Previdenza integrativa: sì al cumulo tra interessi e rivalutazione monetaria

Indipendentemente dalla natura previdenziale del trattamento pensionistico integrativo del Fondo, il divieto di cumulo tra interessi e rivalutazione monetaria si riferisce esclusivamente ai crediti previdenziali vantati verso gli enti gestori di previdenza obbligatoria e non è pertanto applicabile alle prestazioni pensionistiche integrative dovute dal datore di lavoro.

Si pone in linea con le precedenti sentenze delle Sezioni Unite la sentenza n. 18041/2015, depositata il 14 settembre. Previdenza mi interessano gli interessi. Un dipendente di Sicilcassa si era visto liquidare in suo favore un credito pensionistico avente ad oggetto le somme versate da lui o per suo conto nel Fondo Integrativo Pensioni, comprese quelle poste a carico del datore di lavoro, oltre interessi e rivalutazione monetaria. L’ente datore di lavoro ricorreva in Cassazione. Tra le parti è pacifico come il Fondo di Previdenza Integrativo abbia natura di fondo a prestazione definita, ossia sia privo di conti individuali, con la conseguenza che non vi può essere corrispondenza tra la contribuzione che affluisce al fondo in relazione alla posizione del singolo iscritto e la prestazione che dovrà essergli attribuita alla maturazione del diritto alla pensione. Lavoratori tutelati con l’art. 10. d.lgs. n. 124/1993. Il primo nodo da sciogliere riguarda, quindi, l’applicazione dell’art 10 d.lgs. 124/1993, sulla disciplina delle forme pensionistiche complementari. In particolare, la norma riguarda la situazione del lavoratore che ha perso i requisiti per la partecipazione al fondo, senza aver ancora maturato il diritto alla pensione complementare, attribuendo loro una serie di opzioni per il trasferimento delle loro posizioni individuali presso un fondo diverso. La lettera dell’art. 10 indica una chiara portata inclusiva della norma. Essa, infatti, fa riferimento a concetti omnicomprensivi di forma pensionistica complementare” e di fondi pensione” senza operare alcuna distinzione tra previdenza complementare e non. La distinzione che il legislatore non ha formulato è stata, invece, introdotta dalla giurisprudenza, che - basandosi sul dato dell’art. 10 lett. C ove si prevede la possibilità di riscatto nella posizione individuale” – ha ritenuto il riscatto possibile solo nei fondi a capitalizzazione individuale e non anche in quelli a ripartizione o a capitalizzazione collettiva, dove, come si è detto, manca un’enucleazione delle posizioni individuali. Tale concetto, è stato, sempre dalla giurisprudenza, esteso a tutte le ipotesi previste dall’art. 10 citato, con la conseguenza che la norma risultasse applicabile solo ai fondi pensionistici a capitalizzazione individuale. In realtà, così non è. La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, chiarisce vero è che i fondi a ripartizione individuale sono distinti da quelli a ripartizione collettiva, ma non si può escludere che da questi ultimi si possano enucleare le posizioni individuali attraverso calcoli matematici, usualmente applicati in materia previdenziale ed assicurativa. Pertanto, nei fondi previdenziali collettivi”, la posizione individuale sebbene non sia determinata è determinabile. Da qui, l’applicabilità dell’art. 10 anche ai fondi pensionistici complementari, quale quello oggetto della sentenza. Previdenza obbligatoria e integrativa differenze. Per complementare il suo ragionamento, la Suprema Corte si sofferma anche sulla differenza tra previdenza obbligatoria prevista ex lege e previdenza individuale prevista ex contractu . La prima ha carattere generale ed ineludibile la seconda, invece, è fonte di prestazioni aggiuntive che sono rivolte a vantaggio esclusivo dei lavoratori aderenti ai patti incrementativi dei trattamenti ordinari. Ebbene, il divieto di cumulo tra interessi e rivalutazione monetaria trova la sua fonte nell’art. 16 comma 6, l. 412/1991, nella parte in cui si prevede l’obbligo per gli enti gestori delle forme di previdenza obbigatoria” di pagare gli interessi legali in caso di ritardo nell’adempimento delle prestazioni dovute. Pertanto il divieto di cumulo non opera con riferimento alla natura obbligatoria od individuale del fondo il debitore degli eventuali interessi e delle eventuale rivalutazione monetaria va, quindi, individuato non in un soggetto qualsiasi, bensì in uno di quegli