L’accordo volto ad evitare i licenziamenti non si estende ai lavoratori che non prestano adesione alla riduzione di orario di lavoro

In materia di contratto di solidarietà, di cui alla Legge n. 863/1984, il contratto aziendale disciplina l’assetto dei rapporti di lavoro al fine di ridimensionare gli effetti dell’eccedenza di personale esso opera nei limiti e con le modalità che sono state previste dalle parti sindacali in funzione di una migliore e proficua operatività.

Modalità che vengono sottoposte al controllo ministeriale, per l’ammissione all’integrazione salariale. Non essendo preclusa legislativamente la limitazione dell’operatività dell’accordo ai lavoratori che vi facciano adesione, purché la percentuale di aderenti rimanga tale da assicurare la funzionalità dell’accordo, deve affermarsi che i lavoratori che non hanno aderito all’accordo di riduzione dell’orario di lavoro restino esclusi dal campo di applicazione dell’accordo stesso. Così affermato dalla Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 22255, depositata il 30 ottobre 2015. Il caso impugnazione di licenziamento collettivo per adozione da parte dell’azienda di contratto di solidarietà difensivo. Alcuni lavoratori impugnavano il li licenziamento intimato loro all’esito di procedura di mobilità ex legge n. 223/1991. Sostenevano che l’azienda aveva raggiunto un accordo con le organizzazioni sindacali scaturito in un contratto di solidarietà difensivo, volto alla riduzione dell’orario di lavoro ed alla salvaguardia dei posti di lavoro. Il Tribunale del lavoro rigettava la domanda, confermando i licenziamenti. Proposto appello, anche la Corte d’Appello confermava la validità dei recessi, rigettando il gravame. Ricorrevano così in Cassazione i lavoratori per la riforma della sentenza d’appello. Il contratto di solidarietà. La legge n. 863/1984 ha introdotto la possibilità di usufruire della integrazione salariale a quelle aziende che abbiano stipulato dei contratti di solidarietà con le organizzazioni sindacali, volti alla riduzione dell’orario di lavoro, al fine di evitare i licenziamenti. Secondo gli argomenti sostenuti dai lavoratori ricorrenti, l’accordo aziendale così raggiunto doveva estendersi a tutti i lavoratori dell’azienda, indipendentemente dalla loro adesione o meno all’accordo di riduzione dell’orario di lavoro. Ciò conformemente a principi di diritto affermati dalla Suprema Corte, secondo i quali l’accordo di riduzione dell’orario deve ritenersi vincolante anche per il lavoratori dissenzienti. I giudici di legittimità non ritengono fondato il motivo proposto. Osservano prima di tutto che la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24706 del 2007 aveva affermato che l’efficacia dell’accordo di solidarietà raggiunto con le OO.SS. si estendeva a tutti i lavoratori dell’azienda, sia iscritti che non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti. Consentita la limitazione dell’operatività ai lavoratori aderenti all’accordo. Proseguono i supremi giudici affermando che non è preclusa dalla normativa in esame la limitazione dell’efficacia ai soli lavoratori aderenti all’accordo di riduzione dell’orario di lavoro. I principi giurisprudenziali richiamati dai lavoratori sentenza n. 24706/2007 riguardano l’estensione dell’efficacia erga omnes anche ai lavoratori non iscritti al sindacato, ma che abbiano pur sempre accettato la riduzione di orario, conformandosi all’accordo di solidarietà. Nel caso in esame, l’accordo sindacale prevedeva esplicitamente l’applicazione della riduzione di orario di lavoro alle unità produttive interessate dagli esuberi di personale, salvo i singoli lavoratori che dovessero rifiutare”. E dando altresì atto nell’accordo che non vi sono soluzioni alternative al licenziamento per i lavoratori che non dovessero accettare la riduzione dell’orario di lavoro . La clausola contrattuale appare dunque chiara nel prevedere senza dubbio alcuno, che la pattuizione di riduzione dell’orario di lavoro fosse operante unicamente nei confronti dei lavoratori che l’avessero accettata. E d’altro lato che non vi erano altre soluzioni alternative al licenziamento per quei lavoratori non aderenti all’accordo di solidarietà. Poiché, come affermato, non è preclusa la limitazione dell’efficacia del contratto ai soli lavoratori accettanti la riduzione di orario, consegue che la Corte d’Appello abbia correttamente applicato i principi di diritto e le norme di legge in materia nella sentenza impugnata, che risulta immune da vizi. Da qui il rigetto del ricorso proposto.