Al lavoratore indennità omnicomprensiva e scatti di anzianità

L’indennità prevista dall’art. 32 del Collegato Lavoro risarcisce il danno subito per il mancato lavoro e lo risarcisce in tutte le sue conseguenze – retributive e contributive – in tal senso è omnicomprensiva. Essa non riguarda il periodo o i periodi di tempo lavorati, in relazione ai quali non ha ragion d’essere alcun risarcimento del danno, ma questi sono comunque computati ai fini dell’anzianità di servizio e, quindi, della maturazione degli scatti.

Così ha deciso la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 15480/15, depositata il 23 luglio. Il contratto a tempo determinato prima e dopo il c.d. Collegato Lavoro. La l. n. 183/2010, c.d. Collegato Lavoro, segna uno spartiacque nella tutela del lavoratore in seguito alla dichiarazione di illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro. Prima del Collegato Lavoro, nel caso in cui di accertamento dell’illegittimità del termine, il giudice ordinava la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, con conseguente riammissione in servizio del lavoratore, che aveva diritto a percepire tutte le retribuzioni maturate dal momento della cessazione del contratto sino all’effettiva riammissione in servizio. Le retribuzioni dovevano essere comunque versate, anche nel caso in cui il datore di lavoro non avesse consentito la ripresa dell’attività lavorativa. Con il Collegato Lavoro, l’unica tutela rimasta invariata è la riammissione in servizio a seguito della conversione del contratto di lavoro. Per quanto riguarda il risarcimento del danno, invece, l’art. 32 ha previsto un’indennità omnicomprensiva, nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, il cui ammontare va quantificato in considerazione dei criteri d cui all’art. 8 l. n. 604/1966, vale a dire numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’azienda, anzianità di servizio del lavoratore, al comportamento ed alle condizioni delle parti. La ratio di una simile scelta risiede nel commisurare il risarcimento al solo danno da non lavoro, senza far dipendere la sua quantificazione da elementi esterni al rapporto di lavoro, quali, ad esempio, il tempi di impugnazione del contratto ed i tempi della giustizia. L’indennità ex art. 32 omnicomprensiva e forfettizzata. Il radicale cambio di tutela risarcitoria ha, comprensibilmente, dato luogo a dubbi interpretativi, risolti in parte con la l. n. 92/2012, c.d. legge Fornero. L’art 13, comma 1, l. n. 92/2012, infatti, prevede che il citato art. 32 si interpreti nel senso che l’indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive, relative al periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con cui il giudice abbia ordinato la ricostruzione del rapporto di lavoro. In altri termini, l’indennità ex art. 32 comprende le voci contributive e retributive relative al periodo non lavorato e forfettizza il risarcimento per questo stesso periodo. L’indennità è volta al risarcimento del danno derivante dalla perdita del lavoro, dovuta ad un contratto a termine illegittimo. Si tratta, quindi, di un danno da mancato lavoro. La norma di interpretazione autentica parla di pregiudizio” sottolineando come il versamento dell’indennità sia strettamente correlato ad un danno ingiusto , che nel caso di contratto a termine illegittimo non può che essere il danno da mancato lavoro. Periodo di lavoro e periodi di non lavoro. Il caso sottoposto all’attenzione della Corte di Cassazione riguarda l’illegittimità di una serie di contratti a termine, ipotesi non espressamente prevista dal legislatore. La Suprema Corte specifica che la tutela prevista per l’illegittimità del termine posto ad un solo contratto debba necessariamente estendersi anche all’ipotesi di sequenza di contratti a termine illegittimi, ciò in considerazione della comunanza di ratio e, quindi, di tutela. La tutela introdotta con il Collegato Lavoro distingue i periodi di lavoro dai periodi di non lavoro. Come detto sopra, l’indennità omnicomprensiva è diretta a ristorare il danno da mancato lavoro e, pertanto, si riferisce solo ai periodi non lavorati, mentre per quanto riguarda i periodo lavorati resta fermo il diritto a percepire la retribuzione, completa delle voci contributive ed assistenziali, oltre che della maturazione dell’anzianità di servizio. La maturazione dell’anzianità di servizio e dei relativi scatti è, infatti, logica conseguenza del diritto alla retribuzione. Poiché per il periodo lavorato il lavoratore ha diritto alla giusta retribuzione, allora egli matura altresì l’anzianità di servizio, senza soluzione di continuità. Se non vi fosse tale maturazione, si darebbe luogo ad un’ingiustificata discriminazione tra i lavoratori a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato posto che la riammissione in servizio è conseguenza della conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, non v’è motivo di escludere gli scatti di anzianità per i lavoratori precari”, riammessi in servizio.