sufficiente rilevare che l'Inps era risultato vittorioso in primo grado, ove aveva espressamente eccepito anche la carenza del requisito socio-economico che rappresenta, al pari di quello sanitario, un elemento costitutivo del diritto in esame, per cui non era necessario, difettando un suo interesse al riguardo, che proponesse anche appello incidentale. Si è, infatti, affermato Cass. Sez.1, n. 24021 del 26/11/2010 che la parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado, difettando di interesse al riguardo, non ha l'onere di proporre, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, appello incidentale per richiamare in discussione le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado , da intendersi come quelle che risultino superate o non esaminate perché assorbite o anche quelle esplicitamente respinte qualora l'eccezione mirava a paralizzare una domanda comunque respinta per altre ragioni, ma è soltanto tenuta a riproporle espressamente nel giudizio di appello in modo tale da manifestare la sua volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinuncia derivante da un comportamento omissivo, ai sensi dell'ari 346 cod. proc. civ. . Orbene, dalla sentenza impugnata si ricava che la carenza dei requisiti socioeconomici era stata dedotta tempestivamente dall'Inps già nella propria memoria difensiva del giudizio di primo grado e reiterata nella memoria di costituzione in appello. Né può sostenersi che si era formato un giudicato interno in ordine al requisito socio-economico, atteso che la decisione di primo grado incentrata sulla carenza del requisito sanitario non implicava, come infondatamente dedotto dalla ricorrente, un riconoscimento della ricorrenza di quello socio-economico che era stato, al contrario, espressamente contestato dall'ente convenuto. Al riguardo si è statuito Cass. Sez. Lav. n. 14035 del 27/9/2002 che in tema di pensione di inabilità ed assegni di invalidità previsti a favore degli invalidi civili dagli artt. 12 e 13 della legge 30 marzo 1971, n. 118, i requisiti socio economici requisiti reddituale, incollocazione integrano elementi costitutivi del diritto fatto valere dall'interessato, la cui mancanza è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, salvi gli effetti del giudicato interno, formatosi, ove il giudice di primo grado abbia accolto la domanda all'esito della verifica del solo requisito sanitario, per effetto della sussistenza degli altri requisiti, mentre, qualora il giudice abbia rigettato la domanda sulla base della ritenuta assenza del requisito sanitario senza alcuna pronuncia su quello economico, la carenza degli ulteriori requisiti è deducibile per la prima volta in appello ed è rilevabile d'ufficio dal giudice di secondo grado . Ne consegue che non sussiste il lamentato vizio di ultrapetizione della sentenza impugnata. 2. Col secondo motivo, dedotto per vizio di motivazione ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c., la ricorrente assume che l'Inps non aveva tempestivamente eccepito in primo grado la carenza del requisito socio-economico. Il motivo è infondato, atteso che nella sentenza d'appello è dato atto della formulazione della predetta eccezione all'interno della memoria difensiva di primo grado e, d'altra parte, la difesa dell'Inps ha riprodotto nel presente controricorso il contenuto di tale memoria con riferimento alla parte avente ad oggetto la contestazione della ricorrenza dei requisiti socio-economici. 3. Col terzo motivo, proposto per vizio di motivazione ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c., la ricorrente lamenta la contraddittorietà della decisione della Corte d'appello che, da una parte, ha posto in risalto l'importanza di esaminare l'esistenza dei requisiti socio-economici e, dall'altra, ha disposto il rinnovo della consulenza medico-legale per l'accertamento del requisito sanitario. Inoltre, la ricorrente si duole del fatto che all'esito dell'accertamento peritale di secondo grado, che ha consentito di verificare la sussistenza del requisito sanitario, la Corte di merito non le ha concesso di dimostrare l'esistenza del requisito socioeconomico. Il motivo è infondato, in quanto il rinnovo della perizia medico-legale disposta in secondo grado non implicava affatto il riconoscimento della sussistenza del requisito socio-economico, rappresentando, quest'ultimo, al pari di quello sanitario, un elemento costitutivo della domanda la cui prova non poteva che essere fornita dalla parte interessata al conseguimento dell'invocata provvidenza. 4. Col quarto motivo è segnalata la violazione e falsa applicazione dell'ari 13 della legge n. 118/1971 e dell'art. 1 della legge n. 68/1999, in quanto si fa rilevare che la domanda amministrativa concernente le reclamate provvidenze era stata presentata il 28/6/2002, allorquando l'assistita aveva ancora 64 anni, e che la medesima era stata già iscritta in passato nelle liste speciali del collocamento dal 12/10/1984 all'11/2/1999, data in cui era stata cancellata d'ufficio per il superamento dei limiti d'età 60 anni per le donne . Ne conseguiva che l'età dell'assistita, le sue accertate condizioni fisiche e la pregressa iscrizione nelle liste speciali del collocamento potevano essere considerate dalla Corte di merito al fine di escludere lo svolgimento da parte della medesima ricorrente di una qualche attività lavorativa. Il motivo è infondato. Infatti, per costante giurisprudenza di questa Corte per gli invalidi che per ragione di età non hanno diritto all'iscrizione nelle liste di collocamento obbligatorio l'incollocazione al lavoro deve intendersi come stato di effettiva disoccupazione che va comunque provato in giudizio dall'istante, anche mediante presunzioni, vedi Cass. n. 28852/2008 e Cass. sez. lav., ordinanza n. 7462 del 2010 , mentre dalla sentenza impugnata emerge che il requisito in esame non è stato in alcun modo provato. Al riguardo, con la summenzionata Ordinanza n. 7642/2010 di questa Corte si è evidenziato che i soli elementi di fatto rappresentati dall'età e dalla parziale incapacità lavorativa non valgono a supplire, seppure come elementi presuntivi, la mancanza di prova del requisito della incollocazione al lavoro, perché non idonei a comprovare in modo univoco la situazione di effettiva non occupazione della parte interessata, in quanto non incompatibili con un'attività lavorativa, ancorché ridotta. Si è, altresì, chiarito Cass. Sez. Lav. n. 22113 del 19/10/2009 che ai fini del riconoscimento dell'assegno di invalidità civile, le donne invalide ultrasessantenni ed infrasessantacinquenni, che non hanno più diritto ad essere iscritte nelle liste speciali di collocamento per aver raggiunto l'età pensionabile, possono dimostrare il requisito dell'incollocamento al lavoro, richiesto per l'erogazione delle relative prestazioni, provando, con gli ordinari mezzi di prova, ivi comprese le presunzioni, 10 stato di effettiva disoccupazione o di non occupazione . Pertanto, il ricorso va rigettato. Non va adottata alcuna statuizione in ordine alle spese del presente giudizio ai sensi dell'art. 152 disp. att. c.p.c. nel testo successivo all'entrata in vigore del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326, posto che nella sentenza d'appello si richiama la dichiarazione liberatoria della ricorrente di cui all'art. 42, comma 11, l. n. 326/2003 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.