Non basta il richiamo a motivi generici per il contratto a termine

In materia di contratto di lavoro interinale, la mancata o la generica previsione nel contratto intercorrente tra l’impresa fornitrice ed il singolo lavoratore dei casi in cui è possibile ricorrere a prestazioni di lavoro temporaneo in base ai contratti collettivi dell’impresa utilizzatrice fa venire meno la presunzione di legittimità del contratto interinale.

Lo ha deciso la Sezione Lavoro del Supremo Collegio con la sentenza n. 18785/15, depositata il 23 settembre. Il caso. Un uomo era stato assunto dalla società datrice di lavoro con contratto di prestazione di lavoro temporaneo ed inviato presso la società utilizzatrice al fine di sostituire dei lavoratori impegnati in attività formative. La corte d’appello, confermando la pronuncia del tribunale, dichiarava la nullità del contratto di prestazioni di lavoro temporaneo per la mancata specificazione dei motivi di ricorso al lavoro interinale e, per l’effetto, accertava la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la società utilizzatrice. Avverso tale sentenza, propone ricorso per cassazione la società utilizzatrice, lamentando che la corte di merito aveva trascurato l’inesistenza di una norma che ponga l’obbligo di specificazione dei motivi di ricorso alla fornitura o che sanzioni tale ipotetico vizio con la conversione del rapporto a tempo indeterminato in capo all’utilizzatrice. Non basta una causale generica per il contratto a termine. Sul punto, gli Ermellini hanno precisato che relativamente alla possibilità di non indicare ragioni specifiche per il ricorso al lavoro interinale vi sono già stati numerosi interventi della giurisprudenza di legittimità, secondo cui in materia di contratto di lavoro interinale, la mancata o la generica previsione, nel contratto intercorrente tra l’impresa fornitrice ed il singolo lavoratore, dei casi in cui è possibile ricorrere a prestazioni di lavoro temporaneo, in base ai contratti collettivi dell’impresa utilizzatrice, spezza l’unitarietà della fattispecie complessa voluta dal legislatore per favorire la flessibilità dell’offerta di lavoro nella salvaguardia dei diritti fondamentali del lavoratore e fa venire meno quella presunzione di legittimità del contratto interinale, che il legislatore fa discendere dall’indicazione nel contratto di fornitura delle ipotesi in cui il contratto interinale può essere concluso . La giurisprudenza del Supremo Collegio, inoltre, ricordano i Giudici di Piazza Cavour, occupandosi di contratti interinali nei quali, come nel caso di specie, l’indicazione della causale era costituita da un mero e generico rinvio alla contrattazione collettiva, ha avuto modo di affermare che la genericità della causale rende il contratto illegittimo, per violazione dell’art. 1, commi 1 e 2, l. n. 196/1997, che ne consente la stipulazione solo per le esigenze di carattere temporaneo rientranti nelle categorie specificate nel comma 2, esigenze che il contratto di fornitura non può quindi omettere di indicare, né può indicare in maniera generica e non esplicativa, limitandosi a riprodurre il contenuto della previsione normativa . Se il contratto a termine è illegittimo si converte. Non solo la Suprema Corte ha altresì ricordato che l’orientamento consolidato della Corte di nomofilachia ritiene che l’illegittimità del contratto interinale comporti le conseguenze previste dalla legge sul divieto di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro, e quindi l’instaurazione del rapporto di lavoro con il fruitore della prestazione, cioè il datore di lavoro effettivo. Infatti, l’art. 10, comma 1, l. n. 196/1997, collega alle violazioni delle disposizioni di cui all’art. 1, commi 2, 3, 4 e 5 le conseguenze previste dalla l. n. 1369/1960, consistenti nel fatto che i prestatori di lavoro sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell’imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro prestazioni. Quando, poi, il contratto di lavoro che accompagna il contratto di fornitura è a tempo determinato, alla conversione soggettiva del rapporto si aggiunge la conversione dello stesso da lavoro a tempo determinato in lavoro a tempo indeterminato, per carenza dei requisiti richiesti dal d.lgs. n. 368/2001 o dalle discipline previgenti. Per tutte le ragioni sopra esposte, la Corte ha rigettato il ricorso in esame.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 4 giugno – 24 settembre 2015, n. 18785 Presidente Macioce – Relatore Buffa Svolgimento del processo Il sig. C. era stato assunto dalla società fornitrice E-Work con contratto di prestazione di lavoro temporaneo ed inviato dal 24.03.2003 al 31.05.2003 presso la società utilizzatrice Eni S.p.A., già Italgas con mansioni di Agent di Call Center ai fine di sostituire i lavoratori di ruolo addetti al settore che erano impegnati in attività formative art. 17 CCNL Gas/Acqua . Con sentenza del 9/10/08 la Corte d'Appello di Torino, confermando la pronuncia del tribunale della stessa sede del 18/6/07 che aveva dichiarato la nullità dei contratto di prestazioni di lavoro temporaneo, accertava la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con Eni. Invero, il Giudice riteneva nullo il contratto di prestazioni di lavoro temporaneo del 21.03.2003, in quanto la mancata specifica indicazione dei motivi di ricorso al lavoro interinale integra l'ipotesi di somministrazione irregolare ai sensi dell'art. 27 D.lgs. 276/03, con conseguente costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di ENI a far data dal 23.03.2003 ed obbligo con di reintegrazione e di pagamento di tutte le retribuzioni dovute dai 25,03,2005 alla data dell'effettiva reintegra. Avverso tate sentenza la società ENI propone ricorso con tre motivi, cui il lavoratore resiste con controricorso Ework è rimasta intimata. Le parti hanno presentato memorie. Motivi della decisione Il ricorso è infondato. Occorre premettere che questa Corte, con riferimento a fattispecie del tutto analoghe alla presente, ha già ritenuto l'illegittimità dei contratto di fornitura di lavoro temporaneo e la conseguente costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato tra le parti Cass. n. 1658/2014, 1033/2014, 1032/2014, 161/2014, ed altre precedenti . Esaminando nel dettaglio i motivi del ricorso, va rilevato che, con il primo motivo si deduce ex art. 360 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 414 c.p.c. anche in relazione all'art. 1, co. 7 L. 196/97, per aver trascurato che la mancata esplicita impugnazione dei contratto di fornitura determinava la preclusione rispetto ad eventuali vizi dello stesso e per aver posto a fondamento della decisione la genericità della causale dei contratto non dedotta dal lavoratore. Il motivo è infondato per aver la corte territoriale espressamente argomentato in ordine alla questione, interpretando la domanda proposta dal lavoratore non solo sulla base della formulazione delle conclusioni della parte ma dell'intero contenuto dell'atto, ritenendo che la parte aveva impugnato la legittimità del contratto di fornitura. Le censure, prospettate per violazione degli articoli 112 e 414 c.p.c., e non anche per vizio di motivazione in materia di interpretazione di atti, non possono essere accolte, atteso che la interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, per cui, ove questi abbia espressamente ritenuto che una certa domanda era stata avanzata - ed era compresa nel thema decidendum , tale statuizione, ancorché erronea non può essere direttamente censurata per ultrapetizione, atteso che, avendo comunque il giudica svolto una motivazione sul punto, dimostrando come una certa questione debba ritenersi ricompresa tra quelle da decidere, il difetto di ultrapetizione, non è logicamente verificabile prima di avere accertato che quella medesima motivazione sia erronea. La sentenza non può pertanto essere annullata per ultrapetizione, se preliminarmente non si annulli quella parte di essa in cui si sono spiegate le ragioni che hanno indotto alla trattazione della questione. In tal caso, l'errore del giudice non si configura come error in procedendo , ma attiene esclusivamente al momento logico relativo all'accertamento in concreto della volontà della parte, e non a quello inerente a principi processuali pertanto detto errore può concretizzare solo una carenza nella interpretazione di un atto processuale, ossia un vizio sindacabile in sede di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio di motivazione di cui all'art. 350 cod. proc. civ., n. 5, giacché la ricostruzione del contenuto di tali atti è compito istituzionale del giudice del merito. Sotto altro, concorrente profilo, occorre ribadire il consolidato insegnamento di questa Corte, secondo il quale non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che esamini una questione non espressamente formulata, tutte le volte che questa debba ritenersi tacitamente proposta, in quanto in rapporto di necessaria connessione con quelle espressamente formulate, delle quali costituisca l'antecedente logico e giuridico, senza estendere il diritto che la parte - con la propria domanda od eccezione - ha inteso proporre. In altre parole, deve ritenersi violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ogni volta che il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell'azione petitum e causa petendi , attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nell'ambito della domanda o delle richieste della parte Cass. 19 giugno 2004 n. 11455 . Con il secondo motivo si deduce ex art. 360 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione dell’art. 1, co. 2, dell'art. 3, co. 3, lett. a e dell'art. 10 della L. 196/97, per aver trascurato l'inesistenza di una norma che ponga l'obbligo di specificazione dei motivi di ricorso alla fornitura o che sanzioni tale ipotetico vizio con la conversione del rapporto a tempo indeterminato in capo alla utilizzatrice. La tesi, posta a fondamento del motivo, della possibilità di non indicare ragioni specifiche per il ricorso al lavoro interinale, è stata ritenuta priva di fondamento da numerose sentenze di questa Corte, alle quali si rinvia Cass., 23684/2010 Cass., 13960/2010 Cass. 232/2012, che, in particolare, ha affermato in materia di contratto di lavoro interinale, la mancata o la generica previsione, nel contratto intercorrente tra l'impresa tornitrice ed il singolo lavoratore, dei casi in cui è possibile ricorrere a prestazioni di lavoro temporaneo, in base ai contratti collettivi dell'impresa utilizzatrice, spezza l'unitarietà della fattispecie complessa voluta dal legislatore per favorire la flessibilità dell'offerta di lavoro nella salvaguardia dei diritti fondamentali del lavoratore e fa venir meno quella presunzione di legittimità dei contratto interinale, che il legislatore fa discendere dall'indicazione nel contratto di fornitura delle ipotesi in cui il contratto interinale può essere concluso . Occupandosi di contratti interinali in cui l'indicazione della causale era, come in quello in esame, di mero e generico rinvio alla contrattazione collettiva, questa Corte ha affermato che il contratto, invece di specificare la causale all'interno delle categorie consentite dalla legge, si limita a riprodurre il testo dell'art. 1, lett. a della legge, senza compiere alcuna specificazione non si specifica a quali contratti collettivi nazionali applicabili all'impresa utilizzatrice si fa riferimento, né, tanto meno, come sarebbe necessario, a quale delle ipotesi previste dalla contrattazione collettiva si fa riferimento. La genericità della causale rende il contratto illegittimo, per violazione della L. n. 196 del 1997, art. 1, commi 1 e 2, che ne consente la stipulazione solo per le esigenze di carattere temporaneo rientranti nelle categorie specificate nel comma 2, esigenze che il contratto di fornitura con può quindi omettere di indicare, né può indicare in maniera generica e non esplicativa, limitandosi a riprodurre il contenuto della previsione normativa . Con il terzo motivo si deduce ex art. 360 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione dell'art. 10, L. 196/97 e dell'art. 1, co. 5, L. 1369/60 anche in relazione all'art. 10, D.lgs. 368/01, per il fatto che la Corte ha fatto discendere dall'illegittimità del ricorso al lavoro temporaneo la sanzione della conversione del contratto in un contratto con la società utilizzatrice ed a tempo indeterminato, trascurando che la trasformazione in rapporto a tempo indeterminato è prevista solo nel caso di mancanza di forma scritta del contratto di fornitura. Per giurisprudenza costante di questa Corte l'illegittimità del contratto interinale comporta le conseguenze previste dalla legge sul divieto di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro, e quindi l'instaurazione del rapporto di lavoro con il fruitore della prestazione, cioè con il datore di lavoro effettivo. Infatti, la L. n. 196 del 1997, art. 10, comma 1, collega alle violazioni delle disposizioni di cui all'art. 1, commi 2, 3, 4 e 5 cioè violazioni di legge concernenti proprio il contratto commerciale di fornitura le conseguenze previste dalla L. n. 1369 del 1960, consistenti nel fatto che i prestatori di lavoro sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell'imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro prestazioni . In tal senso questa S.C. si è espressa, in modo univoco e costante, con una pluralità di decisioni Cass. 23 novembre 2010 n. 23684 Cass. 24 giugno 2011 n. 13960 Cass. 5 luglio 2011 n. 14714 Cass. 12.1.2012 n. 232 Cass. 29 maggio 2013 n. 13404 alle cui motivazioni si rinvia per ulteriori approfondimenti. Le medesime sentenze hanno precisato che, quando il contratto di lavoro che accompagna il contratto di fornitura è a tempo determinato, alla conversione soggettiva del rapporto, si aggiunge la conversione dello stesso da lavoro a tempo determinato in lavoro a tempo indeterminato, per intrinseca carenza dei requisiti richiesti dal D.Lgs. n, 368 del 2001, o dalle discipline previgenti, a cominciare dalla forma scritta, che ineluttabilmente in tale contesto manca con riferimento al rapporto tra impresa utilizzatrice e lavoratore sul punto, v. anche Cass. 1148 del 2013 e Cass. 6933 del 2012 . L'effetto finale in questi casi è la conversione del contratto per prestazioni di lavoro temporaneo in un ordinario contratto di lavoro a tempo indeterminato tra l'utilizzatore della prestazione, datore di lavoro effettivo, e il lavoratore. A tale ricostruzione si è attenuta la Corte d'appello di Torino nella sentenza qui impugnata. Infine, deve rilevarsi che non può trovare applicazione in questa sede l'art. 32 co. 5 L. 183/2010, invocato dalla società ricorrente nella memoria ex art. 378 c.p.c., atteso che per consolidata giurisprudenza di questa Corte la norma superveniens può trovare applicazione nel giudizio di cassazione, ma solo nell'ambito del motivo di ricorso ha precisato, infatti, Cass. Sez. L, Sentenza n. 1409 del 31/01/2012, che, in tema di risarcimento del danno nei casi di conversione del contratto di lavoro a tempo determinato, la sopravvenuta disciplina dell'art, 32, commi 5, 6 e 7, della legge n. 183 del 2010, come interpretata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 303 del 2011, si applica nel giudizio pendente in grado di legittimità, qualora tale ius superveniens sia pertinente alle questioni dedotte nel ricorso per cassazione. Più di recente, Cass. Sez. L, Sentenza n. 7632 del 15/04/2015 ha affermato anche che, in tema di risarcimento del danno per conversione del contratto di lavoro a tempo determinato, la disciplina dell'art. 32, comma 5, della legge 4 novembre 2010, n. 183, come interpretata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 303 del 2011, pur applicabile a tutti i giudizi pendenti, in ogni stato e grado, non può essere applicata in caso di ricorso di legittimità che non rechi come valido e pertinente motivo di impugnazione la quantificazione dell'indennità in relazione al diniego di risarcimento statuito con la pronuncia impugnata, ma, senza contestare tale esclusione come illegale o iniqua, si limiti a chiedere il risarcimento attesa la natura di licenziamento della disdetta dei rapporto di lavoro a termine. Nel caso di specie, manca un motivo di ricorso che investa le conseguenze economiche dell'illegittimo ricorso al lavoro interinale, sicché l’art. 32 invocato non è applicabile. Le spese seguono la soccombenza e vanno distratte in favore degli avvocati del lavoratore che hanno reso la dichiarazione di rito. Nulla per spese verso la parte rimasta intimata. P.Q.M. rigetta il ricorso condanna il ricorrente ai pagamento delle spese di lite, che si liquidano in Euro 3500 per compensi e Euro 100 per spese, oltre accessori come per legge e spese generali nella misura del 15%, con distrazione. Nulla per spese verso la parte rimasta intimata.