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 19 maggio – 23 luglio 2015, n. 15480 Presidente Curzio – Relatore Marotta Fatto e diritto 1 - Considerato che è stata depositata relazione del seguente contenuto Il Tribunale di Tempio, in parziale accoglimento della domanda proposta da D.B.M. nei confronti di Meridiana S.p.A. e di Meridiana Fly S.p.A. cui medio tempore era stato ceduto il ramo di azienda comprendente tutte le attività connesse al volo , accertava la nullità del termine apposto ai contratti stipulati dal ricorrente con Meridiana dal 1995 al 2001 e dichiarava la sussistenza tra le parti di un rapporto a tempo indeterminato sin dal primo contratto condannando dette società al pagamento di sette mensilità globali di fatto. Il Tribunale non si pronunciava sulla domanda diretta ad ottenere la ricostruzione della carriera ed il pagamento delle conseguenti differenze retributive connesse all'anzianità man mano maturata durante i vari rapporti a termine, dunque in costanza di questi. Avverso tale decisione proponeva appello il D.B. la Corte di appello di Cagliari - sez. distaccata di Sassari - respingeva il gravame del lavoratore. Riteneva la Corte territoriale che non potessero essere riconosciute le maggiorazioni retributive e contributive derivanti dall'anzianità lavorativa per tutti i periodi dei contratti a termine effettivamente lavorati al pari di quelli non lavorati in ragione della onnicomprensività dell'indennità ex art. 32 della legge n. 183 del 2010 che esclude qualunque altra possibilità di risarcimento o di danni risarcibili con riferimento al periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia del giudice che abbia ordinato la ricostituzione del rapporto. Per la cassazione di tale decisione propone ricorso D.B.M. affidato a due motivi. Meridiana Fly S.p.A. resiste con controricorso. Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 32, comma 5, della l. n. 183/2010, dell'art. 1, comma 13, della l. n. 92/2012 nonché violazione degli art. 5 della l. n. 230/1962 e 6 d.lgs. n. 368/2001, della clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinate del 18/3/1999 contenuto in allegato alla direttiva del Consiglio delle Comunità Europee 1999/70/CE relative all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP e violazione dell'art. 3 e 117 della Costituzione, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ Rileva il ricorrente che la decisione della Corte territoriale è in palese contrasto con il principio di parità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato. Evidenzia che l'onnicomprensività dell'indennità di cui all'art. 32 della legge n. 183/2010, come pure interpretata dall'art. 1, comma 13, della legge n. 92/2012, non può che riferirsi ai soli periodi non lavorati che vanno dalla scadenza del termine alla sentenza che ricostituisce il rapporto e non anche a quelli lavorati. Con il secondo motivo si deduce la violazione del D.M. 8 aprile 2004, n. 127, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., omessa o insufficiente motivazione ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ. e violazione degli artt. 112, 132 e 279 cod. proc. civ. in relazione all'art. 360, nn. 3, 4 e 5, cod. proc. civ. ed all'art. 161 cod. proc. civ Si duole della conferma liquidazione delle competenze legali relative al giudizio di primo grado come operata dal Tribunale complessivi Euro 1.800,00 di cui Euro 1.000,00 per onorari ed Euro 800,00 per diritti che aveva formato oggetto di specifico motivo di gravame ed in particolare della valutazione della controversia quale controversia seriale. Il primo motivo è fondato alla luce dell'orientamento espresso da questa Corte nelle recenti pronunce nn. 2492, 2493, 2494 del 10 febbraio 2015 nn. 2343, 2344, 2345, 2346, 2347 del 9 febbraio 2015 nn. 2291, 2292, 2293, 2297, 2298, 2299, 2300, 2301 del 6 febbraio 2015 nn. 1940,1941, 1942, 1943, 1944, 1945, 1946,1947 del 3 febbraio 2015, nn. 552, 553, 554, 555, 556, 557, 559, 559, 560, 561, 562, 563 del 15 gennaio 2015 262 del 12 gennaio 2015. L'art. 32 della legge n. 183 del 2010 ha modificato il regime della tutela del lavoratore assunto con un contratto a termine illegittimo. Il precedente assetto era così organizzato nel caso in cui si accertasse l'illegittimità del termine, il giudice doveva ordinare la riammissione in servizio del lavoratore, con conseguente diritto a percepire le retribuzioni anche