enti pubblici non economici, ai quali è attribuita ex lege una funzione di previdenza nei confronti di alcune categorie di lavoratori. Divieto di cumulo? Posto che non v’è dubbio che il Fondo di Sicilcassa abbia natura privatistica e che le relative prestazioni non rientrino tra le prestazioni previdenziali a carattere obbligatorio, deve escludersi l’applicazione dell’art. 16 citato e, quindi, del divieto di cumulo, divieto che si riferisce esclusivamente ai crediti vantati verso gli enti gestori di previdenza obbligatoriail fondo pensionistico di Sicilcassa eroga prestazioni pensionistiche integrative e, quindi, in caso di ritardato adempimento sono dovuti sia gli interessi legali sia la rivalutazione monetaria.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 11 giugno – 14 settembre 2015, n. 18041 Presidente Venuti – Relatore Doronzo Svolgimento del processo 1. T.F.L. propose dinanzi al Tribunale di Palermo opposizione allo stato passivo della Sicilcassa s.p.a., società in liquidazione coatta amministrativa, dolendosi del parziale rigetto della domanda volta ad ottenere l'ammissione, allo stato passivo della Sicilcassa, del credito avente ad oggetto le somme, versate da lui o per suo conto, nel Fondo Integrativo Pensioni, ivi comprese quelle poste a carico del datore di lavoro. 2. Il Tribunale accolse la domanda e ammise al passivo della liquidazione il credito vantato dal ricorrente, a titolo di riscatto della sua posizione individuale, oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interessi legali, e la sentenza, impugnata dalla Sicilcassa, fu confermata dalla Corte d'appello di Palermo, con sentenza depositata il 28 dicembre 2012. 3. La Corte, prestando adesione ad un precedente di questa Corte Cass., 11 dicembre 2002, n. 17657 , affermò il seguente principio di diritto In tema di previdenza complementare, le tre opzioni stabilite dall'art. 10 del dlgs. 21/4/1993, n. 124 riscatto, trasferimento del capitale accumulato ad altro fondo chiuso , trasferimento ad un fondo aperto in favore degli iscritti che abbiano cessato il rapporto senza maturazione del diritto alla pensione, in epoca successiva all'entrata in vigore della legge stessa, si applicano all'intera posizione individuale, che comprende tutti gli accantonamenti previsti dall'art. 8 di detto decreto, sia del lavoratore che del datore di lavoro, effettuati anche nel periodo antecedente all'entrata in vigore del d.lgs. n. 124/1993 per i fondi a capitalizzazione preesistenti, anche nel caso in cui gli statuti dei fondi prevedono modalità di rimborso dei capitali accantonati difformi alla norma legale . 4. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Sicilcassa s.p.a., sulla base di tre motivi, cui ha resistito con controricorso il lavoratore. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c. All'udienza di discussione questa Corte ha tuttavia rilevato che, in altra controversia, sulla medesima questione di diritto sottesa al ricorso, con ordinanza interlocutoria del 28 gennaio 2014, n. 1774, era stata disposta la trasmissione degli atti al primo Presidente per l'eventuale assegnazione della questione alle Sezioni Unite, sicché si è disposto il rinvio della causa a nuovo ruolo. Quindi, fissata la nuova udienza dopo la pubblicazione della sentenza delle Sezioni Unite n. 477/2015, le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c Motivi della decisione In via preliminare, deve rilevarsi l'ammissibilità del ricorso, non ravvisandosi i presupposti per l'applicabilità dell'art. 360 bis, n. 1, c.p.c., e tanto in ragione dei contrasti esistenti sulla questione di fondo posta nella presente controversia, solo di recedente composti dall'intervento delle Sezioni Unite, come di seguito si dirà. 1. Con il primo motivo di ricorso la Sicilcassa s.p.a. denuncia ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione dell'art. 10 del d.lgs. n. 124/1993. Assume che è incontestata la natura del Fondo di previdenza integrativo d'ora in poi solo FIP come fondo a prestazione definita, privo di conti individuali, con la conseguenza che non vi può essere corrispondenza tra la contribuzione che affluisce al fondo in relazione alla posizione del singolo iscritto e la prestazione che dovrà essergli attribuita alla maturazione del diritto a pensione. Per contro, condizione indispensabile perché possa trovare applicazione l'art. 10 d.lgs. cit. è