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 20 maggio – 30 ottobre 2015, n. 22255 Presidente Stile – Relatore Ghinoy Svolgimento del processo La Corte d'appello di Reggio Calabria, con la sentenza n. 1429 del 2012, confermava la sentenza del Tribunale di Palmi che aveva rigettato l'impugnativa del licenziamento intimato da Piana Palmi Multiservizi s.p.a. ad M.A. , P.F. e S.S. rispettivamente in data 11 ottobre, 8 ottobre e 3 ottobre 2008. La Corte, per quello che qui ancora rileva, argomentava - che Piana Palmi multiservizi S.p.A., constatata la fase di crisi e la necessità di procedere al licenziamento collettivo, aveva avviato la procedura di cui alla legge n. 223 del 1991 - che in esito a concertazione sindacale, con accordo del 1 agosto 2008, veniva adottato lo strumento del contratto di solidarietà difensivo previsto dal D.L. n. 148 del 1993, che prevedeva un piano di riduzione dell'orario di lavoro e d' individuazione di mansioni compatibili con i posti disponibili a seguito della riorganizzazione, la cui applicazione veniva esplicitamente limitata ai lavoratori consenzienti, dandosi atto le parti che nessuna soluzione alternativa al licenziamento esisteva per chi non avesse accettato la riduzione dell'orario - che l'autorizzazione ministeriale era intervenuta su siffatto accordo e pertanto non consentiva l'automatica estensione di quanto ivi previsto ai non aderenti - che, anche qualificando il licenziamento intimato ai ricorrenti come collettivo, la non licenziabilità poteva riguardare soltanto i dipendenti che avevano accettato la riduzione d'orario prevista nell'accordo, mentre i ricorrenti, per libera scelta, si erano posti fuori del campo di applicazione dell'accordo stesso. Per la cassazione della sentenza M.A. ed i suoi litisconsorti hanno proposto ricorso, affidato ad un unico motivo, cui ha resistito con controricorso e memoria ex art. 378 c.p.c. la Piana Palmi Multiservizi s.p.a Motivi della decisione 1. A sostegno del ricorso, M.A. ed i suoi litisconsorti deducono violazione dell'art. 5 del D.L. n. 148 del 1994 rectius , 1993 , nonché della L.n. 863 del 1984 e vizio di motivazione. Sostengono che la Corte territoriale avrebbe errato nell'interpretare la clausola contenuta nel contratto di solidarietà stipulato in data 1 agosto 2008, come prevedente un diritto potestativo a favore dei lavoratori di non aderire all'accordo. Argomentano che, secondo la giurisprudenza di questa Corte di cassazione, l'accordo di riduzione dell'orario di lavoro si deve considerare vincolante anche per i lavoratori dissenzienti e che il controllo ministeriale riguarda solo il rispetto di determinati requisiti amministrativi da parte dei soggetti stipulanti e non costituisce controllo di legittimità di tutte le clausole ivi contenute. 2. Il motivo non è fondato. Il contratto di solidarietà di cui è causa è disciplinato dal D.L. 30 ottobre 1984, n. 726, art. 1, convertito in L. 19 dicembre 1984, n. 863 - sul quale hanno successivamente inciso molteplici disposizioni il D.L. 21 marzo 1988, n. 86, convertito con modificazioni dalla L. 20 maggio 1988, n. 160, con l'art. 8, comma 2-bis, il D.P.R. 10 giugno 2000, n. 218, con l'art. 13, comma 1, la L. 27 dicembre 2013, n. 147, con l'art. 1, comma 186, il D.L. 31 dicembre 2014, n. 192, convertito con modificazioni dalla L. 27 febbraio 2015, n. 11, con l'art. 2 bis, comma 1 - e dal D.L. 20 maggio 1993, n. 148, art. 5, convertito in L. 19 luglio 1993, n. 236 - reiteratamente modificato in alcune sue parti dal D.L. 16 maggio 1994, n. 299, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 luglio 1994, n. 451, con l'art. 4, comma 2, dal D.L. 1 ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 novembre 1996, n. 608, con l'art. 4 e con l’art. 6, commi 2, 3 e 