Anche il dirigente deve impugnare il licenziamento in 60 giorni

L’estensione dei termini di decadenza ed inefficacia dell’impugnazione del licenziamento, previsti dall’art. 32 comma 2 l. 183/2010, opera con riguardo al dato oggettivo costituito dall’invalidità del licenziamento e, quindi, supera la limitazione posta dall’art. 10 l. 604/1966 attinente alla posizione del lavoratore licenziato operaio ed impiegato .

Così ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 22627/2015, depositata il 5.11.2015. Una cosa è licenziare, un’altra è l’intenzione di licenziare. Una dirigente veniva licenziata per giustificato motivo oggettivo. Il procedimento ex art. 7 l. 604/1966, introdotto con la c.d. Legge Fornero, impone al datore di lavoro - che intenda licenziare per giustificato motivo oggettivo - di comunicare, preventivamente, alla Direzione Territoriale del Lavoro tale intenzione, richiedendo la fissazione di un incontro onde valutare soluzioni alternative al licenziamento. Tale comunicazione veniva inviata alla DTL e per copia conoscenza alla dirigente e veniva fissato l’incontro a fini conciliativi. Per mero disguido, l’azienda non aveva potuto partecipare a tale primo incontro, pertanto, inviava una nuova comunicazione alla Direzione, revocando quella precedente, e chiedendo la fissazione di un nuovo incontro, ferma restando l’intenzione di licenziare la dirigente per giustificato motivo oggettivo. La lavoratrice impugnava e contestava tale seconda comunicazione alla DTL. All’esito dell’incontro presso la DTL, che non aveva sortito effetti conciliativi, l’azienda intimava il licenziamento e la dirigente ricorreva avanti il giudice del lavoro onde ottenerne la dichiarazione di nullità/illegittimità/ inefficacia. Le questioni sottoposte alla Suprema Corte sono due la prima, se il termine decadenziale di 60 giorni, previsto per l’impugnazione del licenziamento, dall’art. 32 comma 2 del Collegato Lavoro, sia applicabile anche ai dirigenti la seconda attiene l’oggetto dell’impugnazione, ossia, se, nei 60 giorni, il lavoratore debba impugnare la comunicazione alla DTL oppure la lettera di licenziamento. Decade anche il dirigente Secondo la Corte di Cassazione, anche i dirigenti devono rispettare il termine di 60 giorni per l’impugnazione del loro licenziamento, a pena di decadenza. Il ragionamento logico – giuridico è stringente. Il procedimento avanti alla DTL relativo ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo è stato introdotto con la c.d. Legge Fornero, che ha modificato l’art. 7 l. 604/1966. L’art. 10 della l. 604/1966 prevede che le norme della stessa legge si applichino nei confronti dei prestatori di lavoro che rivestono la qualifica di impiegati ed operai, quindi, sembrerebbe, non ai dirigenti. L’art. 32 comma 2 del Collegato Lavoro – il cui comma 1, modificato dalla Legge Fornero, ha sostituito l’art. 6 l. 604/1966, stabilendo il termine di decadenza di 60 giorni per l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento e il termine di inefficacia di 180 giorni per la proposizione del ricorso – ha stabilito che le disposizioni di cui all’art. 6 l. 604/1966, come modificato dal presente articolo, si applicano anche a tutti casi di invalidità del licenziamento . Quindi, il termine di decadenza si applica a tutti i casi di invalidità del licenziamento oppure a tutti casi di invalidità del licenziamento di operai ed impiegati? La ratio legis della disciplina introdotta dal combinato disposto dell’art. 6 e dell’art. 32 è garantire la speditezza dei processi attraverso la previsione di termini di decadenza ed inefficacia, al fine di rispettare la ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 Cost. Di conseguenza, è bene che i termini di decadenza ed inefficacia si applichino a tutte le ipotesi di invalidità del licenziamento, indipendentemente dalla qualifica ricoperta dal lavoratore. Se così non fosse la speditezza del processo, per alcuni lavoratori quali i dirgenti , sarebbe notevolmente ridotta. Impugnare il licenziamento effettivo . La procedura ex art. 7 l. 604/1966 prevede una prima comunicazione circa l’intenzione di licenziare, che è inviata alla DTL e al lavoratore per conoscenza, e, solo all’esito dell’incontro in DTL, la eventuale comunicazione di licenziamento. Nel caso di specie, la dirigente aveva impugnato e contestato la prima comunicazione, rimanendo inerte di fronte alla comunicazione di licenziamento vera e propria. In ogni caso, nei 180 giorni successivi all’impugnazione della prima comunicazione aveva radicato l’azione giudiziaria per ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimatole. Ebbene tale impugnazione non ha alcuna valenza. La comunicazione alla DTl deve sì contenere l’intenzione di licenziare ed i motivi oggettivi di licenziamento, ma essa non dà necessariamente luogo al recesso, non è l’atto risolutivo vero e proprio, posto che l’incontro presso la DTL può sortire effetti conciliativi o prospettare soluzioni di tipo conservativo. Non essendo intervenuta l’impugnazione del licenziamento entro i 60 giorni dalla sua comunicazione, la dirigente si deve considerare decaduta. Il licenziamento è efficace.