Buco da 35mila euro in cassa, licenziata la responsabile dell’ufficio postale. Inutile la restituzione delle somme

Sconfitta per la dipendente di ‘Poste’. Addio definitivo al posto di lavoro. Fatale l’ammanco di cassa. La donna ha ammesso la propria colpa, ma si è giustificata colle grosse difficoltà economiche vissute. Irrilevante anche il fatto che ella abbia provveduto alla restituzione delle some prelevate illegittimamente.

Grosso ‘buco’ di cassa per l’ufficio postale. Mancano ben 35mila euro. Dato registrato a chiusura di una ispezione. A pagarne le conseguenze è la dipendente a cui era stata affidata, seppur solo temporaneamente, la responsabilità della piccola struttura. Definitivo e non più contestabile il licenziamento deciso dall’azienda Cass., sentenza n. 22716/2015, Sezione Lavoro, depositata oggi . Ammanco. Svolta decisiva in Appello. Lì i giudici ribaltano completamente l’ottica adottata in Tribunale. Ciò conduce a ritenere legittimo il licenziamento deciso da ‘Poste Italiane s.p.a.’ nei confronti della responsabile di un ufficio in un piccolo paese calabrese. Decisiva la contestazione mossa alla donna. Ella è ritenuta responsabile dell’ ammanco di cassa per 35mila euro registrato a chiusura di una ispezione . Irrilevante, per i giudici, il fatto che la lavoratrice, una volta ammessa la propria colpa, abbia provveduto alla immediata restituzione delle somme sottratte , spiegando di aver vissuto un periodo caratterizzato da grosse difficoltà economiche . E non significativa è, sempre secondo i giudici d’Appello, la assenza di conseguenze penali . Sanzione. E ora arriva il ‘sigillo’ della Cassazione, che certifica la perdita definitiva del lavoro per la donna. Vittoria, quindi, per ‘Poste Italiane’, che, secondo i giudici, ha giustamente sanzionato la dipendente col provvedimento più duro. Tale valutazione è poggiata sulla constatazione della evidente gravità dei fatti addebitati alla donna. Gravità tale da ledere in modo irreparabile il vincolo fiduciario coll’azienda, anche in considerazione delle mansioni svolte dalla lavoratrice e del disdoro arrecato alla datrice di lavoro . Per quanto concerne, poi, il nodo della tempestività della contestazione , i giudici del ‘Palazzaccio’ condividono le valutazioni compiute in Appello è da escludere l’ipotesi della tardività . Decisiva, in questa ottica, la esigenza dell’azienda di procedere ad ulteriori accertamenti , una volta conclusa l’ispezione, per controllare se si fosse in presenza di episodi isolati o di una prassi costante se vi fossero in corso denunce a carico della lavoratrice se altri clienti fossero stati destinatari di pressioni . E il tempo necessario a tali accertamenti , evidenziano i giudici, non è mai andato a detrimento del diritto di difesa della lavoratrice , che, aveva giustificato la propria condotta, dopo aver confessato, con una situazione di stress e di difficoltà economiche .

Corte di Cassazione, sez. lavoro, sentenza 15 luglio – 6 novembre 2015, numero 22716 Presidente Venuti – Relatore Doronzo Svolgimento del processo 1.Con sentenza depositata in data 19 ottobre 2012, la Corte d'appello di Reggio Calabria accoglieva l'impugnazione proposta da Poste Italiane s.p.a. contro la sentenza resa dal Tribunale di Palmi e, per l'effetto, accoglieva la domanda proposta dall'appellante, avente ad oggetto l'accertamento e la declaratoria della legittimità del licenziamento intimato a G.C. per giusta causa con atto del 4 ottobre 2006 e, conseguentemente, rigettava la domanda di reintegrazione nel posto di lavoro proposta in via cautelare dalla lavoratrice. 1.1. La C., dipendente della suddetta società e incaricata temporaneamente della responsabilità dell'ufficio postale di San Pietro di Caridà, era stata licenziata perché, in seguito ad un'ispezione svoltasi il 4 ottobre 2005, era emerso un ammanco di cassa per £ 35.000, attribuito alla dipendente. 1.2. La Corte territoriale, muovendo dalla premessa che i fatti erano stati accertati nella loro oggettività e, comunque, non erano stati contestati, riteneva che essi fossero di tale gravità da ledere in modo irreparabile il vincolo fiduciario esistente tra le parti, in considerazione delle mansioni svolte dalla C., che comportavano una responsabilità di cassa, e del disdoro arrecato alla datrice di lavoro, a nulla rilevando al riguardo l'immediata restituzione delle somme sottratte e l'assenza di conseguenze penali. 