5, dal D.L. 20 gennaio 1998, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla L. 20 marzo 1998, n. 52, con l'art. 1, comma 2, dalla L. 23 dicembre 1998, n. 448, con l'art. 81, con l'art. 62, comma 5, lettera a , dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388, con l'art. 78, comma 15, lettera c , dalla L. 28 dicembre 2001, n. 448, con l'art. 52, comma 70, dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, con l'art. 41, comma 3 , la L. 24 dicembre 2003, n. 350, con l'art. 3, comma 136, la L. 27 dicembre 2006, n. 296, con l'art. 1, comma 1211, la L. 24 dicembre 2007, n. 244, con l'art. 2, comma 525, dal D.L. 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2, con l'art. 19, comma 14, dal D.L. 10 febbraio 2009, n. 5, con l'art. 7-ter, comma 9, lettera d . Esso configura nel suo impianto fondamentale, rimasto inalterato, un'ipotesi d'intervento della cassa integrazione guadagni, che consegue alla stipulazione di un contratto collettivo di diminuzione dell'orario e della retribuzione, finalizzata ad evitare, in tutto o in parte, la riduzione del personale. La L. n. 863 del 1984, art. 1, esordisce, al comma 1, con la previsione di concessione della integrazione salariale, connettendola alla stipulazione del contratto di solidarietà, che funge come presupposto. Questa Corte nella sentenza n. 24706 del 28.11.2007 ha chiarito, ribadendo l'opinione già espressa da Cass. n. 1403 del 24.2.1990 e dalla maggioranza della dottrina, che la legge, mentre ha assunto detto contratto come presupposto, lo abbia nello stesso tempo - sia pure implicitamente - provvisto di una generale efficacia normativa nei confronti di tutti i rapporti individuali di lavoro, quanto meno di quelli che sono interessati alla riduzione di orario, e quindi sia ai lavoratori iscritti sia a quelli non iscritti alle associazioni sindacali stipulanti. Il contratto aziendale, infatti, si inserisce all'interno di una fattispecie complessa, comprensiva del contratto di solidarietà e del provvedimento ministeriale di ammissione all'integrazione salariale. In motivazione, la Corte nella sentenza richiamata ha aggiunto che, se si accoglie la tesi prevalente che ritiene la legislazione sulle integrazioni salariali come attributiva - alle condizioni previste - di un potere modificativo dell'imprenditore sui singoli contratti, e che, in particolare, il provvedimento amministrativo abbia natura di accertamento costitutivo di tale potere, il medesimo schema può essere adottato anche nella ipotesi in esame ossia la riduzione di orario e di retribuzione, prevista dalla legge, opera erga omnes non già in virtù di una efficacia normativa generale del contratto di solidarietà, ma in virtù del provvedimento amministrativo di ammissione all'integrazione salariale, rispetto al quale il contratto vale solo come presupposto. La sentenza n. 24706/2007 sopra richiamata ha aggiunto che il provvedimento di ammissione alla cassa, come interpretato dalla dottrina maggioritaria, non rappresenta un atto dovuto in presenza dell'accordo, ma presuppone un controllo di congruità rispetto alle finalità indicate dalle legge, e cioè che la riduzione dell'orario sia idonea ad evitare la dichiarazione di esuberanza del personale, di talché l'intervento dovrebbe essere escluso in tutti quei casi in cui la manovra sull'orario non sia verosimilmente utile a ridurre, neppure in parte, la eccedenza di personale. La temporanea modifica peggiorativa, in via collettiva, del contenuto dei rapporti individuali, sostenuta dal concorso finanziario dello Stato, è apparsa come la via privilegiata di tutela degli interessi dei lavoratori. 3. Le esposte premesse manifestano come il motivo di ricorso non sia fondato. 3.1. La parte ricorrente riporta il contenuto della clausola contenuta nel contratto di solidarietà stipulato in data 1 agosto 2008, che stabilì che al fine di evitare i denunciati esuberi di personale, le parti convengono il ricorso al contratto di solidarietà ex D.L. 148/1993, affinché tutte le unità anzidette, salvo i singoli lavoratori che dovessero rifiutare, subiscano soltanto la riduzione dell'orario di lavoro per la durata di dodici mesi a far data dal 10 settembre 2008. Le parti concordano l'allegazione al presente verbale dell'elenco delle unità, con indicazione delle mansioni di destinazione e dei profili conseguenti, compatibili con i posti disponibili nella riorganizzazione conseguente alla riduzione dell'orario di lavoro e con le competenze e capacità di ciascuno dei lavoratori interessati. Le parti, comunque, convengono che non vi sono soluzioni alternative al licenziamento per i lavoratori che non dovessero accettare la riduzione dell'orario di lavoro . . La clausola richiamata dispose quindi, come ritenuto dalla Corte di merito, che la pattuita riduzione di orario operasse per tutti i lavoratori contemplati, eccetto che per coloro che l'avessero rifiutata. La disposizione è chiara, poi, nel prevedere l'inesistenza di soluzioni diverse dal licenziamento per coloro che non avessero accettato la suddetta riduzione. 3.2. L'interpretazione adottata dalla Corte di merito della clausola non viene peraltro censurata dai ricorrenti con riferimento alla violazione di criteri ermeneutici, ma per incompatibilità con la disciplina dei CDF. Tale incompatibilità tuttavia non sussiste. E difatti, se è vero che il contratto aziendale disciplina l'assetto dei rapporti di lavoro al fine di ridimensionare gli effetti dell'eccedenza di personale, è altresì vero che esso opera nei limiti e con le modalità che sono state previste dalle parti sindacali, in funzione di una migliore e più proficua operatività. Limiti e modalità che vengono sottoposti al controllo ministeriale, cui spetta il compito di ammettere l'impresa all'integrazione salariale. Né è legislativamente preclusa la limitazione dell'operatività dell'accordo ai lavoratori che vi facciano adesione, purché la percentuale di aderenti rimanga tale da assicurare la funzionalità dell'accordo, il che non è revocato in dubbio nel caso, in cui la previsione è stata anche positivamente vagliata dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale. In tal modo, i lavoratori che non hanno aderito all'accordo sono rimasti fuori, per espressa previsione contrattual-collettiva, dal suo campo di applicazione, con la regolamentazione del rapporto secondo la disciplina ordinaria, senza le conseguenze derivanti dall'applicazione dell'accordo stesso. 3.3. È poi è vero che proprio per la sua natura ed in conformità con lo spirito della legge, il contratto di solidarietà c.d. difensivo preclude, durante la sua vigenza, il licenziamento collettivo programmato al fine dell'eliminazione dell'esuberanza di personale , come ha chiarito questa Corte nelle sentenze n. 637 del 1998 e n. 29306 del 1998, che hanno fatto salva la diversa ipotesi del licenziamento individuale, ancorché plurimo, per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'art. 3 della legge n. 604 del 1966. Detta limitazione opera tuttavia nell'ambito del campo di applicazione dell'accordo, in funzione intrinsecamente corrispettiva dell'assoggettamento dei lavoratori alle conseguenze dell'accordo stesso, considerato che all'anzidetto sacrificio - temperato dall'intervento dall'integrazione salariale - corrisponde la rinuncia del datore di lavoro all'esercizio del suo potere di licenziare. Tale rinuncia però non riguarda i lavoratori che, com' è pacifico abbiano fatto i ricorrenti, si siano chiamati fuori dall'applicazione dell'accordo, considerato peraltro che nel caso per essi l'accordo stesso prevedeva l'inesistenza di soluzioni diverse dal licenziamento, in assenza di alternative rispetto alla riduzione dell'orario e delle mansioni al fine di giungere, almeno tendenzialmente, al risanamento dell'impresa. 4. Segue il rigetto del ricorso e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo. 4.1. Non è applicabile ratione temporis , essendo stato notificato il ricorso in data 28.1.2013, la L. 24 dicembre 2012, n. 228, il cui art. 1, comma 17, ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater, che prevede, per i ricorsi notificati successivamente alla sua entrata in vigore 31.1.2013 che quando l'impugnazione è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre ad Euro 100,00 per esborsi ed accessori di legge.