Il risarcimento del danno implica la detraibilità dell’aliunde perceptum

L’obbligazione del cedente che non proceda al ripristino del rapporto di lavoro, per inefficacia della cessione del ramo d’azienda, deve essere qualificata come risarcimento del danno e di conseguenza deve essere detratta la retribuzione eventualmente percepita dai lavoratori alle dipendenze della società cessionaria.

Così ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 17184/15, depositata il 26 agosto. Il caso. Il Tribunale di Roma dichiarava inefficace la cessione da parte di una società del ramo d’azienda cui erano addetti i lavoratori intimati e condannava la cedente al ripristino dei rapporti di lavoro. Nell’inottemperanza della società, i lavoratori continuavano a lavorare per la società cessionaria ed ottenevano dal Tribunale di Roma decreti ingiuntivi con i quali si intimava la cedente a pagare le retribuzioni maturate. In seguito, il Tribunale di Roma accoglieva l’opposizione ai decreti ingiuntivi. La Corte d’appello di Roma accoglieva il gravame dei lavoratori, riconfermando i decreti opposti. La società cedente ricorre allora per cassazione, rimproverando alla Corte territoriale di aver ritenuto valida la messa in mora della società cedente da parte dei lavoratori, benché essi non potessero adempiere validamente continuando a lavorare presso la cessionaria del ramo d’azienda, ricevendo regolare retribuzione. La detrazione dell’aliunde perceptum in caso di risarcimento del danno. Si tratta, per i giudici di legittimità, di verificare la sussistenza del diritto di credito in capo ai lavoratori. Gli Ermellini ricordano che, essendo il contratto di lavoro un contratto a prestazioni corrispettive, la mancata prestazione lavorativa esclude il diritto al corrispettivo e determina, in capo al datore di lavoro che ne è responsabile, l’obbligo di risarcire i danni. Trattandosi di risarcimento del danno, soccorrono i normali criteri stabiliti per i contratti in genere e di conseguenza, deve essere decurtato l’ aliunde perceptum che il lavoratore può aver conseguito svolgendo un’altra attività lucrativa. Come affermato in una sentenza del 2008 Cass., n. 1970/08 e ribadito in recenti decisioni Cass., n. 8514/15 , l’obbligazione del cedente che non proceda al ripristino del rapporto di lavoro deve essere qualificata come risarcimento del danno, con la conseguente detraibilità dell’ aliunde perceptum . Nel caso di specie, essendo pacifico che i lavoratori avessero continuato a lavorare presso la società cessionaria, che per questo li aveva retribuiti, a loro spettava dedurre e provare i danni subiti, tra cui la minor retribuzione rispetto al compenso che avrebbero ricevuto se avessero lavorato alle dipendenze della società cedente. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e nel merito, accoglie l’opposizione e revoca il decreto opposto.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, sentenza 19 maggio – 26 agosto 2015, n. 17184 Presidente Curzio – Relatore Mancino Svolgimento del processo e motivi della decisione 1. Il Tribunale di Roma dichiarava l'inefficacia della cessione da Telecom Italia S.p.A. a HP DCS s.p.a. del ramo d'azienda cui erano addetti gli attuali lavoratori intimati e condannava la cedente a ripristinare i rapporti di lavoro. 2. Telecom Italia S.p.A. non ottemperava all'ordine di ripristinare il rapporto di lavoro malgrado la formale offerta della prestazione ed i lavoratori, che continuavano a lavorare per la società cessionaria, chiedevano ed ottenevano, dal Tribunale di Roma, decreti ingiuntivi con i quali si intimava a Telecom il pagamento delle retribuzioni maturate. 3. L'opposizione proposta avverso i decreti ingiuntivi veniva accolta dal Tribunale di Roma. 4. La Corte d'appello di Roma accoglieva il gravame svolto dai lavoratori e per l'effetto rigettava l'opposizione e confermava i decreti opposti. 5. Ad avviso della Corte territoriale a seguito della sentenza con cui viene dichiarata l'illegittimità del trasferimento d'azienda con i connessi rapporti di lavoro, questi devono intendersi ricostituiti ex tutte alle dipendenze del cedente, con conseguente diritto alla retribuzione per il periodo successivo alla sentenza medesima, senza possibilità di detrazione dell'aliunde perceptum, che rileva solo ai fini della quantificazione del danno risarcibile. 6. Telecom Italia s.p.a. ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza, affidato a due motivi. 7. I lavoratori intimati hanno resistito con controricorso. 8. Le parti hanno depositato memorie ex articolo 378 c.p.c 9. Parte ricorrente deduce violazione degli artt. 431, 337, 282 c.p.c. per avere i ricorrenti agito in primo grado sulla base di sentenze non definitive primo motivo violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1206 e 1207 c.c. ed addebita alla Corte d'appello di avere ritenuto valida la messa in mora di Telecom da parte dei lavoratori, nonostante che essi non potessero validamente adempiere continuando a lavorare presso la cessionaria del ramo d'azienda, percependone la regolare retribuzione secondo motivo . 10. Il ricorso è qualificabile come manifestamente fondato tenuto conto della giurisprudenza di questa Corte formatasi con riferimento alla medesima vicenda delle cessioni ritenute illegittime di rami d'azienda da parte della Telecom v., fra le altre, Cass. 8514/2015 . 11. Il secondo motivo deve essere esaminato per primo, in quanto ha ad oggetto la sussistenza del diritto di credito azionato dai lavoratori con i decreti ingiuntivi opposti. 