Stesse mansioni, nuovo patto di prova: sì se mira a valutare comportamento e personalità del lavoratore

La ripetizione del patto di prova in due successivi contratti di lavoro tra le stesse parti è ammissibile se essa, in base all’apprezzamento del giudice di merito, sia finalizzata a permettere all’imprenditore di verificare non solo le qualità professionali, ma anche il comportamento e la personalità del lavoratore in relazione all’adempimento della prestazione, poiché si tratta di elementi suscettibili di modificarsi nel tempo per l’intervento di molteplici fattori.

È quanto deciso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 19043/15 depositata il 25 settembre. Il caso. Una donna veniva assunta con contratto a tempo determinato, in relazione al quale, successivamente, interveniva una controversia giudiziale. In relazione a tale controversia, la donna sottoscriveva verbale di conciliazione in sede sindacale, nel quale, a fronte della rinuncia alla prosecuzione della vertenza, veniva inserita in una graduatoria dalla quale Poste Italiane avrebbe attinto per il reclutamento del personale. In seguito, la donna stipulava con Poste Italiane un contratto a tempo pieno ed indeterminato. Dopo soli pochi mesi, tuttavia, Poste Italiane comunicava il recesso dal contratto. La donna impugnava tale atto di recesso, deducendone l’illegittimità e chiedendo la condanna della datrice di lavoro alla reintegrazione ex art. 18 l. .n. 300/1970. La domanda veniva accolta dal tribunale, mentre la corte d’appello territoriale riformava la pronuncia di primo grado, accogliendo le doglianze della società datrice di lavoro. Per la cassazione di tale sentenza ricorre la donna, lamentando di essere stata in malattia nel periodo di prova solo dieci giorni, ragione per la quale non si doveva tenere conto dei giorni di malattia fruiti successivamente, essendo stato superato il periodo di prova. La ricorrente, inoltre, afferma che la malattia avrebbe dato luogo alla sospensione del periodo di prova solo se fosse stato il lavoratore a richiederlo, e che la previsione di un limite massimo di tollerabilità del periodo di prova per l’azienda non consentiva la risoluzione automatica del rapporto come conseguenza del superamento di detto limite in assenza di una valutazione negativa sulle capacità della lavoratrice. La ricorrente, infine, evidenziava l’illegittimità del licenziamento per nullità del patto di prova a seguito della mancata indicazione delle mansioni specifiche alle quali sarebbe stata addetta, non essendo sufficiente la generica indicazione di mansioni identiche a quelle già espletate con il contratto di lavoro a tempo determinato e, pertanto, non richiedenti patto di prova. La contrattazione collettiva può intervenire sul patto di prova. Gli Ermellini hanno preliminarmente precisato che il recesso del datore di lavoro nel corso del periodo di prova ha natura discrezionale e dispensa dall’onere di provarne la giustificazione, salva la coerenza dell’esercizio del potere di recesso con la causa del patto di prova, che consiste nel consentire alle parti del rapporto di lavoro di verificarne la reciproca convenienza. I Giudici del Palazzaccio, poi, hanno rilevato che il decorso di un periodo di prova determinato in base ad un complessivo arco temporale non è sospeso dalla mancata prestazione lavorativa inerente al normale svolgimento del rapporto riposi settimanali e festività tale decorso, invece, deve ritenersi escluso in relazione ai giorni in cui la prestazione non si è verificata per eventi non prevedibili al momento della stipulazione del patto stesso malattia, infortunio, gravidanza e puerperio, permessi, sciopero, sospensione dell’attività del datore di lavoro e in particolare godimento delle ferie annuali . Tale regola generale trova applicazione solo in quanto la contrattazione collettiva non preveda diversamente, potendo la stessa attribuire od escludere rilevanza sospensiva del periodo di prova a dati eventi che si verifichino durante il periodo