Il committente risponde solo dei crediti maturati durante l’appalto

Il committente non può essere chiamato a rispondere per crediti di un lavoratore, ancorché occupato nel contratto di appalto sottoscritto con il suo datore di lavoro/appaltatore, maturati successivamente alla cessazione dell’appalto ed eziologicamente non connessi alla sua esecuzione.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19628, depositata il 1° ottobre 2015. Il caso. La corte d’appello territoriale, confermando la pronuncia di primo grado, rigettava la domanda con cui un lavoratore chiedeva la condanna in solido di una società – committente del proprio datore di lavoro nell’ambito di un contratto di appalto – al pagamento delle somme a lui dovute a titolo di indennità sostitutiva del preavviso di licenziamento. Ad avviso dei giudici di merito, il contratto di appalto intercorso tra le due società era cessato prima che il ricorrente venisse licenziato, ragion per cui il trattamento retributivo costituito dall’indennità sostitutiva del preavviso non derivava dalla prestazione lavorativa resa a favore indirettamente del committente. Inoltre, ad avviso dei giudici di merito, neppure risultava provato alcun nesso eziologico tra il licenziamento e la cessazione dell’appalto, con la conseguenza che difettando qualunque collegamento, sia temporale che causale, tra il licenziamento e l’appalto non poteva essere affermata alcuna responsabilità solidale dell’impresa committente . Contro tale sentenza il lavoratore ricorreva alla Corte di Cassazione, articolando due motivi. La responsabilità del committente non si estende successivamente alla cessazione dell’appalto. In particolare, ad avviso del ricorrente, attesa la natura retributiva dell’indennità sostitutiva del preavviso, doveva trovare applicazione la responsabilità solidale tra impresa committente ed impresa appaltatrice, posto che l’art. 29 d.lgs. n. 276/2003 fa espresso riferimento ai trattamenti retributivi a carico di tali soggetti. Sotto altro profilo, il ricorrente argomentava come il licenziamento risultasse causalmente collegato alla cessazione dell’appalto, vista la prossimità temporale tra i due eventi. Motivi che non vengono condivisi dalla Cassazione la quale, affermando il principio esposto in massima, rigetta il ricorso. Ad avviso della Corte, infatti, risulta corretta la valutazione dei giudici di merito, i quali, con motivazione immune da rilievi di carattere logico-giuridico, ha ritenuto che il contratto di appalto fosse cessato prima che il rapporto di lavoro venisse risolto, per ragioni peraltro non risultate connesse all’esecuzione dell’appalto intercorso . Conseguentemente, l’indennità sostitutiva del preavviso non era esigibile nei confronti dell’impresa committente, in quanto temporalmente ed etiologicamente non connessa alla cessazione del contratto di appalto considerato che dalla stessa motivazione del licenziamento non emergeva alcun collegamento causale tra lo stesso ed il contratto intercorso tra le società appellate . Uno breve spunto di riflessione. Ferma la correttezza della conclusione cui giunge la Suprema Corte, rileviamo come la – più volte ribadita, nella sentenza in commento – valutazione circa l’assenza di alcuna prova dell’esistenza di un nesso causale tra il recesso datoriale ed il contratto di appalto induce a ritenere che, se un tale collegamento fosse stato provato per esempio dalla motivazione del recesso, che molto spesso viene giustificato con la perdita dell’appalto e la conseguente necessità datoriale di riorganizzare la propria struttura , avrebbe potuto essere sostenuta una responsabilità dell’impresa committente. Ragionamento che, ad avviso di chi scrive, non sarebbe meritorio, atteso lo scopo del summenzionato art. 29, che non risiede nel sanzionare il committente per il solo fatto di essere tale bensì, in un’ottica di disincentivazione delle esternalizzazioni e di tutela dei lavoratori, rendere quest’ultimo solidalmente responsabile dei costi che avrebbe sostenuto per l’esecuzione diretta dei lavori o dei servizi