Sospetti concreti sufficienti per la contestazione disciplinare. Nullo il licenziamento perché tardivo

Troppo lenta la reazione dell’azienda, che aveva avuto subito contezza degli illeciti commessi da alcuni dipendenti nella divisione Vendite prodotti informatici”. Inutile il richiamo della società alla necessità di una relazione Internal Audit esaustiva, che aveva poi dato il ‘la’ alla contestazione disciplinare prima e al licenziamento poi.

Illeciti, datati giugno 2008, nella divisione Vendite prodotti informatici” della società. Numerosi i lavoratori sotto accusa. Ma la reazione dei vertici aziendali è troppo lenta Illegittimo, perché tardivo, il licenziamento disciplinare, datato aprile 2012, nei confronti del dipendente, che ottiene reintegra e risarcimento. Cass., sez. Lavoro, sentenza n. 19830/15 depositata oggi Relazioni. Punto di svolta, nella battaglia giudiziaria, è la decisione presa in appello, laddove viene annullato, per tardività della contestazione , il licenziamento disciplinare intimato ad aprile 2012 dall’azienda per i giudici è decisiva la constatazione che l’azienda aveva avuto contezza degli illeciti disciplinari già ad agosto 2011, grazie ad una relazione Internal Audit . Pronta la replica della società, che sostiene, col ricorso in Cassazione, di aver compreso il problema solo a seguito degli accertamenti dell’ Internal Audit del febbraio 2012 . E, seguendo questa linea difensiva, i legali dell’azienda sostengono che la società non era in possesso fin dal 2008 di tutta la documentazione delle operazioni commerciali oggetto di contestazione in realtà ne aveva solo una parte, mentre il resto era stato acquisito da una società fornitrice , e solo successivamente era stato possibile ricostruire le concrete operazioni di finanziamento che si celavano dietro apparenti operazioni commerciali . Peraltro, aggiungono ancora i legali, le operazioni commerciali oggetto di contestazione e le prassi delle cosiddette ‘triangolazioni’ non erano note all’azienda proprio perché erano gli stessi dipendenti preposti alla vigilanza sul rispetto delle procedura interne relative alla funzione delle vendite a violarle , e difatti la società aveva avuto la possibilità di svolgere una compiuta indagine interna solo dopo le importanti dichiarazioni provenienti dai fornitori esterni . Per chiudere il cerchio, poi, i legali ricordano che la prima relazione , quella di agosto 2011, si era svolta unicamente in base alla documentazione contrattuale in possesso dell’azienda e, quindi, dei contratti di leasing sottoscritti fra la società medesima e i clienti finali , documentazione che aveva permesso all’azienda di rilevare una serie di anomalie relative alla violazione delle procedure di validazione del credito . Tuttavia, solo dopo la relazione del febbraio 2012 , spiegano i legali, si era avuta la prova della cosiddetta ‘triangolazione commerciale’ posta in essere da alcuni dei suoi venditori . Licenziamento nullo. Complessa e dettagliata la linea difensiva proposta dall’azienda, ma assolutamente inefficace. Per i Giudici del Palazzaccio, difatti, è corretta la visione tracciata in appello, laddove si è potuto accertare che l’azienda almeno nell’agosto 2011, grazie alla prima relazione Internal Audit – risalente, per la cronaca, a ben sei mesi prima della contestazione –, ha avuto notizia completa del sistema di operazioni commerciali fittizie che negli anni precedenti e fino al 2010 si era diffuso nell’Area Nord Ovest . Ciò significa che sin da quell’epoca l’azienda aveva documenti tali da ricondurne la responsabilità ai dipendenti. Ciò rende tardivo il licenziamento disciplinare ufficializzato ad aprile 2012. Soprattutto tenendo presente, concludono i giudici, che la contestazione disciplinare deve avvenire non appena il datore di lavoro abbia elementi tali da fargli ritenere ragionevolmente sussistenti le infrazioni , non potendo, egli, procrastinarla fino a quando non abbia acquisito l’assoluta certezza dei fatti .