che il Fondo sia strutturato come fondo a contribuzione definita, in cui la prestazione si determina con il criterio della capitalizzazione individuale, in base alla contribuzione imputata sulla posizione individuale. L'art. 7 del regolamento del Fondo riconosce al lavoratore che cessa senza diritto a pensione solo la disponibilità della contribuzione da lui personalmente versata. Ne consegue l'erroneità della decisione nella parte in cui, richiamando l'art. 2117 c.c., ha riconosciuto il diritto dell'iscritto alla riscattabilità di tutta la contribuzione, disponendo l'immediata applicabilità dell'art. 10 del d.lgs. anche ai fondi preesistenti alla sua entrata in vigore e nonostante la presenza di una norma regolamentare di contenuto diverso. 2. Con il secondo motivo censura la sentenza per violazione degli artt. 1362 e ss. c.c., con riferimento agli artt. 4 e 7 del FIP che escludono la riscattabilità a favore dell'iscritto dell'intera contribuzione affluita al Fondo. Assume l'erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto di disapplicare l'art. 7 del regolamento, in base al quale, invece, l'iscritto che cessa dal servizio senza diritto alle prestazioni ha diritto alla restituzione della sola contribuzione da lui versata, con esclusione di quella versata dall'azienda, in quanto destinata a garantire la provvista necessaria a finanziare l'integrazione sui trattamenti di pensione maturati e maturandi, in regime di prestazione definita, e quindi non correlati all'importo e della contribuzione affluita al fondo in relazione al singolo assicurato. 3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell'art. 429, comma 3, c.p.c. al credito relativo alla contribuzione versata al fondo, suscettibile di riscatto. Assume che tale credito ha indubbiamente natura previdenziale con la conseguenza che non può essere riconosciuto il cumulo tra interessi legali e rivalutazione monetaria, quanto meno a far tempo dall'1 settembre 1985 cfr. art. 1, comma 194 legge n. 662/1996 , momento a partire dal quale si era marcata irreversibilmente la distinzione tra retribuzione differita con funzione previdenziale e accreditamenti per la previdenza integrativa, di natura previdenziale a tutti gli effetti. 4. I primi due motivi, che si affrontano congiuntamente in ragione della connessione che li lega, sono infondati. Sulla questione all'esame di questa Corte sono intervenute le Sezioni Unite con la sentenza del 14 gennaio 2015, n. 477, con la quale si è affermato il seguente principio di diritto Il D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, art. 10 Disciplina delle forme pensionistiche complementari, a norma della L. 23 ottobre 1992, n. 421, art. 3, comma 1, lett. v si applica anche ai fondi pensionistici preesistenti all'entrata in vigore della legge delega 15 novembre 1992 , quali che siano le loro caratteristiche strutturali e quindi non solo ai fondi a capitalizzazione individuale, ma anche a quelli a ripartizione o a capitalizzazione collettiva . 4.1. La Corte, dopo aver ricostruito il quadro normativo di riferimento, si è soffermata sulla portata normativa del d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, che si occupa della previdenza complementare. Ha osservato che, ribadita la finalità di assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale , il legislatore ha disciplinato il campo di applicazione, i destinatari, le fonti istitutive delle forme pensionistiche complementari, la natura giuridica dei Fondi pensione, la composizione dei relativi organi di gestione e di controllo, le prestazioni, i finanziamenti, il trattamento tributario di contributi e prestazioni, funzioni e compiti della commissione di vigilanza. 4.2. Ha quindi esaminato l'art. 10, che riguarda la situazione del lavoratore che ha perso i requisiti per la partecipazione al fondo senza aver ancora maturato il diritto alla pensione complementare. La norma dispone quanto segue Lo statuto del fondo pensione deve consentire le seguenti opzioni stabilendone misure, modalità e termini per l'esercizio a il trasferimento presso altro fondo pensione complementare, cui il lavoratore acceda in relazione alla nuova attività b il trasferimento ad uno dei fondi di cui all'art. 9 fondi pensione aperti c il riscatto della posizione individuale . Il secondo comma aggiunge gli aderenti ai fondi pensione di cui all'art. 9 possono trasferire la posizione individuale corrispondente a quella indicata al comma 1, lett. a , presso il fondo cui il lavoratore acceda in relazione alla nuova attività . Il comma 3, specifica gli adempimenti a carico del fondo pensione conseguenti all'esercizio delle opzioni di cui ai commi 1 e 2, debbono essere effettuati entro il termine di sei mesi dall'esercizio dell'opzione . 