medesimo. Nella specie, secondo i Giudici di Piazza Cavour la corte d’appello ha applicato correttamente i principi esposti, rilevando che l’art. 20 del CCNL richiamato nel contratto individuale di lavoro stabiliva le modalità di sospensione del periodo di prova trimestrale in caso di malattia e regolava gli effetti, sul periodo di prova, delle assenze per malattia o comunque di quelle giustificate dall’azienda. Non è sempre esclusa la ripetizione del patto di prova in due successivi contratti. Né è fondata, secondo il Supremo Collegio, la censura che delinea la nullità del patto di prova, poiché esso tutela l’interesse di entrambe le parti del rapporto a sperimentarne la convenienza, dovendosi ritenere l’illegittimità del fatto ove la suddetta verifica sia già intervenuta, con esito positivo, per un congruo lasso di tempo, a favore del medesimo datore di lavoro . Da ciò deriva, secondo la Corte di nomofilachia, che la ripetizione del patto di prova in due successivi contratti di lavoro tra le stesse parti è ammissibile se essa, in base all’apprezzamento del giudice di merito, sia finalizzata a permettere all’imprenditore di verificare non solo le qualità professionali, ma anche il comportamento e la personalità del lavoratore in relazione all’adempimento della prestazione – elementi, questi, suscettibili di modificarsi nel tempo per l’intervento di molteplici fattori. Alla luce di tali principi, secondo la Corte occorreva stabilire se alla data di stipulazione del secondo contratto di lavoro vi fosse effettiva necessità per il datore di lavoro di verificare le qualità professionali, il comportamento e la personalità complessiva del lavoratore in relazione all’adempimento della prestazione, e la corte d’appello ha congruamente e logicamente motivato sulla sussistenza dei presupposti che avrebbero legittimato la ripetizione della prova. Per tutte le considerazioni sopra esposte, la Corte ha rigettato il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 2 luglio – 25 settembre, n. 19043 Presidente Stile – Relatore Tricomi Svolgimento del processo 1. La Corte d'Appello di Roma, con la sentenza n. 3976/12, depositata il 4 giugno 2012, accoglieva l'impugnazione proposta da Poste italiane spa nei confronti di P.C. , avverso la sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Roma, e per l'effetto respingeva le domande proposte in primo grado dalla P. . 2. P.C. aveva adito il Tribunale di Roma deducendo di essere stata assunta con contratto a tempo determinato il 17 gennaio 2002, di avere sottoscritto il 14 luglio 2006 verbale di conciliazione in sede sindacale, nel quale, a fronte della rinuncia alla prosecuzione della vertenza giudiziale in relazione al suddetto contratto, era stata inserita in una graduatoria dalla quale Poste italiane avrebbe attinto per il reclutamento del personale. Con decorrenza 15 settembre 2008, quindi, aveva stipulato un contratto a tempo pieno ed indeterminato, con inquadramento nel livello E, mansioni di addetto CRP junior, con sede di lavoro presso il CMP Venezia. Con lettera del 23 gennaio 2009 Poste italiane aveva comunicato il proprio recesso. L'atto di recesso veniva impugnato dalla lavoratrice che ne deduceva l'illegittimità e chiedeva la condanna della datrice di lavoro alla reintegrazione ex art. 18 della legge n. 300 del 1970. Il Tribunale accoglieva la domanda. 3. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre la P. prospettando due motivi di ricorso. 