Fino a quando il lavoratore può impugnare il contratto a termine?

Per aversi tacito mutuo consenso inteso a risolvere o comunque a non proseguire il rapporto di lavoro non basta il mero decorso del tempo fra la scadenza del termine illegittimamente apposto e la relativa impugnazione, ma è necessario il concorso di ulteriori e significative circostanze tali da far desumere in maniera chiara e certa la comune volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, circostanze della cui allegazione e prova è gravato il datore di lavoro ovvero la parte che eccepisce un tacito mutuo consenso .

Questo è quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza, sez. Lavoro, numero 17980, depositata l’11 settembre 2015. L’impugnazione del termine prima del Collegato Lavoro. Il caso esaminato dalla Corte di Cassazione si situa nel quadro normativo precedente all’entrata in vigore della l. numero 183/10 cd. Collegato Lavoro che ha introdotto un termine di decadenza di 60 giorni oggi 120 giorni, dopo la modifica introdotta dalla l. numero 92/12 per l’impugnazione stragiudiziale della nullità del termine, seguito da un ulteriore termine oggi, di 180 giorni per la conseguente azione giudiziale. In precedenza, il diritto a detta impugnazione ere ritenuto imprescrittibile, ad eccezione del caso in cui l’inerzia del lavoratore potesse costituire tacita dichiarazione di adesione alla cessazione del rapporto di lavoro. Nei primi due gradi di giudizio, i giudicanti avevano ritenuto che il lungo tempo intercorso tra la cessazione del rapporto di lavoro per scadenza del contratto e la richiesta stragiudiziale di trasformazione del rapporto in tempo indeterminato quasi tre anni e l’accettazione senza riserve del TFR da parte della lavoratrice costituissero tacita adesione alla risoluzione del contratto e che, quindi, fosse del tutto carente l’interesse al ripristino del rapporto di lavoro. La Suprema Corte ha, invece, ritenuto fondato il ricorso della lavoratrice. La risoluzione per mutuo consenso del rapporto di lavoro. Nel dirimere tale controversia, gli Ermellini hanno aderito a un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo . Peraltro, aggiunge la Suprema Corte, grava sul datore di lavoro che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di voler porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro. In altre parole, la Corte di Cassazione ha statuito che la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto anche se protratta per un lasso di tempo di due o tre anni o anche di più, come nel caso di specie non è sufficiente, in mancanza di ulteriori elementi di valutazione, a far ritenere la sussistenza dei presupposti della risoluzione del rapporto per tacito mutuo consenso l’azione di nullità parziale del contratto per contrasto con norme imperative ex art. 1418 c.c. Cause di nullità del contratto è imprescrittibile, pur essendo soggetti a prescrizione i diritti che discendono dal rapporto a tempo indeterminato risultante dalla conversione ex lege per illegittimità del termine apposto. Ne consegue che il mero decorso del tempo tra la scadenza del contratto e la proposizione di tale azione giudiziale non può, di per sé solo, costituire elemento idoneo ad esprimere in maniera inequivocabile la volontà delle parti di risolvere il rapporto di lavoro risultante dalla conversione ovvero integrare una risoluzione per mutuo consenso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 30 aprile – 11 settembre 2015, n. 17980 Presidente Di Cerbo – Relatore Berrino Svolgimento del processo P.A. chiese al Giudice del lavoro di Matera che fosse dichiarata la nullità del termine apposto al contratto di assunzione alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a. stipulato in data 1/6/1999 in relazione al periodo 2/6/99 - 31/8/99 ai sensi dell'art. 8 del CCNL 26/11/1994. Rigettata la domanda, la P. propose appello e la Corte d'appello di Potenza, con sentenza pubblicata in data 13.5.09, rigettò l'impugnazione. Considerato che il contratto era cessato il 31.8.99, che la richiesta stragiudiziale di trasformazione del rapporto era stata effettuata il 16.4.03 e che la lavoratrice aveva accettato il T.F.R. senza riserve, la Corte ritenne che quest'ultima avesse prestato adesione alla risoluzione del contratto e che, quindi, non vantasse un interesse al suo ripristino. P.A. ha proposto ricorso per cassazione con un solo motivo, cui ha resistito la società Poste Italiane s.p.a. con controricorso. La società postale ha depositato, altresì, memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c Motivi della decisione Preliminarmente si da atto che il collegio ha autorizzato la redazione della presente sentenza in forma semplificata. La ricorrente si duole, anzitutto, della violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 1372 cod. civ., in quanto il rapporto di lavoro non avrebbe potuto essere ritenuto risolto per mutuo consenso dato che il mero silenzio assume rilevanza sul piano giuridico nel senso di tacita dichiarazione allorché la condotta della parte contrattuale possa essere apprezzata come oggettiva manifestazione di volontà Nel contempo, la ricorrente denunzia la carenza di motivazione in quanto il giudice di merito non ha indicato da quali ulteriori elementi abbia dedotto la volontà delle parti di ritenere definitivamente cessato il rapporto di lavoro. Il ricorso è fondato. Invero, la più recente giurisprudenza di questa S.C. - cui va data continuità - è ormai consolidata nello statuire che nel rapporto di lavoro a tempo determinato, la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine è di per sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso in quanto, affinché possa configurarsi una tale risoluzione, è necessario che sia accertata - sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell'ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative - una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo dovendosi, peraltro, considerare che l'azione diretta a far valere la illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, per violazione delle disposizioni che individuano le ipotesi in cui è consentita l'assunzione a tempo determinato, si configura come azione di nullità parziale del contratto per contrasto con norme imperative ex art. 1418 c.c. e art. 1419 c.c., comma 2 di natura imprescrittibile pur essendo soggetti a prescrizione i diritti che discendono dal rapporto a tempo indeterminato risultante dalla conversione ex lege del rapporto a tempo determinato cui era stato apposto illegittimamente il termine. Nella specie, relativa ad una pluralità di contratti a tempo determinato conclusi tra un aiuto arredatore e la RAI S.p.a., la S.C., in applicazione dell'anzidetto principio ha ritenuto che correttamente la Corte di merito avesse dichiarato la nullità del termine apposto, restando priva di rilievo la mera inerzia tenuta dal lavoratore per oltre un anno e mezzo, dalla scadenza del termine dell'ultimo dei cinque contratti intervenuti Cass. 15.11.2010 n. 23057 conf. Cass. 1.2.2010 n. 2279 . Ancora, Cass. n. 9583/2011 ha ribadito che nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell'illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata - sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell'ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative - una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo . In senso conforme si vedano, altresì, Cass. 10.11.2008 n. 26935 Cass. 28.9.2007 n. 20390 Cass. 17.12.2004 n. 23554 Cass. 11.12.2001 n. 15621 ed innumerevoli altre. Aggiunge, ancora la cit. sentenza n. 9583/2011 che grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso l'onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro v. ancora, in senso conforme, Cass. 2.12.2002 n. 17070 . Ebbene, tutte le sentenze citate hanno statuito che la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto, anche se protratta per due o tre anni o anche più, non è sufficiente, in mancanza di ulteriori elementi di valutazione, a far ritenere la sussistenza dei presupposti della risoluzione del rapporto per tacito mutuo consenso. Aggiunge icasticamente Cass. n. 23501/2010, cit. D'altra parte, come è noto, l'azione diretta a far valere la illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, per violazione delle disposizioni che individuano le ipotesi in cui è consentita l'assunzione a tempo determinato, si configura come azione di nullità parziale del contratto per contrasto con nome imperative ex art. 1418 c.c. e art. 1419 c.c., comma 