4.3. Individuata la ratio della norma ed il suo chiaro tenore letterale, in cui non vi è traccia di alcuna distinzione o eccezione, e in particolare non si esclude la sua applicazione alle forme pensionistiche complementari già istituite, le Sezioni Unite hanno osservato che, quando il legislatore è intervenuto nel 1992-93, introducendo il principio della portabilità in caso di cessazione dei requisiti di partecipazione ai fondi, aveva ben presente che la nuova disciplina avrebbe coinvolto in larga maggioranza fondi a ripartizione o a capitalizzazione collettiva, quale era la gran parte dei fondi preesistenti alla riforma. Ciò nonostante, non li ha esclusi dall'immediata applicazione della nuova disciplina sulla riscattabilità e portabilità, né ha previsto deroghe o distinzioni di sorta tra le varie forme di previdenza complementare. 4.4. Ed invero, sottolineano le Sezioni Unite che il d.lgs. n. 124 del 1993, art. 10, fa riferimento ai concetti omnicomprensivi di forma pensionistica complementare e di fondi pensioni senza operare diversificazioni. La distinzione che il legislatore non ha formulato è stata introdotta in alcune sentenze basandosi sul dato che la lett. c , nel prevedere la possibilità di riscatto, usa l'espressione riscatto della posizione individuale . Si è ritenuto che nei fondi a ripartizione o a capitalizzazione collettiva manchi una posizione individuale e che pertanto il riscatto sia possibile solo nei fondi a capitalizzazione individuale. Il concetto, con ulteriore passaggio, è stato poi esteso anche alle ipotesi del trasferimento da un fondo ad un altro previste dalle lett. a e b . Si è poi aggiunto un ulteriore argomento, assumendo che nei fondi a ripartizione o a capitalizzazione collettiva sarebbe impossibile enucleare una posizione individuale e vi sarebbe, quindi, un'incompatibilità ontologica tra portabilità e sistemi a ripartizione o capitalizzazione collettiva. 4.5. In realtà, le Sezioni unite hanno chiarito che i due concetti di posizione e conto individuale sono concetti distinti, di cui il legislatore è consapevole laddove, nel dettare la disciplina fiscale art. 14-quater del medesimo decreto utilizza il concetto di conto individuale del dipendente e mostra di aver ben presente la sua funzione tutta interna alla gestione del fondo. Hanno quindi aggiunto che, pur a fronte di tale distinzione concettuale, l'operazione di enucleare posizioni individuali nei fondi a ripartizione o a capitalizzazione collettiva, come si è messo in rilievo in precedenti decisioni di questa Corte pienamente condivisibili in particolare Cass. 7161 del 2013 , è tecnicamente possibile con l'applicazione di regole e metodi delle specializzazioni matematiche che si occupano dei problemi del settore assicurativo - previdenziale. La posizione previdenziale, anche se non determinata, è determinabile. 4.6. Una specifica disciplina transitoria per le forme preesistenti a ripartizione viene poi prevista nelle norme finali art. 18, commi 8 bis, ter, quater con le quali il legislatore si è preoccupato di prevedere specifici correttivi idonei a contenere gli effetti negativi che i nuovi principi avrebbero potuto determinare sull'equilibrio gestionale dei fondi a ripartizione. Afferma la Corte che Anche da ciò si desume che se invece nel sancire il principio della portabilità non ha operato differenziazioni e se la disciplina transitoria non solo non include l'art. 10, ma non prevede correttivi o una disciplina speciale differenziata sul riscatto e la portabilità dei fondi a ripartizione preesistenti ciò vuoi dire che il legislatore ha voluto enunciare la portabilità come principio generale al quale avrebbero dovuto adeguarsi tutti i fondi, quali che fossero le loro caratteristiche strutturali e quale che fosse l'epoca della loro costituzione . 4.7. Le Sezioni Unite hanno pertanto concluso nel senso che tutti gli argomenti addotti per sostenere l'inapplicabilità della disciplina sulla portabilità ai fondi preesistenti a capitalizzazione collettiva o a ripartizione non appaiono convincenti le espressioni utilizzate, generali e prive di elementi che possano fondare differenziazioni di trattamento, indicano la volontà legislativa di riconoscere la portabilità con riferimento a tutti i fondi, nuovi e preesistenti, quali che siano i meccanismi di gestione. E ciò, pur avendo il legislatore ben presente la variegata morfologia e la sussistenza di elementi di diversità, che rendono a volte più complessa l'operazione di trasferimento quando il fondo non sia a capitalizzazione individuale, ma sia a ripartizione o a capitalizzazione collettiva. 4.8. La scelta si spiega probabilmente con il fatto che il legislatore considera la portabilità come uno degli strumenti fondamentali per garantire il perseguimento di più elevati livelli di copertura previdenziale , che costituisce il principio guida della legge delega in materia di previdenza complementare [ L. 23 ottobre 1992, n. 421, art. 3, lett. v ], ribadito nel decreto legislativo di attuazione D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124 . Si spiega, inoltre, con la consapevolezza, maturata negli anni novanta, della crescente mobilità occupazionale che caratterizza il mercato del lavoro e di conseguenza con la necessità di predisporre strumenti per consentire ai lavoratori, esposti al frammentarsi della vita lavorativa, di non subire, o quanto meno attenuare i contraccolpi sul versante previdenziale. 4.9. Alla luce di questi chiari principi, non scalfiti dalle pur diffuse argomentazioni svolte dalla ricorrente nella memoria ex art. 378 c.p.c., entrambi i motivi devono essere rigettati. 5. Anche il terzo motivo di ricorso è infondato. Con sentenza del 9 marzo 2015, n. 4684, le Sezioni Unite di questa Corte hanno risolto il contrasto esistente in seno alla Suprema Corte, concernente la natura dei versamenti effettuati dal datore di lavoro alla previdenza integrativa o complementare e quindi la loro computabilità o non ai fini del trattamento di fine rapporto e dell'indennità di anzianità , affermandone il carattere previdenziale non retributivo ed escludendone la computabilità . 5.7. La Corte, dopo aver individuato la linea di demarcazione tra previdenza obbligatoria ex lege e previdenza integrativa o complementare ex contractu nel carattere generale, necessario e non eludibile della prima, a fronte della natura eventuale delle garanzie della seconda, che sono fonte di prestazioni aggiuntive rivolte a vantaggio esclusivo delle categorie di lavoratori aderenti ai patti incrementativi dei trattamenti ordinari e in relazione alla quale non opera il principio dell'automatismo delle prestazioni , ha ritenuto che, anche prima della riforma della previdenza complementare del 1993, i versamenti effettuati in favore dei fondi di previdenza non possono essere considerati di natura retributiva, per la ragione essenziale che gli stessi non sono corrisposti ai dipendenti ma erogati direttamente al fondo. Tale soluzione, che questo Collegio condivide per l'autorevolezza dell'Organo e la chiarezza del principio, non è tuttavia risolutiva dell'ulteriore questione relativa all'applicabilità del cumulo degli interessi e della rivalutazione al credito maturato dal lavoratore, con riguardo alle somme versate nei fondi integrativi. 5.2. La norma di riferimento, invocata dalla ricorrente, è contenuta nell'art. 16, comma 6, legge 30 dicembre 1991 n. 412, che ha disciplinato il regime degli accessori inerenti alle prestazioni dovute dagli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria essa dispone, in primo luogo primo periodo , che tali enti sono tenuti a corrispondere gli interessi legali a decorrere dalla data di scadenza del termine previsto per l'adozione del provvedimento sulla domanda e, in secondo luogo ultimo periodo , che l'importo dovuto a titolo di interessi è portato in detrazione delle somme eventualmente spettanti a ristoro del maggior danno subito dal titolare della prestazione per la diminuzione del valore del suo credito . Con quest'ultima disposizione è stato sancito il cosiddetto divieto di cumulo fra interessi legali e rivalutazione monetaria riguardo alle prestazioni erogate in ritardo dagli enti suddetti, con la conseguenza che la mora deve essere risarcita mediante la corresponsione della maggior somma risultante dal calcolo degli interessi e dal calcolo della rivalutazione. 5.5. Le Sezioni Unite di questa Corte Cass., Sez. Un., 15 ottobre 2002, n. 14617 hanno chiarito la ratio di questa disciplina, precisando che essa è stata dettata per assolvere ad una funzione riequilibratrice e di contenimento della maggiore spesa cui erano stati sottoposti gli enti previdenziali per effetto della estensione, riguardo ai crediti per accessori sulle prestazioni da essi erogate in ritardo, del meccanismo di rivalutazione proprio dei crediti di lavoro, imposto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 156 del 12 aprile 1991. Con tale decisione si è infatti dichiarato incostituzionale l'art. 442 c.p.c. nella parte in cui non prevede che il giudice, quando pronuncia sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti relativi a prestazioni di previdenza sociale, deve determinare, oltre gli interessi nella misura legale, il maggior danno eventualmente subito dal titolare per la diminuzione del valore del suo credito v. anche la successiva sentenza n. 196 del 27 aprile 1993, che ha dichiarato illegittima la stessa norma, nella parte in cui non prevede il medesimo trattamento dei crediti relativi a prestazioni di previdenza sociale nel caso in cui il ritardo dell'adempimento sia insorto anteriormente al 31 dicembre 1991 . 5.4. Vi era dunque una pressante esigenza di contenere gli effetti negativi prodotti sulla pubblica finanza dalla decisione della Corte Costituzionale, mediante l'incremento della spesa previdenziale corrente, in un contesto di progressivo deterioramento dei conti pubblici così Cass., n. 14617/2002, cit. . E la funzione riequilibratrice dell'art. 16 cit. è stata poi riconosciuta dalla stessa Corte costituzionale nella successiva sentenza n. 361 del 24 ottobre 1996 - dichiarativa della infondatezza della questione di legittimità dell'art. 16, sesto comma, della legge n. 412/1991 - in cui si è precisato che l'art. 38 della Costituzione non esclude la possibilità di un intervento legislativo che, per una inderogabile esigenza di contenimento della spesa pubblica, riduca un trattamento pensionistico e, a maggior ragione, gli accessori del credito , essendosi manifestata, dopo la sentenza n. 156 dell'8-12 aprile 1991, in un contesto di progressivo deterioramento degli equilibri della finanza pubblica, la necessità di un'adeguata ponderazione dell'interesse collettivo al contenimento della spesa pubblica . 5.5. È poi intervenuto l'art. 22, comma 36, seconda parte, della legge 23 dicembre 1994 n. 724, che ha esteso la disciplina dettata dall'art. 16, sesto comma, legge 412/1991 anche agli emolumenti natura retributiva, pensionistica ed assistenziale, per i quali non sia maturato il diritto alla percezione entro il 31 dicembre 1994, spettanti ai dipendenti pubblici e privati in attività di servizio o in quiescenza . Tale disposizione è stata oggetto di un nuovo intervento della Corte costituzionale, che, con la sentenza n. 459 del 2 novembre 2000, ha rilevato il contrasto della norma con l'art. 36 Cost. relativamente ai rapporti di lavoro subordinato privato, dichiarando l'illegittimità costituzionale della norma medesima limitatamente alle parole e privati . 5.6. Ora, l'art. 16, sesto comma, l. 30 dicembre 1991 n. 412, nella parte in cui prevede, nel primo periodo, l'obbligo per gli enti gestori delle forme di previdenza obbligatoria di pagare gli interessi legali in caso di ritardo, oltre il termine fissato dalla legge, nell'adempimento delle prestazioni dovute , costituisce il presupposto per la statuizione contenuta nel secondo periodo, ossia per l'operatività del divieto di cumulo. Il primo dato che si trae dalla relativa formulazione è che la norma fa riferimento a prestazioni erogate da enti gestori delle forme di previdenza obbligatoria . Il debitore, pertanto, va individuato non già in un qualsiasi soggetto, persona fisica o giuridica, qualunque sia la natura di quest'ultima, ma in uno di quegli enti pubblici non economici ai quali dalla legge è attribuita una funzione di previdenza nei confronti di determinate categorie di soggetti ritenuti meritevoli di tutela ai sensi dell'art. 38 della Costituzione così ancora, Cass. Sez. Un., n. 14617/2002, cit . 