qualora il datore di lavoro non consentisse la ripresa del lavoro. Questa prima fondamentale conseguenza è rimasta immutata. Anche dopo la legge n. 183 del 2010 e la legge di interpretazione autentica, la sentenza che accerta l'illegittimità del termine converte il contratto a termine in contratto a tempo indeterminato e dispone la riammissione del lavoratore in servizio. Da quel momento il lavoratore avrà diritto a percepire le retribuzioni tanto se il datore di lavoro adempie, quanto se non adempie in questo secondo caso a titolo di risarcimento del danno commisurato al pregiudizio economico derivante dal rifiuto di assunzione cfr. Cass. 11 aprile 2013, n. 8851 ma v. anche Corte cost. 30 luglio 2014, n. 226 . Con riferimento, invece, al periodo che precede la sentenza, il quadro è parzialmente cambiato. Nel regime previgente mancava una norma che regolasse specificamente questo profilo e la regolamentazione venne delineata in base ai principi generali del diritto civile e del lavoro. Fondamentale fu la sentenza delle Sezioni unite 5 marzo 1991, n. 2334, che risolse il contrasto tra due orientamenti quello che riteneva che al lavoratore spettassero tutte le retribuzioni pregresse e quello che invece riteneva che il lavoratore avesse diritto alle retribuzioni pregresse solo se e a decorrere dal momento in cui avesse messo a disposizione del datore di lavoro le sue energie lavorative. È bene ricordare che la diversità dei due orientamenti concerneva il diritto alla retribuzione per gli intervalli non lavorati tra un contratto a termine e l'altro, in caso di sequenza di contratti a termine, mentre nessuna delle sentenze in conflitto negava che spettasse la retribuzione per i periodi di lavoro effettuati nella sequenza di contratti a termine. Le Sezioni unite ritennero che il problema concernente i periodi non lavorati, non trovasse soluzione in una norma specifica, come invece avveniva nella materia affine ma non identica dei licenziamenti illegittimi con l'art. 18 St. lav., e dovesse quindi essere risolto in base ai principi generali dell'ordinamento. Affermarono che il principio regolatore della materia, data la natura sinallagmatica del rapporto di lavoro, fosse quello della corrispettività tra lavoro e retribuzione e che non potesse esservi retribuzione in assenza della prestazione lavorativa. Per questa ragione ritennero non fondato l'orientamento che riconosceva tutte le retribuzioni pregresse per i periodi non lavorati, ed invece fondato quello che le riconosceva, ma solo a condizione ed a far tempo da un eventuale atto di messa a disposizione delle energie lavorative da parte del lavoratore. Queste conclusioni hanno guidato la giurisprudenza dei decenni successivi. Le Sezioni unite si espressero anche sui periodi lavorati e precisarono che l'unificazione del rapporto di lavoro comporta, a prescindere dalle eventuali spettanze, nei limiti anzidetti, per gli intervalli non lavorati, un ricalcolo delle spettanze per i periodi lavorati una volta considerati inseriti nell'unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con conseguente applicazione degli istituti propri di questo quali, ad esempio, gli aumenti di anzianità, la misura del periodo di comporto, la misura del periodo di preavviso, e determina comunque sicuri vantaggi per il lavoratore quali l'acquisizione della corrispondente anzianità, quanto meno per sommatoria dei periodi lavorati. Il quadro regolativo è cambiato con la legge n. 183 del 2010, ma come si vedrà, il cambiamento riguarda solo i periodi non lavorati. L'art. 32, quinto comma, così si esprime nei casi di conversione del contratto a tempo indeterminato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore, stabilendo un'indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604. L'art. 1, comma 13, della legge n. 92 del 2012, ha sancito che detta norma si interpreta nel senso che l'indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostruzione del rapporto di lavoro. Dalla norma si desume che l'indennità è volta al risarcimento del lavoratore. Quindi concerne un danno subito dal lavoratore e cioè il danno derivante dalla perdita del lavoro dovuta ad un contratto a termine illegittimo, un danno da mancato lavoro. La norma di interpretazione autentica afferma che l'indennità ristora un pregiudizio ribadendo, ancor più esplicitamente, che è correlata ad un danno, un pregiudizio, derivante dalla perdita del lavoro e che essa onnicomprensiva perché ristora per intero le conseguenze retributive e contributive di quel danno da mancato lavoro. Quindi tutti i danni sul piano retributivo e contributivo che sono conseguenza, cioè sono legati da un nesso di causalità con la perdita del lavoro. