Muore la zia e il nipote rinuncia all’eredità: nessun ristoro economico per la badante

Inutili le pretese della donna, legate al periodo di assistenza prestata all’anziana signora. Rilevante il ‘no’ dell’uomo all’eredità lasciata dalla zia. E comunque manca la prova della titolarità in capo al nipote del rapporto di lavoro.

Badante a bocca asciutta. Una volta deceduta la anziana donna, a cui ha presto assistenza per lungo tempo, difatti, si rivelano inutili le pretese economiche avanzate nei confronti dell’erede, un nipote. Quest’ultimo, difatti, ha rinunciato all’eredità e, soprattutto, a lui non è attribuibile il rapporto tra la anziana e la donna, proveniente dall’Europa orientale. Cassazione, sentenza n. 20190, sezione Lavoro, depositata oggi Collaboratrice . Vittoria in primo grado, sconfitta – netta – in secondo grado. Non accoglibile, per i giudici d’Appello, la richiesta di una cittadina straniera, la quale, per avere prestato servizio in qualità di assistente geriatrica e collaboratrice domestica a favore di una anziana donna – oramai deceduta –, puntava ad ottenere adeguato ristoro economico dal nipote della signora. Lungo l’elenco delle pretese avanzate differenze retributive maturare in relazione all’asserita spettanza del ‘primo livello’ della classificazione del personale – come da contratto per i collaboratori domestici –, ratei di ferie e tredicesima mensilità, indennità di preavviso, ‘Tfr’, contributi assicurativi e previdenziali . Ogni richiesta, però, è inutile, perché i giudici evidenziano il fatto che l’uomo ha rinunciato all’eredità della zia. Senza dimenticare, poi, che manca la ‘prova provata’ della diretta titolarità del rapporto di lavoro , che non è attribuibile all’uomo. Erede . E ora la valutazione compiuta in Appello viene condivisa dalla Cassazione. Inutili, quindi, anche in terzo grado, le obiezioni mosse dalla donna straniera. Decisivo, difatti, è pure per i giudici del ‘Palazzaccio’ l’evidente difetto di legittimazione passiva dell’uomo, il quale, in qualità di nipote, ha rinunciato all’eredità della zia. Allo stesso tempo, però, non è secondario il fatto che non sia stata provata, in maniera chiara e inequivocabile, la titolarità diretta in capo all’uomo del rapporto di lavoro . Tutto ciò comporta la conferma della decisione sfavorevole alla cittadina straniera nessuna possibilità di recuperare differenze retributive, ferie, ‘tredicesima’, indennità di preavviso e ‘Tfr’ . E ovviamente è impensabile anche un risarcimento del danno subito a causa della omessa contribuzione .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 8 luglio - 8 ottobre 2015, n. 20190 Presidente Bandini – Relatore De Marinis Svolgimento del processo Con sentenza del 7 dicembre 2009, la Corte d'Appello di Roma, in riforma della decisione di parziale accoglimento resa dal Tribunale di Roma, rigettava la domanda proposta da G.M. nei confronti di G.D.M., alle dipendenze dei quale, in una con la defunta Sig.ra A. R., zia del medesimo, aveva prestato servizio in qualità di assistente geriatrico e collaboratrice domestica, avente ad oggetto la condanna dei G.D.M., rimasto contumace, al pagamento delle differenze retributive maturate in relazione all'asserita spettanza del livello 1° della classificazione dei personale del CCNL per i lavoratori domestici oltre ai ratei di ferie e tredicesima mensilità, indennità di preavviso, TFR nonché ai contributi assicurativi e previdenziali dovuti o al risarcimento del danno da omessa contribuzione La decisione della Corte territoriale discende dall'aver questa ritenuto, da un lato, il difetto di legittimazione passiva del G.D.M. per aver egli rinunciato all'eredità della Sig.ra R., dall'altro, l'insussistenza di obblighi a suo diretto carico, anche aldilà dell'incertezza della sua vocatio in ius in proprio e non solo per la sua qualità di erede, a motivo del mancato assolvimento da parte della M. dell'onere della prova circa la diretta titolarità del rapporto di lavoro in capo al medesimo. Per la cassazione di tale decisione ricorre la M., affidando l'impugnazione a tre motivi,.cui