5.7. Il secondo dato è costituito dalla natura della prestazione. Il riferimento, quanto alla decorrenza degli interessi, alla data di scadenza del termine previsto per l'adozione del provvedimento sulla domanda , induce ad interpretare la norma nel senso che le prestazioni debbono essere individuate in quelle erogate previa domanda proposta dall'interessato, proprietà questa che accede soltanto alle obbligazioni pecuniarie aventi natura previdenziale e non anche a quelle aventi natura retributiva solo i crediti previdenziali, in effetti, possono essere fatti valere dagli interessati - di norma - solo dopo che sia stata proposta un'apposita domanda all'ente di competenza e dopo che sia decorso un certo lasso di tempo dalla medesima, mentre i crediti cd. di lavoro soggiacciono ad una regola diversa, la relativa obbligazione essendo esigibile nel momento stesso in cui matura il diritto. Ne consegue che le prestazioni cui deve applicarsi il disposto dell'art. 16 l. cit., non possano che essere quelle riferentesi a crediti previdenziali vantati dagli assicurati nei confronti degli enti gestori delle forme di previdenza obbligatoria ” Cass. Sez. Un. n. 14617/2002, cit., cui adde Cass., 21 ottobre 1997, n. 10355 . 6. Alla luce di queste considerazioni, posto che non vi è dubbio che il Fondo della Sicilcassa s.p.a. ha natura privatistica e che le relative prestazioni non rientrano tra le prestazioni previdenziali a carattere obbligatorio, deve ritenersi che si è fuori dall'ambito di applicazione dell'art. 16, comma 6, l. cit. In tal senso, peraltro, si è già espressa questa Corte che, con la sentenza 28 ottobre 2008, n. 25889 in una fattispecie relativa a trattamento pensionistico integrativo corrisposto dal Fondo costituito dalla Banca di Roma s.p.a. , ha escluso l'applicabilità della disposizione citata, ribadendo che, al di là della natura previdenziale del trattamento pensionistico integrativo del Fondo, il divieto di cumulo d'interessi e rivalutazione monetaria si riferisce esclusivamente ai crediti previdenziali vantati verso gli enti suddetti enti gestori di previdenza obbligatoria n.d.e. e non è pertanto applicabile alle prestazioni pensionistiche integrative dovute dal datore di lavoro . 6.1. Il suddetto principio di diritto, oltre ad essere in linea con le Sezioni Unite su richiamate, non si pone in contrasto con successive pronunce di questa Corte e specificamente con Cass., 28 agosto 2013, n. 19824 Cass., 4 maggio 2012, n. 6752 Cass., 7 marzo 2012, n. 3553 , le quali sono state emesse in controversie promosse nei confronti del Fondo di previdenza per gli impiegati delle esattorie e ricevitorie delle imposte dirette, previsto dalla L. 2 aprile 1958, n. 377, come modificata dalla L. 29 luglio 1971, n. 587. Si tratta, infatti come le stesse sentenze hanno precisato , di un ente che costituisce una gestione autonoma dell'INPS, con lo scopo principale di integrare le pensioni dovute agli iscritti o ai loro superstiti dall'assicurazione generale obbligatoria. In tali pronunce si è rimarcata, da un lato, la natura obbligatoria della previdenza, nel senso che gli iscritti sono inseriti contemporaneamente nell'assicurazione generale obbligatoria tanto che nel fondo confluiscono anche i contributi a.g.o. e la pensione che viene liquidata è una pensione complessiva , nell'ambito di un unico rapporto di assicurazione obbligatoria , e, dall'altro, la fonte legale della disciplina, che non è influenzata da istituti e criteri propri dei fondi integrativi di fonte contrattuale. In altri termini, diversamente dalla presente fattispecie, concorrono entrambi i presupposti — natura previdenziale della prestazione e qualità dell'ente gestore di forme di previdenza obbligatoria - previsti nell'art. 16, comma 6, cit., nell'esegesi offerta dalle Sezioni Unite del 2002. 7. L'obbiettiva controvertibilità della questione, attestata dai contrasti giurisprudenziali anche di questa Corte, solo di recente composti dall'intervento delle Sezioni Unite, giustifica la compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio. Poiché il ricorso è stato notificato in data successiva al 31 gennaio 2013, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell'art. 13, comma 1, del d.p.r. 115/2002. Ed invero, in tema di impugnazioni, il presupposto di insorgenza dell'obbligo del versamento, per il ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l'impugnante, del gravame Cass., ord.13 maggio 2014 n. 10306 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio. Ai sensi dell'art. 13, comma 1, quater del D.P.R. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.