1.3. In ordine alla tempestività della contestazione, la Corte precisava che il provvedimento di sospensione cautelare adottato da Poste italiane in data 4 novembre 2005, ossia dopo circa un mese dall'ispezione, e l'espresso richiamo, in esso contenuto, all'ari. 55 del C.C.N.L., il quale prevede la facoltà dell'azienda di espletare accertamenti su fatti addebitati al lavoratore a titolo di infrazione disciplinare, escludevano che il tempo trascorso tra la notizia degli illeciti e la contestazione disciplinare 29/8/2006 , e quindi il licenziamento 4/10/2006 , potesse essere interpretato come volontà dell'ente di soprassedere all'adozione di provvedimenti disciplinari inoltre, quest'arco temporale non si era rivelato di ostacolo all'esercizio dei diritto di difesa della lavoratrice, la quale aveva sempre giustificato la propria condotta, dopo aver confessato immediatamente i fatti a lei contestati, con la situazione di stress e di difficoltà economiche in cui versava in quel periodo. 2. Contro la sentenza, la C. propone ricorso per cassazione, sostenuto da un unico motivo. Poste Italiane s.p.a. si difende con controricorso, illustrato da memoria ex articolo 378 c.p.c. Motivi della decisione ].Con l'unico motivo la ricorrente censura la sentenza per omessa, insufficiente e contraddittoria o illogica motivazione circa un fatto decisivo e controverso in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., 1175 e 1375, 2697 e 2729 c.c., articolo 7 legge numero 300/1970, nonché in relazione ad ogni principio in tema di onere della prova , ai sensi dell'articolo 360, comma 1°, numero 5 c.p.c. Assume che la Corte non avrebbe tenuto conto che Poste italiane aveva avuto la possibilità di conoscere e valutare la sua condotta in tutti i suoi connotati di gravità, fin dall'ispezione dell'ottobre 2005, da cui era emerso un ammanco di cassa di e 35.000. L'intero iter del procedimento disciplinare si era rivelato così superfluo e comunque non necessario, considerato anche che il solo elemento di prova raccolto erano state le dichiarazioni da lei stessa rese in ordine alle circostanze di fatto già emerse in sede ispettiva. La contestazione doveva dunque essere considerata intempestiva, essendo stata effettuata a distanza di nove mesi dall'accertamento completo dei fatti. Né la sospensione cautelare dal servizio poteva escludere l'onere per il datore di lavoro di promuovere il procedimento disciplinare in tempi ragionevoli, considerato peraltro che essa non era risultata funzionale allo svolgimento di ulteriori e più approfondite indagini, ma piuttosto aveva creato in essa lavoratrice la convVzione che la società intendeva soprassedere all'adozione di provvedimenti sanzionatori. 2. Il motivo non merita accoglimento. Il denunciato vizio motivazionale è inammissibile, alla luce del nuovo testo dell'ari. 360, comma 1°, numero 5, c.p.c. come modificato dall'ars. 54, comma 1°, lett. b , del d.l. 22 giugno 2012, numero 83, cony. con modifiche in legge 7 agosto 2012 numero 134 il quale prevede che la sentenza può essere impugnata per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti . Per effetto della disposizione transitoria contenuta nello stesso articolo 54, comma 3°, la norma si applica ai ricorsi per cassazione contro provvedimenti pubblicati dopo 11 settembre 2012 quindi al caso in esame . Orbene, le Sezioni Unite di questa Corte Sez. Unumero 7 aprile 2014, nnumero 8053, 8054 hanno avuto modo di precisare che a seguito della modifica dell'articolo 360, comma I', numero 5, c.p.c., il vizio di motivazione si restringe a quello di violazione di legge e, cioè, dell'articolo 132 c.p.c., che impone al giudice di indicare nella sentenza la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione , secondo quello che è stato definito il minimo costituzionale della motivazione. Ed infatti perché la violazione sussista si deve essere in presenza di un vizio così radicale da comportare con riferimento a quanto previsto dall'articolo 132, numero 4, c.p.c. la nullità della sentenza per mancanza di motivazione , fattispecie che si verifica quando la motivazione manchi del tutto, oppure formalmente esista come parte del documento, ma le argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum . Pertanto, a seguito della riforma del 2012 scompare il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sulla esistenza sotto il profilo della assoluta omissione o della mera apparenza e sulla coerenza sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell'illogicità manifesta . Inoltre, il vizio può attenere solo alla quaestio facti in ordine alle quaestiones juris non è configurabile un vizio di motivazione e deve essere testuale, deve, cioè, attenere alla motivazione in sé, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Dal nuovo testo dell'ari. 360, numero 5, c.p.c., è scomparso il termine motivazione e, pertanto, l'omesso esame deve riguardare un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia . Le Sezioni unite hanno specificato che la parte ricorrente dovrà indicare - nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all'ari. 366, primo comma, numero 6 e 369, secondo comma, numero 4, c.p.c.- il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato testuale emergente dalla sentenza o extratestuale emergente dagli atti processuali , da cui risulti l'esistenza, il come ed il quando nel quadro processuale tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, la decisività del fatto stesso . Alla luce di questi chiari principi, seguiti da numerose decisioni di questa Corte Cass., 27 novembre 2014, numero 25216 Cass., ord. 1740/2015 , emerge evidente come il motivo all'esame non presenti alcuno dei requisiti di ammissibilità richiesti dall'articolo 360, comma 1, numero 5, c.p.c. così come novellato, nella interpretazione fornitane dalle Sezioni unite di questa Corte. 3. La Corte territoriale ha compiutamente esaminato i fatti storici posti a base del motivo in esame, per escludere la tardività della contestazione disciplinare. In particolare, ha ricostruito i momenti salienti della vicenda, a partire dall'emersione dei fatti disciplinarmente rilevanti a seguito di ispezione fino alla contestazione disciplinare, dando particolare rilievo al provvedimento di sospensione cautelare nonché all'esigenza, ritenuta legittima, della datrice di lavoro di procedere ad ulteriori approfondimenti, considerati il tipo di infrazione commessa e, dunque, la necessità di controllare se si fosse in presenza di episodi isolati o di una prassi costante, se vi fossero in corso denunce a carico della lavoratrice, se altri clienti fossero stati destinatari di pressioni da parte della stessa. Ha altresì escluso che il tempo necessario a tali accertamenti sia andato a detrimento del diritto di difesa della lavoratrice, considerate le giustificazioni addotte dalla medesima. Si tratta di un ragionamento che non presenta profili di contraddittorietà o palesi illogicità. La motivazione è, dunque, certamente sussistente, oltre che ancorata a precise evidenze istruttorie. In realtà, con il motivo in esame la parte prospetta una diversa lettura del fatto indicato, al fine di ottenere un riesame nel merito della questione, inammissibile in questa sede perché eccedente il sindacato di legittimità che compete alla Corte di cassazione. 4. Non sussiste, pertanto, la violazione del principio di immediatezza della contestazione disciplinare prevista per il lavoro privato dall'articolo 7 legge numero 300 del 1970, il quale, peraltro, deve essere inteso in senso relativo, ossia tenendo conto delle ragioni oggettive che possono ritardare la percezione o il definitivo accertamento e la valutazione dei fatti contestati Cass., 19 giugno 2014, numero 13955 Cass., 17 settembre 2008, numero 23739 Cass., 21 febbraio 2008, numero 4502 Cass., 22 ottobre 2007, numero 22066 Cass., 6 settembre 2007, numero 18711 , dovendosi altresì precisare che la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano o meno il ritardo è riservata al giudice del merito Cass., 2 febbraio 2009, numero 2580 Cass., 1 luglio 2010, numero 15649 Cass., 10 settembre 2013, numero 20719 Cass., numero 13955/2014, cit. ed il suo accertamento è insindacabile in cassazione se congruamente motivato Cass., 11 maggio 2002, numero 6790 Cass., 8 gennaio 2001, numero 150 , congruità che, nella specie, è certamente ravvisabile. 5. Altrettanto va detto in ordine al giudizio di proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito contestato, il quale è devoluto al giudice di merito e la sua valutazione non è censurabile in sede di legittimità, ove sorretta da motivazione sufficiente e non contraddittoria Cass., 25 maggio 2012, numero 8293 Cass., 26 aprile 2012, numero 6498 . 6. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese del presente giudizio sostenute dalla controricorrente, in applicazione del principio della soccombenza. Poiché il ricorso è stato notificato in data successiva al 31 gennaio 2013, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell'articolo 13, comma 1, del d.p.r. 11512002. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in £ 100,00 per esborsi e £ 3.000 per compensi professionali, oltre spese generali e altri accessori di legge. Ai sensi dell'ari. 13, comma 1, quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.