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 17 giugno – 3 ottobre 2015, n. 19830 Presidente Stile – Relatore Manna Svolgimento del processo Con sentenza depositata il 4.6.14 la Corte d'appello di Torino, in totale riforma della sentenza 5.7.13 del Tribunale subalpino, annullava per tardività della contestazione il licenziamento disciplinare intimato il 4.4.12 da Telecom Italia S.p.A. ad A.LC., con ordine di reintegra e conseguenze economiche ex art. 18 Stat. Per la cassazione della sentenza ricorre Telecom Italia S.p.A. affidandosi ad un solo motivo. A.LC. resiste con controricorso. Motivi della decisione 1- Con unico motivo il ricorso lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 7 Stat. per avere la Corte territoriale affermato la tardività della contestazione disciplinare avvenuta il 20.3.12 riguardo alla data degli illeciti disciplinari per fatti risalenti al giugno 2008, commessi all'interno della divisione vendite prodotti informatici anziché alla data in cui la società ne aveva avuto contezza, il che era accaduto soltanto a seguito degli accertamenti dell'Internal Audit dei febbraio 2012 inoltre, contrariamente a quanto affermato dalla gravata pronuncia, non era vero che l'azienda fosse in possesso fin dal 2008 di tutta la documentazione delle operazioni commerciali oggetto di contestazione in realtà ne aveva solo una parte, mentre il resto era stato acquisito dalla società fornitrice Extra.it e solo allora la ricorrente aveva potuto ricostruire le concrete operazioni di finanziamento che si celavano dietro apparenti operazioni commerciali. Prosegue il ricorso con il dire che le operazioni commerciali oggetto di contestazione e le prassi delle cd. triangolazioni non erano note all'azienda, anche perché erano gli stessi dipendenti aziendali preposti alla vigilanza sul rispetto delle procedure interne relative alla Funzione della Vendita a violarle. Infatti - continua il ricorso - la società aveva avuto la possibilità di svolgere una compiuta indagine interna solo dopo le importanti dichiarazioni provenienti dai fornitori esterni. Infine -- conclude il ricorso - la prima relazione Interna] Audit del 3.8.11 si era svolta unicamente in base alla documentazione contrattuale in possesso di Telecom Italia e, quindi, dei contratti di leasing sottoscritti fra la società medesima ed i clienti finali, documentazione sulla scorta della quale la Telecom aveva rilevato una serie di anomalie relative alla violazione delle procedure di validazione del credito, mentre solo dopo la relazione dell'Internal Audit del febbraio 2012 si era avuta la prova della cd. triangolazione commerciale posta in essere da alcuni dei suoi venditori. 2- Il ricorso va disatteso perché, ad onta dell'intestazione del motivo, in esso in sostanza si svolgono censure relative all'accertamento di fatto relativo all'epoca in cui la società ricorrente ha avuto notizia degli illeciti disciplinari risalenti al giugno 2008 , commessi all'interno della divisione vendite prodotti informatici. Con motivazione immune da vizi logico-giuridici la sentenza impugnata ha accertato che Telecom Italia quanto meno nell'agosto 2011 grazie alla prima relazione Internai Audit del 3.8.11, risalente ad oltre sei mesi prima della contestazione ha avuto notizia completa del sistema di operazioni commerciali fittizie che negli anni precedenti e fino al 2010 si era diffuso nell'Area Nord Ovest e fin da allora aveva anche documenti tali ricondurne la responsabilità fra gli altri all'odierno controricorrente. Le contrarie argomentazioni svolte in ricorso si muovono sul terreno dell'apprezzamento nel merito delle risultanze processuali, che richiederebbe un approccio diretto all'intero materiale di causa ed una sua delibazione da parte di questa Corte, il che non è consentito. Ciò detto, non resta che ribadire l'insegnamento giurisprudenziale - cui si è attenuta la gravata pronuncia - in virtù del quale la contestazione disciplinare deve avvenire non appena il datore di lavoro abbia elementi tali da fargli ritenere ragionevolmente sussistenti le infrazioni e non può, invece, procrastinarla fino a quando non abbia acquisito l'assoluta certezza dei fatti cfr. Cass. n. 21633113 Cass. n. 3532/13 Cass. n. 1101/07 . Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 100,00 per esborsi e in euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge. Ai sensi dell'ari. 13 co. 1 quater d.P.R. n. 11512002, come modificato dall'art. 1 co. 17 legge 24.12.2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del co. 1 bis dello stesso articolo 13.