oggetto dell’appalto. Il limite dunque, a nostro avviso invalicabile, è e resta quello del beneficio che il committente ha avuto dalla prestazione dei dipendenti dell’appaltatore e dunque dei trattamenti retributivi maturati solo in costanza di appalto , rispetto ai quali risponde solidalmente con il loro datore di lavoro. Non invece, come l’ obiter dictum della Corte parrebbe intendere, un’estensione di una già anomala responsabilità solidale a qualunque inadempimento del datore di lavoro che, anche latamente, sia riconducibile all’appalto intercorso e che, con quest’ultimo e con il beneficio che il committente ha avuto, non c’entra nulla.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 12 maggio – 1 ottobre 2015, n. 19628 Presidente Roselli – Relatore Berrino Svolgimento dei processo Con sentenza del 26/10 - 30/11/2011 la Corte d'appello di Caltanisetta ha rigettato l'impugnazione proposta da M.L. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Gela che gli aveva respinto la domanda volta alla condanna in solido della società Raffineria di Gela s.p.a. RAGE s.p.a. ed EMI s.r.l. al pagamento delle somme, non riscosse per l'intero, a titolo di indennità di mancato preavviso di licenziamento comunicatogli dalla società EMI s.r.i., alle cui dipendenze egli aveva lavorato. Il ricorrente spiegò che quest'ultima società era l'appaltatrice dei lavori di manutenzione degli impianti nel perimetro del settore petrolchimico di Gela, gestiti dalla società committente RAGE s.p.a La Corte territoriale, dopo aver preso atto della rinunzia dell'appellante nei confronti della società EMI s.r.l., ha spiegato che non ricorrevano nella fattispecie i presupposti per l'affermazione della responsabilità solidale nei confronti della società committente ai sensi dell'art. 29 del d.lgs n. 276/2003, in quanto il contratto d'appalto intercoso tra le imprese convenute era cessato ancor prima che l'appellante venisse licenziato dall'appaltatrice, quale sua datrice di lavoro, per cui il trattamento retributivo, costituito dall'indennità sostitutiva del preavviso, non derivava dalla prestazione lavorativa resa nell'esecuzione del contratto d'appalto, bensì dall'autonoma scelta della società EMI s.r.l., successiva alla cessazione del contratto d'appalto, di interrompere in tronco il rapporto lavorativo. Inoltre, non era stato provato, né allegato, che tale atto di risoluzione fosse dipeso dalla cessazione dell'appalto, per cui, difettando qualsiasi collegamento, sia temporale che causale, tra il licenziamento e l'appalto non poteva essere affermata una responsabilità solidale dell'impresa committente. Per la cassazione della sentenza propone ricorso M.L. , il quale affida t'impugnazione a tre motivi di censura. Resiste con controricorso la Raffineria di Gela s.p.a Motivi della decisione 1. Col primo motivo, proposto per violazione e falsa applicazione degli artt. 2118 cod. civ., 2 comma, 29, comma 2, del D.lgs. n. 276/2003 e 12 delle disposizioni sulla legge in generale, il ricorrente sostiene che l'indennità sostitutiva del preavviso ha natura retributiva e tale qualità giuridica consente di ritenere applicabile nella fattispecie la responsabilità solidale delle imprese convenute, rispettivamente committente ed appaltatrice dei lavori in cui era stato impiegato, ai sensi della citata norma di cui all'art. 29 del d.lgs n. 276/03 che, nel sancire il suddetto regime di responsabilità, fa riferimento ai trattamenti retributivi a carico di tali soggetti. Quindi, secondo il ricorrente, a nulla può valere quanto affermato dalla Corte territoriale circa il fatto che il contratto d'appalto era cessato precedentemente alla risoluzione del rapporto lavorativo, atteso che il fatto generatore del regime di responsabilità solidale era rappresentato nel caso in esame proprio dall'esistenza dell'appalto e dall'avvenuta esecuzione della prestazione lavorativa nell'ambito dello stesso. 2. Col secondo motivo il ricorrente si duole dell'insufficienza e contraddittorietà della motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio con riguardo alla decisione dei giudici d'appello di escludere l'applicabilità del regime di responsabilità solidale di cui all'art. 29 del d.lgs n. 276/2003 in base all'assunto che il credito vantato a titolo di indennità sostitutiva del mancato preavviso non era causalmente riconducibile alla cessazione del contratto d'appalto. Sostiene, invece, il ricorrente che proprio il breve intervallo temporale trascorso tra la cessazione dell'appalto 4/5/2007 e l'irrogazione del licenziamento 17/5/2007 deponeva nel senso di ricollegare causalmente il recesso alla cessazione dell'appalto. Al riguardo il ricorrente lamenta, altresì, la mancata ammissione dei mezzi istruttori diretti a provare lo svolgimento, da parte sua, di attività lavorativa nell'ambito dell'esecuzione dell'appalto e fino alla sua cessazione. 3. Col terzo motivo il ricorrente si duole della compensazione delle spese ritenendola iniqua al cospetto della fondatezza della sua pretesa creditoria nei confronti dell'impresa committente Raffineria di Gela s.p.a Osserva la Corte che i primi due motivi possono essere trattati congiuntamente per ragioni di connessione. Entrambi i motivi sono infondati. Invero, la questione della natura giuridica dell'indennità spettante a titolo di mancato preavviso del licenziamento, che il ricorrente ritiene essere retributiva al fine di sostenere la tesi della sua riconducibilità ai trattamenti per i quali è prevista la responsabilità solidale del committente e dell'appaltatore nel contratto d'appalto di opere o di servizi, ai sensi dell'art. 29, comma 2°, del decreto legislativo n. 276 del 10 settembre 2003, non scalfisce la validità della ratio decidendi sulla quale riposa l'impugnata sentenza, vale a dire la mancanza della prova dell'esistenza di un nesso causale tra il recesso e l'appalto atto a giustificare l'applicabilità, nella fattispecie, del suddetto regime di responsabilità. Si osserva, al riguardo, che con accertamento di fatto immune da rilievi di carattere logico-giuridico ed adeguatamente motivato, la Corte territoriale ha avuto modo di verificare che il contratto d'appalto era cessato ancor prima che il rapporto di lavoro venisse autonomamente risolto dalla società EMI s.r.l. per ragioni non risultate connesse all'esecuzione dell'appalto intercorso in precedenza tra quest'ultima e la società committente. Ne consegue la correttezza della decisione in ordine all'affermazione che l'indennità di mancato preavviso del licenziamento non era esigibile nei confronti dell'impresa committente Raffineria di Gela s.p.a. dal momento che tale indennità' era maturata il 17 maggio 2007, mentre il contratto d'appalto era già cessato il 4 maggio 2007, per cui è altrettanto logica la motivazione impugnata nella parte in cui è precisato che il credito in questione non derivava dalla prestazione lavorativa resa nell'esecuzione del contratto d'appalto, bensì dall'autonoma scelta imprenditoriale della società EMI s.r.l., successiva alla cessazione dell'appalto, di non avvalersi più dell'attività lavorativa del dipendente, interrompendo, in tal modo, il rapporto in tronco. Quindi, è esatto il rilievo della Corte di merito per la quale il credito invocato non era temporalmente ed eziologicamente connesso alla cessazione del contratto d'appalto e che dalla stessa motivazione del licenziamento non emergeva alcun collegamento causale tra lo stesso ed il contratto d'appalto intercorso tra le società appellate, essendo anche mancata la prova che il recesso fosse stato una conseguenza obbligata della cessazione del contratto d'appalto. È, altresì, infondata la doglianza concernente la disposta compensazione delle spese, atteso che è insussistente il presupposto sul quale la stessa censura è incentrata, vale a dire l'asserita fondatezza della pretesa creditoria in esame nei confronti dell'impresa committente dei lavori oggetto d'appalto. Pertanto, il ricorso va rigettato. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di Euro 1000,00 per compensi professionali e di Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.