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 16 luglio – 5 novembre 2015, numero 22627 Presidente Stile – Relatore Tricomi Svolgimento del processo 1. La Corte d'Appello di Milano, con la sentenza numero 1018/14, depositata il 6 novembre 2014, rigettava il reclamo proposto da D.C.C. nei confronti dell'Istituto Europeo di oncologia srl, in ordine alla sentenza numero 4901/14 emessa tra le parti dal Tribunale di Milano, che respingeva l'opposizione all'ordinanza 26 marzo 2014 di reiezione delle domande reintegratorie e risarcitorie proposte dalla medesima D.C., avverso il licenziamento intimatole il 25/30 luglio 2.013. 2. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre D.C.C. prospettando cinque motivi di ricorso. 3. Resiste con controricorso l'Istituto Europeo di oncologia srl. 4. Il controricorrente ha depositato memoria in prossimità dell'udienza pubblica. Motivi della decisione 1. Occorre premettere che in data 1 luglio 2013 D.C.C., medico specializzata in medicina nucleare che dal 2010 al 1 luglio 2013 è stata Co-direttore della Divisione di medicina nucleare dell'Istituto Europeo di oncologia srl, dirigente di fascia A4, riceveva per conoscenza dal suddetto Istituto Europeo di oncologia srl la comunicazione, diretta alla direzione territoriale del lavoro di Milano, in cui si esponeva che l'Istituto si trovava nella condizione di dover procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo della dott.ssa D.C. , in ragione delle modifiche organizzative che si intendevano adottare con riguardo alla Divisione di cui la stessa era condirettore, al fine di far fronte alla riduzione di budget derivante dalla c.d. spending review di. numero 95 del 2012 , e non essendo possibile il repechage. Tale comunicazione, esponeva l'IEO, revocava e sostituiva la precedente comunicazione di avvio della procedura di licenziamento del 5 giugno 2013, in virtù della quale era stato disposto l’incontro per il giorno 24 giugno, al quale non aveva partecipato alcun rappresentante dell'Istituto per mero disguido. La comunicazione si concludeva con l'affermazione che, nel restare in attesa della convocazione per l'incontro previsto dall'articolo 7, comma 3, della legge numero 604 del 1996, si chiedeva di inviare ogni comunicazione all'indirizzo della sede operativa dell'Istituto, come indicato. Con la lettera del 4 luglio 2013 la lavoratrice impugnava e contestava la suddetta comunicazione. Con lettera del 5 luglio 2013 l'IEO comunicava che, in attesa della definizione della procedura di licenziamento Intimato, la lavoratrice ferma restando la corresponsione della regolare retribuzione, era esonerata con effetto immediato dal prestare attività lavorative. Con successiva lettera del 24 luglio 2013 le parti venivano convocate presso l'Ufficio di conciliazione della dtl di Milano e la procedura si concludeva con esito negativo. Con lettera del 25 luglio 2013 l'IEO, con riferimento al procedimento di licenziamento attivato con nota del 1 luglio 2013, preso atto dell’incontro del 24 luglio 2013 ove non era stato raggiunto alcun accorso, procedeva a comunicare alla D.C. il licenziamento per giustificato motivo oggettivo con decorrenza dal 1 luglio 2013. Il 31 dicembre 2013, la D.C. depositava il ricorso ex articolo 1, comma 48, della legge numero 92 del 2012, dinanzi al Tribunale di Milano, con il quale deduceva il carattere discriminatorio e ritorsivo del licenziamento, benché irrogato per giustificato motivo oggettivo. Il Tribunale, sia in fase di urgenza che in sede di opposizione, accoglieva l'eccezione di decadenza dall'impugnazione del licenziamento, in quanto non intervenuta nel termine perentorio di 60 giorni, ex articolo 6 della legge numero 604 del 1966, come novellato, non spiegando effetti a tal fine la lettera della lavoratrice in data 4 luglio 2013. 1.1. La Corte d'Appello, nel confermare la decisione reclamata, ha affermato che la previsione che il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch'essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale articolo 6, comma 1, legge numero 604 del 1966, come novellato dall'articolo 32, comma 1, della legge numero 183 del 2010 , si estende, in ragione di quanto previsto dall'articolo 32, comma 2, della legge numero 183 del 2010, a tutti i casi di invalidità, e che l'impugnazione della comunicazione del 1 giugno 2013, con lettera del 4 giugno 2013, non valeva come impugnativa del licenziamento, poiché quest'ultimo interveniva successivamente il 25 luglio 2013, era ricevuto dalla lavoratrice il 30 luglio 2013, e non era stato impugnato nel suddetto termine decadenziale. 2. Tanto premesso in fatto può passarsi all'esame dei motivi di ricorso. Ha priorità logico-giuridica l'esame del quinto motivo di ricorso. Con il quinto motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 32, comma 2, e degli artt. 6 e 10 della legge numero 604 del 1966, in punto di applicabilità del termine di decadenza di 60 giorni per l'impugnativa del licenziamento del dirigente. La ricorrente contesta la statuizione della Corte d'Appello secondo la quale alcun pregio rivestono i richiami all'orientamento giurisprudenziale che esclude la necessità dell'impugnativa a pena di decadenza del licenziamento nel termine di sessanta giorni per lacune tipologie di recesso, dal momento che il testo dell'articolo 32, comma 2, della legge numero 183 del 2010, la estende a tutti i casi di invalidità . La ricorrente ricorda la giurisprudenza di legittimità secondo la quale al dirigente non è applicabile la disciplina limitativa prevista dalla legge 604 del 1966 e, quindi, non è applicabile la norma sulla decadenza entro sessanta giorni dal licenziamento, ove difetti una formale impugnazione è richiamata Cass., numero 20763 del 2012 . Erroneamente, la Corte d'Appello avrebbe esteso al dirigente una decadenza che, incidendo sul diritto di proporre la domanda giudiziale è un istituto eccezionale, in quanto contrastante con il diritto costituzionalmente protetto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti articolo 24 Cosi , nonché con quello del giusto processo articolo 111 Cost. , volto a tutelare l'effettività dei mezzi di azione e difesa. 2.1. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato. Occorre premettere che l'articolo 10 della legge numero 604 del 1966 prevede le norme della presente legge si applicano nei confronti dei prestatori di lavoro che rivestano la qualifica di impiegato e di operaio, ai sensi dell'articolo 2095 del Codice civile e, per quelli assunti in prova, si applicano dal momento in cui l'assunzione diviene definitiva e, in ogni caso, quando sono decorsi sei mesi dall'inizio del rapporto di lavoro”. L'articolo 32, comma 2, della legge numero 183 del 2010 il cui comma 1, come modificato, ha sostituito l'articolo 6 della legge numero 604 del 1966, stabilendo il termine di decadenza di 60 giorni per l'impugnazione stragiudiziale del licenziamento e il termine di inefficacia di 180 giorni per la proposizione del ricorso giurisdizionale ha stabilito le disposizioni di cui all'articolo 6 della legge 15 luglio 1966, numero 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano anche a tutti i casi di invalidità del licenziamento”. L'articolo 6, così richiamato, dispone, ai commi 1 e 2 il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch'essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso. L'impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Qualora la conciliazione o l'arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l'accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo”. I suddetti termini di decadenza e di inefficacia dell'impugnazione, dunque, devono trovare applicazione quando si deduce l'invalidità del licenziamento, come nella specie prospettandone la nullità in quanto discriminatorio, non assumendo rilievo la categoria legale di appartenenza del lavoratore. Peraltro, occorre ricordare come già la giurisprudenza di legittimità, nel previgente quadro normativo, nel ricostruire l'ambito di non applicabilità della disciplina limitativa del potere di licenziamento di cui alla legge numero 604 del 1966 e alla legge numero 300 del 1970, aveva, comunque, escluso da tale ambito i c.d. pseudo dirigenti, cioè quei lavoratori che seppure hanno di fatto il nome ed il trattamento dei dirigenti, per non rivestire nell'organizzazione aziendale un ruolo di incisività e rilevanza