4. Resiste la società Poste italiane spa con controricorso, assistito da memoria. Motivi della decisione 1. Occorre premettere che la Corte d'Appello accoglieva il motivo dell'impugnazione con la quale la società datrice di lavoro aveva censurato la sentenza di primo grado laddove quest'ultima aveva ritenuto illegittimo il recesso per impossibilità di verificare se alla data del 23 gennaio 2009 il periodo di prova fosse decorso. Il giudice di secondo grado faceva riferimento all'art. 20 del CCNL di settore, espressamente richiamato nel contratto individuale di lavoro, disposizione che, al comma terzo, stabiliva nel caso in cui il periodo di prova venga interrotto per causa di malattia il lavoratore sarà ammesso a completare il periodo di prova stesso ove le assenze cumulativamente non abbiano superato i trenta giorni di calendario per la prova di durata massima trimestrale , e al comma quarto non sono ammesse né la protrazione né la rinnovazione del periodo di prova, salvo quanto previsto al comma tre che precede e nei casi in cui la società ritenga giustificata l'assenza stessa in detti casi il periodo di prova verrà protratto per un tempo corrispondente alla durata dell'assenza . Rilevava, quindi, che il trimestre del patto di prova stabilito tra le parti sarebbe scaduto il 15 dicembre 2008. La P. era stata assente per malattia i giorni 25, 26, 27, 28, 29, 30 settembre 2008, ed il successivo 1 ottobre, nonché i giorni dal 12 al 15 dicembre, per cui l'originaria scadenza era stata prorogata almeno sino al 24 dicembre. La lavoratrice era stata poi assente per malattia dal 16 al 22 dicembre 2008 e poi anche dal 28 dicembre 2008 al 23 gennaio 2009. Affermava, quindi la Corte d'Appello che nella lettera di recesso del 23 gennaio 2009 le precisiamo che ella, in data odierna ha maturato cumulativamente assenze per causa di malattia pari a 44 giornate erano indicati i giorni di assenza per malattia computati ed era richiamata la disposizione del CCNL applicata, e dunque, erroneamente, il Tribunale aveva ritenuto non specificata la distribuzione dei giorni di ferie e malattia nella comunicazione di licenziamento. 2. Tanto premesso, può essere esaminato il primo motivo di ricorso, con il quale è dedotta violazione dell'art. 2119 cc e/o dell'art. 3 della legge n. 604 del 1966, violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2096 cc, dell'art. 20, commi 2 e 3, del CCNL per i dipendenti non dirigenti di Poste italiane spa, dell'11 luglio 2007 in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, cpc . La ricorrente, che non contesta che al 23 gennaio 2009 i giorni di malattia erano 44 recte 43 , assume di essere stata in malattia nel periodo di prova 15 settembre 2008-15 dicembre 2008 solo dieci giorni, ragione per la quale non si doveva tener conto dei giorni di malattia fruiti successivamente, essendo stato superato il periodo di prova. Assume altresì, facendo riferimento all'art. 20 terzo comma del CCNL, che la malattia avrebbe dato luogo alla sospensione del periodo di prova solo se fosse stato il lavoratore a richiederlo, e che la previsione che il periodo di prova avesse un periodo massimo di tollerabilità per l'Azienda non consentiva, come ritenuto dalla Corte d'Appello, la risoluzione automatica del rapporto come conseguenza del superamento del periodo di tolleranza, senza una valutazione negativa sulla capacità della lavoratrice. 3. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta l'illegittimità del licenziamento per nullità del patto di prova. Espone la ricorrente che il patto di prova sarebbe nullo per la mancata indicazione delle mansioni specifiche alle quali sarebbe stata addetta, non essendo sufficiente la generica indicazione di addetto ad attività di smistamento corrispondenza presso il CRP, mansioni identiche a quelle già espletate con il contratto di lavoro a tempo indeterminato, e, pertanto, non richiedente patto di prova. 4. I due motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi non sono fondati. Il recesso del datore di lavoro nel corso del periodo di prova ha natura discrezionale e dispensa dall'onere di provarne la giustificazione diversamente, in sostanza, finirebbe con l'essere equiparato ad un recesso assoggettato alla legge n. 604 del 1966 , fermo restando che l'esercizio del potere di recesso deve essere coerente con la causa del patto di prova, che consiste nel consentire alle parti del rapporto di lavoro di verificarne la reciproca convenienza cfr., Cass. 16224 del 2013 n. 21586 del 2008 . Il decorso di un periodo di prova determinato nella misura di un complessivo arco temporale, mentre non è sospeso dalla mancata prestazione lavorativa inerente al normale svolgimento del rapporto, quali i riposi settimanali e le festività, deve ritenersi escluso, invece, stante la finalità del patto di prova, in relazione ai giorni in cui la prestazione non si è verificata per eventi non prevedibili al momento della stipulazione del patto stesso, quali la malattia, l'infortunio, la gravidanza e il puerperio, i permessi, lo sciopero, la sospensione dell'attività del datore di lavoro e, in particolare, il godimento delle ferie annuali, che, data la funzione delle stesse di consentire al lavoratore il recupero delle energie lavorative dopo un cospicuo periodo di attività, non si verifica di norma nel corso del periodo di prova. Tale principio trova applicazione solo in quanto non preveda diversamente la contrattazione collettiva, la quale può attribuire od escludere rilevanza sospensiva del periodo di prova a dati eventi, che si verifichino durante il periodo medesimo Cass., n. 4573 del 2012 . Nella specie, la Corte d'Appello ha fatto corretta applicazione di detti principi, rilevando che l'art. 20 del CCNL, richiamato nel contratto individuale di lavoro, stabiliva le modalità di sospensione del periodo di prova trimestrale in caso di malattia, senza richiedere particolari formalità, e regolava gli effetti, sul periodo di prova, delle assenze per malattia o comunque di quelle giustificate dall'azienda. Trattasi di interpretazione di disciplina contrattuale, congiuntamente ad un accertamento in fatto, correttamente ed esaurientamente motivato, come tale non suscettibile di censura in sede di legittimità. Né è fondata la censura che delinea la nullità del patto di prova, atteso che nel lavoro subordinato, il patto di prova tutela l'interesse di entrambe le parti del rapporto a sperimentarne la convenienza, dovendosi ritenere 1iXllegittimità del fatto ove la suddetta verifica sia già intervenuta, con esito positivo, per le specifiche mansioni in virtù di prestazione resa dallo stesso lavoratore, per un congruo lasso di tempo, a favore del medesimo datore di lavoro. Ne consegue che la ripetizione del patto di prova in due successivi contratti di lavoro tra le stesse parti è ammissibile se essa, in base all'apprezzamento del giudice di merito, risponda alla suddetta causa, permettendo all'imprenditore di verificare non solo le qualità professionali, ma anche il comportamento e la personalità del lavoratore in relazione all'adempimento della prestazione, elementi suscettibili di modificarsi nel tempo per l'intervento di molteplici fattori, attinenti alle abitudini di vita o a problemi di salute Cass., n. 10440 del 2012 . Alla luce di tali principi, che sono condivisi dal Collegio, occorreva stabilire se alla data di stipulazione del secondo contratto di lavoro vi fosse effettiva necessità per il datore di lavoro di verificare le qualità professionali, il comportamento e la personalità complessiva del lavoratore in relazione all'adempimento della prestazione. La Corte d'Appello ha congruamente e logicamente motivato sulla sussistenza dei presupposti che avrebbero legittimato la ripetizione della prova. In particolare, è stato precisato che la prestazione relativa al primo contratto aveva avuto brevissima durata soli tre mesi , e tra la cessazione di efficacia del primo contratto e l'inizio del secondo era trascorso un notevole lasso di tempo circa sei anni e mezzo durante il quale la strumentazione, le procedure e le modalità di svolgimento del servizio di recapito erano state ragionevolmente oggetto di trasformazione ed evoluzione. Trattasi di accertamento di fatto, adeguatamente motivato e pertanto non censurabile in sede di legittimità. 5. Il ricorso deve esser rigettato. 6. La complessità delle questioni e il diverso esito dei gradi di merito induce a compensare tra le parti le spese di giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Compensa tra le parti le spese di giudizio.