Stesse mansioni, nessun patto di prova

Il patto di prova non può essere previsto nel contratto di lavoro se il dipendente ha già svolto presso un’altra impresa subentrata nel medesimo contratto di appalto le stesse mansioni di quelle oggetto di prova. Non rileva in proposito una diversa denominazione delle nuove mansioni, essendo necessario che queste siano di fatto, e non solo nominalmente, diverse da quelle precedenti.

Così ha affermato la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17371/15, depositata il 1° settembre. Il caso. La Corte d’appello di Torino dichiarava illegittimo il patto di prova contenuto nel contratto di lavoro concluso tra una società di ristorazione e una dipendente e di conseguenza annullava il licenziamento intimato alla donna per mancato superamento di questo. Nel caso di specie, la suddetta impresa era obbligata per contratto a riassumere i lavoratori della precedente società cedente l’appalto presso cui lavorava in precedenza la donna. La Corte territoriale considerava invalido il patto di prova in quanto, in base al contratto collettivo nazionale di categoria, il patto di prova poteva essere previsto nel contratto, stipulato dall’impresa cessionaria dell’appalto, solo in caso di riassunzione per mansioni nuove, circostanza invece esclusa secondo la ricostruzione della vicenda. Avverso tale decisione ricorre per cassazione la società. La ratio del patto di prova. La S.C. ritiene che il ricorso sia infondato. Nel rapporto di lavoro subordinato, il patto di prova è un istituto che tutela entrambe le parti, le quali hanno interesse a verificare la convenienza del rapporto stesso. Pertanto, dovrà ritenersi invalido il patto qualora la verifica sia già avvenuta con esito positivo per le mansioni svolte dal lavoratore, per un adeguato periodo di tempo, a favore dello stesso datore di lavoro Cass., n. 10440/12 o anche, come nel caso di specie, a favore di un datore di lavoro-appaltatore, precedente titolare dello stesso contratto d’appalto, se così stabilito dal contratto collettivo. La Corte precisa inoltre che è irrilevante a proposito che nel contratto individuale di lavoro concluso con il datore subentrato nell’appalto vengano previste le stesse mansioni ma queste siano poi denominate in modo diverso. Nel caso di specie, il contratto collettivo di categoria imponeva all’impresa subentrante nell’appalto di assumere il personale dell’impresa precedente nelle stesse mansioni e senza patto di prova. Accertata dal giudice di merito l’uguaglianza effettiva delle mansioni, la Corte territoriale ha correttamente dichiarato illegittimo il patto di prova, in quanto espressamente escluso in tale evenienza dal contratto collettivo. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 10 giugno – 1° settembre 2015, numero 17371 Presidente/Relatore Roselli Svolgimento del processo Con sentenza del 6 marzo 2014 la Corte d'appello di Torino, in riforma della decisione emessa dal Tribunale, dichiarava illegittimo il patto di prova contenuto nel contratto di lavoro concluso il 3 dicembre 2012 dalla s.p.a. Elior ristorazione e da P.R. , e di conseguenza annullava il licenziamento intimato dalla prima alla seconda per mancato superamento, con condanna alla reintegrazione ed all'indennizzo ai sensi dell'articolo 18 l. 20 maggio 1970 numero 300. La Corte osservava che la P. , dipendente della s.r.l. Oxum con qualifica di operaia addetta alla mensa-sesto livello super poi DI , era stata licenziata il 17 dicembre 2012 per cessazione dell'appalto presso l'Istituto sociale di Torino. La s.p.a. Elior ristorazione, subentrata nell'appalto e obbligata per contratto a riassumere i lavoratori della Oxum, l'aveva riassunta il 3 dicembre successivo, con inquadramento nel quinto livello e con patto di prova. La Corte riteneva nullo questo patto poiché, malgrado il diverso formale inquadramento nel livello superiore, le mansiom effettivamente svolte dalla lavoratrice erano le medesime già svolte per la Oxum, ossia quelle di operaia presso il servizio ristorazione, comprendenti quelle di aiuto-cuoca, come risultava dalle numerose testimonianze acquisite. E poiché il contratto collettivo nazionale di categoria permetteva di inserire il patto di prova nel contratto, concluso dall'impresa cessionaria dell'appalto, solo in caso di riassunzione per mansioni nuove, il patto doveva considerarsi invalido. L'insussistenza del fatto posto a base del licenziamento giustificava l'ordine di reintegrazione ai sensi dell'articolo 18, quinto comma, l. numero 300 del 1970, come modif. dall'articolo 1, comma 42, l. 28 giugno 2012 numero 92, nonché l'indennità risarcitoria. Contro questa sentenza ricorre per cassazione la s.p.a. Elior ristorazione mentre la P. resiste con controricorso. Motivi della decisione Col primo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2697, 2096 cod. civ., 115 cod. proc. civ., 335, 339 c.c.numero l. turismo-pubblici esercizi, e vizi di motivazione, per errata interpretazione delle deposizioni testimoniali in ordine all'eguaglianza delle mansioni di fatto svolte dalla lavoratrice sia a favore dell'impresa originariamente appaltatrice del servizio mensa sia dell'impresa subentrata nell'appalto. La stessa censura viene sostanzialmente ripetuta nel secondo motivo sotto il profilo del vizio di motivazione. Col terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2096 cod. civ., 335 e 339 citt., sostenendo la validità del patto di prova sulla sola base del contratto individuale di lavoro, in cui le parti abbiano considerato come nuove, ossia mai svolte in precedenza, le mansioni affidate. I tre connessi motivi non sono fondati. Nel lavoro subordinato il patto di prova tutela entrambe le parti del rapporto, che hanno interesse a verificare la convenienza del rapporto stesso, dovendo ritenersi l'invalidità del patto ove la verifica sia già avvenuta con esito positivo per le mansioni svolte dal lavoratore, per un congruo periodo, a favore dello stesso datore di lavoro Cass. 22 giugno 2012 numero 10440, 29 luglio 2005 numero 15960, 5 maggio 2004 numero 8579 , o anche a favore di datore di lavoro-appaltatore, precedente titolare dello stesso contratto d'appalto, se così stabilisca il contratto collettivo. Né rileva che, nel contratto individuale di lavoro stipulato col datore subentrato nell'appalto le stesse mansioni vengano diversamente denominate. Nel caso di specie il contratto collettivo di settore poneva l'obbligo, gravante sull'impresa subentrante, di assumere il personale dell'impresa cessata nelle stesse mansioni e senza patto di prova. L'accertamento di eguaglianza effettiva delle mansioni è riservata al sovrano apprezzamento del giudice di merito, senza che una nuova valutazione delle prove possa essere sollecitata - come fa l'attuale ricorrente -, anche sotto il profilo del vizio di motivazione, da questa Corte di legittimità. Il quarto motivo di ricorso, con cui la ricorrente prospetta la violazione dell'articolo 18, quarto comma, l. numero 300 del 1970, è infondato poiché la sottrazione dell'aliunde perceptum dall'indennità risarcitoria dovuta al lavoratore presuppone la relativa prova da parte del datore di lavoro, che nel presente processo non è stata fornita. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali in Euro cento/00, oltre ad Euro tremila/00 per compenso professionale più accessori di legge. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater, d.P.R. numero 115 del 2002 da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.