2. Essa, pertanto, ai sensi dell'art. 1422 c.c., è imprescrittibile, pur essendo soggetti a prescrizione i diritti che discendono dal rapporto a tempo indeterminato risultante dalla conversione ex lege per illegittimità del termine apposto. Ne consegue che il mero decorso del tempo tra la scadenza del contratto e la proposizione di siffatta azione giudiziale non può, di per sé solo, costituire elemento idoneo ad esprimere in maniera inequivocabile la volontà delle parti di risolvere il rapporto a tempo indeterminato risultante dalla conversione ovvero, in un ottica che svaluti il ruolo e la rilevanza della volontà delle parti intesa in senso psicologico, elemento obiettivo, socialmente e giuridicamente valutabile come risoluzione per tacito mutuo consenso v. Cass., 15/12/97 n. 12665 Cass., 25/3/93 n. 824 . Comunque, consentendo l'ordinamento di esercitare il diritto entro limiti di tempo predeterminati, o l'azione di nullità senza limiti, il tempo stesso non può contestualmente e contraddittoriamente produrre, da solo e di per sé, anche un effetto di contenuto opposto, cioè l'estinzione del diritto ovvero una presunzione in tal senso, atteso che una siffatta conclusione sostanzialmente finirebbe per vanificare il principio dell'imprescrittibilità dell'azione di nullità e/o la disciplina della prescrizione, la cui maturazione verrebbe contra legem anticipata secondo contingenti e discrezionali apprezzamenti. Per tali ragioni appare necessario, per la configurabilità di una risoluzione per mutuo consenso, manifestatasi in pendenza del termine per l'esercizio del diritto o dell'azione, che il decorso del tempo sia accompagnato da ulteriori circostanze oggettive le quali, per le loro caratteristiche di incompatibilità con la prosecuzione del rapporto, possano essere complessivamente interpretate nel senso di denotare una volontà chiara e certa delle parti di volere, d'accordo tra loro, porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo v. anche Cass., 2/12/2000 n. 15403 Cass., 20/4/98 n. 4003 . È, inoltre, onere della parte che faccia valere in giudizio la risoluzione per mutuo consenso allegare prima e provare poi siffatte circostanze v. Cass. sez. lav. n. 2279 dell'1/2/2010, n. 16303 del 12/7/2010, n. 15624 del 6/7/2007 v., altresì, Cass. n. 23499/2010 cit. ed altre ancora . Riepilogando, per aversi tacito mutuo consenso inteso a risolvere o comunque a non proseguire il rapporto di lavoro non basta il mero decorso del tempo fra la scadenza del termine illegittimamente apposto e la relativa impugnazione giudiziale, ma è necessario il concorso di ulteriori e significative circostanze tali da far desumere in maniera chiara e certa la comune volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, circostanze della cui allegazione e prova è gravato il datore di lavoro ovvero la parte che eccepisce un tacito mutuo consenso . La sentenza impugnata ha erroneamente affermato un mutuo consenso alla risoluzione in base al mero decorso del tempo fra la scadenza del rapporto a termine e l'esercizio dell'azione in giudizio da parte della lavoratrice e dalla incontestata accettazione del TFR da parte sua a tale ultimo riguardo, invece, questa S.C. ha più volte avuto modo di rilevare che non sono indicative di un intento risolutorio né l'accettazione del TFR ne1 la mancata offerta della prestazione, trattandosi di comportamenti entrambi non interpretabili, per assoluto difetto di concludenza, come tacita dichiarazione di rinunzia ai diritti derivanti dalla illegittima apposizione del termine cfr., Cass., n. 15628/2001, in motivazione . Lo stesso dicasi della condotta di chi sia stato costretto ad occuparsi o comunque cercare occupazione dopo aver perso il lavoro per cause diverse dalle dimissioni cfr. Cass. n. 839/2010, in motivazione, nonché, in senso analogo, Cass., n. 15900/2005, in motivazione dunque, anche tale contegno - contrariamente a quanto ritenuto dalla impugnata decisione - è inidoneo a far supporre un mutuo consenso allo scioglimento del rapporto lavorativo. In conclusione, si accoglie il ricorso e si cassa la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese, alla Corte d'appello di Potenza in diversa composizione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Potenza in diversa composizione.