12. Il motivo appare fondato e pertanto va accolto. 13. Come già ritenuto da questa Corte in recenti decisioni v., fra le altre, Cass. 8514/2015 , la questione degli effetti della dichiarazione di nullità della cessione di ramo d'azienda è stata affrontata da questa Corte nella sentenza n. 19740 del 2008, cui occorre dare continuità, che ha ritenuto che l'obbligazione del cedente che non proceda al ripristino del rapporto di lavoro deve essere qualificata come risarcimento del danno, con la conseguente detraibilità dell’aliunde perceptum. 14. Costituisce infatti un principio che si è andato consolidando nell'elaborazione di questa Corte quello secondo il quale il contratto di lavoro è un contratto a prestazioni corrispettive nel quale l'erogazione del trattamento economico in mancanza di lavoro costituisce un'eccezione, che deve essere oggetto di un'espressa previsione di legge o di contratto, ciò che avviene ad esempio nei casi del riposo settimanale articolo 2108 cod. civ. e delle ferie annuali articolo 2109 cod. civ. . 15. In difetto di un'espressa previsione in tal senso, la mancanza della prestazione lavorativa dà luogo anche nel contratto di lavoro ad una scissione tra sinallagma genetico che ha riguardo al rapporto di corrispettività esistente tra le reciproche obbligazioni dedotte in contratto e sinallagma funzionale che lega invece le prestazioni intese come adempimento delle obbligazioni dedotte che esclude il diritto alla retribuzione - corrispettivo e determina, a carico del datore di lavoro che ne è responsabile, l'obbligo di risarcire i danni, eventualmente commisurati alle mancate retribuzioni. 16. Proprio perché si tratta di un risarcimento del danno - ed in assenza di una disciplina specifica per la determinazione del suo ammontare - soccorrono i normali criteri fissati per i contratti in genere, con la conseguenza che dev'essere detratto l’aliud perceptum che il lavoratore può aver conseguito svolgendo una qualsivoglia attività lucrativa. 17. Tali principi sono stati affermati da questa Corte in relazione a fattispecie che, seppure diverse da quella che ci occupa, sono a questa pienamente assimilabili sotto il profilo esaminato, quali gli intervalli non lavorati nel caso di successione di una pluralità di contratti a termine, nei quali l'apposizione della clausola sia stata ritenuta illegittima Cass. S.U. n. 2334 del 5 marzo 1991, Sez. L, n. 9464 del 21/04/2009 , la dichiarazione di nullità del licenziamento orale Cass. Sez. U,n. 508 del 27/07/1999 , la dichiarazione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro con accertamento della giuridica continuità dello stesso Cass. Sez. L. n. 4677 del 2006, Sez. L, n. 15515 del 02/07/2009 , l'accertamento della nullità di clausola del contratto collettivo prevedente l'automatica cessazione del rapporto di lavoro al raggiungimento della massima anzianità contributiva con conseguente accertamento della continuità giuridica del rapporto di lavoro Sez. U, n. 12194 del 13/08/2002 e successive conformi tra cui ex multis Sez. L, n. 11758del 01/08/2003, Sez. L, n. 13871 del 14/06/2007, Sez. L. n. 14387 del 2000 . 18. La qualificazione in termini risarcitoti delle erogazioni patrimoniali a carico del datore di lavoro come conseguenza dell'obbligo di ripristino del posto di lavoro illegittimamente perduto risulta peraltro influenzata, in maniera decisiva, dalle modifiche introdotte dalla L n. 108 del 1990, articolo 1 alla L. n. 300 del 1970, articolo 18 che ha unificato quanto dovuto per i periodi anteriore e posteriore alla sentenza che dispone la reintegrazione sotto il comune denominatore dell'obbligo risarcitorio così Cass. Sez. L, Sentenza n. 4943 del 01/04/2003 e successive plurime conformi tra cui v. Sez. L, n. 16037 del 17/08/2004, Sez. L, n. 26627 del 13/12/2006 ,con la conseguente detraibilità dell'aliunde perceptum. 19. Tale principio di diritto è stato ribadito con specifico riferimento a fattispecie identiche a quella oggi in esame nel caso di cessione di ramo d'azienda da parte della Telecom ritenuto inefficace, ma con pagamento delle retribuzioni da parte del cessionario in numerosi precedenti di questa Corte cfr. Cass. nn. 19490, 16095, 19228 del 2014 e numerosissime altre . 20. A quanto detto consegue che nel caso in esame, pacifico essendo che i lavoratori hanno continuato a prestare l'attività lavorativa alle dipendenze della cessionaria, venendone retribuiti, a loro incombeva l'onere che non risulta essere stato assolto di dedurre e dimostrare i danni sofferti, tra i quali l'inferiorità di quanto ricevuto rispetto alla retribuzione che sarebbe loro spettata alle dipendenze della società cedente. 21. La fondatezza del secondo motivo di ricorso ne determina l’accoglimento, con assorbimento dell'ulteriore motivo, risultando infondata la pretesa azionata con il decreto ingiuntivo opposto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ex articolo 384, primo comma, c.p.c., con l'accoglimento dell'opposizione e la revoca del decreto opposto. 22. L'esito alterno dei giudizi di merito consiglia la compensazione delle spese dei gradi di merito le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. 23. Non sussistono i presupposti, ex articolo 13, comma 1-quater, d.P.R. 115/2002, per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, accoglie l'opposizione e revoca il decreto opposto. Compensa tra le parti le spese dei giudizi di merito e condanna le parti intimate al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00, oltre Euro 100,00 per esborsi e rimborso forfetario in misura del quindici per cento.