analogo a quelli dei c.d. dirigenti convenzionali dirigenti apicali, medi o minori , non sono classificabili come tali dalla contrattazione collettiva - e tanto meno da un contratto individuale - non essendo praticabile uno scambio tra pattuizione di benefici economici e di più favorevole trattamento e la tutela garantistica ad essi assicurata, al momento del recesso datoriale, dalle leggi numero 604 del 1966 e numero 300 del 1970 Cass., S.U., numero 7880 del 2007 . La ratio della disciplina introdotta dall'articolo 6 della legge numero 604 del 196 +Altri , in combinato disposto con l'articolo 32, comma 2, della legge numero 183 del 2010, si rinviene nella esigenza di garantire la speditezza dei processi attraverso la previsione di termini di decadenza ed inefficacia in precedenza non previsti, in aderenza e non in contrasto con l'articolo 111 Cost Il legislatore ha così operato, facendo riferimento ad un criterio oggettivo, un non irragionevole bilanciamento tra l'indispensabile esigenza di tutela della certezza delle situazioni giuridiche e il diritto di difesa del lavoratore. Correttamente, pertanto la Corte d'Appello ha ritenuto che l'estensione dei termini di decadenza ed inefficacia dell'impugnazione del licenziamento, disposta dall'articolo 32, comma 2, della legge numero 183 del 2010, opera con riguardo ad dato oggettivo costituito dalla invalidità del licenziamento, e quindi al fuori della limitazione posta dal citato articolo 10 della legge numero 604 del 1966, con riguardo alla posizione lavorativa dell'interessato. 3. Con il primo motivo di ricorso è dedotta omessa pronuncia, ex articolo 112 cpc, su un motivo di appello ritualmente dedotto con riguardo al rilievo assolutamente risolutorio della comunicazione effettuata dallo IEO alla dtl il 1 luglio 2013. La Corte d'Appello non si sarebbe pronunciata sul motivo di gravame avente ad oggetto la non corretta applicazione delle regole ermeneutiche degli articolo 1362 e ssg., con riguardo alla suddetta comunicazione. Detta comunicazione, infatti, ad avviso della ricorrente aveva un obiettivo contenuto risolutore atteso che nella stessa si affermava che l'Istituto si trovava nella condizione di dover procedere al licenziamento della D.C. per giustificato motivo. 4. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1324 e 1362 cc e ssg. in punto di interpretazione della missiva dello IEO del 1 luglio 2013 come lettera di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, alla luce degli atti successivi coerenti con la volontà risolutoria già deliberata. Erroneamente, la Corte d'Appello non avrebbe dato rilievo alla circostanza che la comunicazione del 5 luglio 2013 confermava, offrendone interpretazione autentica, quella del 1 luglio del 2013, rispetto alla quale interveniva tempestivamente l'impugnazione della D.C. con lettera del 4 luglio 2013. In sintesi, la difesa della D.C. qualifica come atto con il quale veniva ultimato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in ragione della volontà risolutiva del rapporto contenuta nello stessa, la lettera dello IEO del 1 luglio 2013, effettuata alla Direzione territoriale del lavoro e trasmessa per conoscenza alla stessa lavoratrice. Ciò prospetta, sia in ragione del tenore letterale della stessa, sia della successiva lettera del 5 luglio 2013, a proprio avviso, confermativa della precedente. Dalla lettera del 1 luglio 2013, quindi, andavano computati il termine per l'impugnazione stragiudiziale del licenziamento e il termine per la proposizione del ricorso. Il ricorso della lavoratrice, intervenuto entro 180 giorni dal 4 luglio 2013 era pertanto tempestivo dovendo ricondursi il licenziamento alla lettera datoriale del 1 luglio 2013, così come tempestiva, essendo stata ritualmente formulata entro il termine di 60 giorni, era l'impugnativa del licenziamento effettuato dalla D.C. . 5. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell'articolo 6 della legge numero 604 del 1966, in punto di tempestività dell'impugnazione del licenziamento e, comunque, insussistenza della necessità di ribadire una impugnativa già espressa con riferimento ad una comunicazione di avvio ex articolo 7, comma 1, della legge numero 604 del 1966, che già contenga una obiettiva volontà risolutoria del datore di lavoro. La ricorrente contesta la statuizione della Corte d'Appello secondo la quale il retroagire degli effetti del recesso al momento di avvio della procedura non rileva al fine di qualificare come intimazione del licenziamento stesso la comunicazione di avvio, ai fini del computo dei termini di impugnazione. A sostegno delle proprie deduzioni la ricorrente ricorda che la lettera del 25 luglio 2013 era speculare a quella del 1 luglio, interveniva dopo solo un giorno dal tentativo di conciliazione, e nella stessa non erano svolte nuove e ulteriori valutazioni. 6. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta omessa pronuncia, ex articolo 112 cpc, su un motivo di appello ritualmente dedotto in punto di decorrenza del termine per l'impugnativa della comunicazione dei motivi non contestuale, ai sensi dell'articolo 6 della legge numero 604 del 1966 articolo 360, comma 1, numero 4, cpc . La ricorrente riproduce la parte della sentenza in cui veniva riportata dalla Corte d'Appello la censura relativa alla tempestività dell'impugnazione dei motivi del licenziamento comunicati con la lettera del 1 luglio, effettuata con la lettera del 4 luglio, in conformità a quanto previsto dal citato articolo 6, deducendo che il giudice di appello non si sarebbe pronunciato in merito, come avrebbe dovuto svolgendo un'interpretazione evolutiva dell'articolo 6 in questione, e ritenendo, pertanto, l'impugnazione valida. 7. I primi quattro motivi di ricorso devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi non sono fondati e devono essere rigettati. Osserva il Collegio che non sussistono le dedotte violazioni dell'articolo 112 cpcomma Costituisce ius receptum che sussiste il vizio di omessa pronuncia, con violazione dell'articolo 112 cpc, allorché manchi completamente l'esame di una censura mossa al giudice di primo grado, mentre tale violazione non ricorre invece nel caso, quale quello in esame, in cui il giudice d'appello fondi la decisione su una costruzione logico-giuridica incompatibile con la domanda Cass., numero 452 del 2015 . Nella specie, la stessa ricorrente da atto, riportando i relativi passi della sentenza, che la Corte d'Appello prendeva in considerazione le censure del cui mancato esame si duole, e le stesse, come si rileva dalla motivazione della sentenza, hanno costituito oggetto di esame nel complessivo iter argomentativo della pronuncia, che nel ritenere che la lettera del 1 luglio 2013 non costituiva intimazione del licenziamento, né integrava i motivi di un licenziamento non contestuale, escludeva che la lettera della D.C. del 4 luglio 2013 costituiva impugnazione ai sensi dell'articolo 6, comma 1, della legge numero 604 del 1966, come sostituito dall'articolo 32, comma 1, della legge numero 183 del 2010. Correttamente, e con accertamento di merito non sindacabile in sede di legittimità in quanto congruamente motivato, la Corte d'Appello ha ritenuto fondata l'eccezione di decadenza per mancata impugnazione stragiudiziale del licenziamento nel termine perentorio di sessanta giorni stabilito dal citato articolo 6, comma 1, della legge numero 604 del 1966. Ed infatti, il giudice di secondo grado, facendo corretta applicazione delle disposizioni normative che vengono in rilievo, ha escluso che la comunicazione del 1 luglio 2013, indirizzata al dtl costituiva l'atto di recesso ciò, atteso, tra l'altro, che la comunicazione deve necessariamente contenere l'intenzione di procedere al licenziamento e l'indicazione dei motivi del licenziamento medesimo ma, ai fini di un funzionale espletamento della procedura conciliativa, in esito alla quale non è soluzione obbligata il licenziamento, e, dunque, detti contenuti non sono dirimenti. La Corte d'Appello, ha ritenuto, pertanto, che non era intervenuta detta impugnazione nel termine di 60 giorni atteso che la lettera di impugnazione alla quale ha fatto riferimento la D.C. interveniva prima dell'atto di recesso del 25 luglio 2013. Né, in ragione di quanto sopra esposto, può assumere rilievo il riferimento alla lettera dello IEO del 5 luglio 2013, che la ricorrente prospetta ricognitiva di quella del 1 luglio 2013 il breve tempo intercorso tra tentativo di conciliazione e il licenziamento, atteso che il primo aveva comunque consumato il suo effetto senza esito favorevole il retroagire degli effetti. 8. Il ricorso deve essere rigettato. 9. Le spese eseguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma I-bis, dello stesso articolo 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro tremila per compensi professionali, Euro cento per esborsi, oltre spese generali. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1- quater del d.P.R. numero 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma I-bis, dello stesso articolo 13.