resiste, con controricorso, il G.D.M Motivi della decisione Il primo motivo, con cui la ricorrente imputa alla Corte territoriale la mancata declaratoria di improcedibilità del gravame proposto dalla controparte, per non aver questa dato corso alla notifica del ricorso, tempestivamente depositato, e dei decreto di fissazione dell'udienza nel termine di giorni dieci dalla comunicazione dell'emanazione del decreto medesimo, secondo quanto sancito da questa Corte con la decisione resa a sezioni unite n. 20604 del 30.7.2008, deve ritenersi infondato, tenuto conto che al suddetto arresto interpretativo questa Corte è pervenuta per effetto del radicale mutamento del proprio precedente orientamento c.d,. overruling , intervenuto, tuttavia, in epoca ampiamente successiva alla proposizione del gravame in questione e con carattere di imprevedibilità per aver agito in modo inopinato e repentino sul consolidato orientamento pregresso , giustificandosi, cosi, una scissione tra il fatto e cioè il comportamento della parte risultante ex post non conforme alla corretta regola dei processo e l'effetto, di preclusione o decadenza, che ne dovrebbe derivare, con la conseguenza che – in considerazione del bilanciamento dei valori in gioco, tra i quali assume preminenza quello del giusto processo art. 111 Cost , volto a tutelare l'effettività dei mezzi di azione e difesa anche attraverso la celebrazione di un giudizio che tenda, essenzialmente, alla decisione di merito - deve escludersi l'operatività della preclusione o della decadenza derivante dall'overruling nei confronti della parte che abbia confidato incolpevolmente e cioè non oltre il momento di oggettiva conoscibilità dell'arresto nomofilattico correttivo, da verificarsi in concreto nella consolidata precedente interpretazione della regola stessa, la quale, sebbene soltanto sul piano fattuale, aveva comunque creato l'apparenza di una regola conforme alla legge dei tempo cfr., ex plurimis, Cass. 11.7.2011 ,n. 15144 e, da ultimo, in termini, Cass. 4.6.2014, n. 12521 . Parimenti infondati devono ritenersi il secondo ed il terzo motivo, che si appalesano connessi, essendo con essi imputato alla Corte territoriale la non conformità a diritto e l'incongruità logica dello statuito difetto di legittimazione passiva del G.D.M., pronunzia inficiata, a detta della ricorrente, dall'omessa considerazione degli elementi di fatto, che la stessa assume non contestati e, comunque, erroneamente non fatti oggetto di accertamento istruttorio, anche valendosi dei ricorso ai propri poteri d'ufficio, da parte della Corte territoriale, attestanti la titolarità, anche diretta, del dedotto rapporto di lavoro in capo al G.D.M Ed invero, la censurata statuizione circa il difetto di legittimazione passiva del G.D.M. risulta verificata, non solo in relazione alla documentata rinuncia da parte dei medesimo all'eredità della Sig.ra R., ma, altresì, in relazione a quegli elementi di fatto, dedotti con il ricorso introduttivo, che avrebbero dovuto, nelle intenzioni della ricorrente, comprovare la titolarità diretta dei rapporto in capo al G.D.M. e che, di contro, la Corte territoriale ha rilevato essere privi di supporto probatorio, escludendo che questo, come preteso dalla ricorrente stessa, potesse derivare dalla mancata contestazione degli stessi in prime cure da parte del G.D.M., non potendosi far discendere una simile conseguenza dal suo essere rimasto contumace in quella fase del giudizio o potesse essere rinvenuto valendosi dei propri poteri d'ufficio in difetto di specifica devoluzione al giudice del gravame, da parte dell'appellata vittoriosa in primo grado, anche del riesame delle proprie richieste istruttorie sulle quali il primo giudice non si è pronunciato, richiamando specificamente le difese di primo grado, in guisa da far ritenere in modo inequivocabile di aver riproposto l'istanza di ammissione della prova cfr. Cass. 27.10.2009, n. 22687 e Cass. 11.2.2011, n. 3376 Il ricorso va, dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro 3.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% e accessori come per legge.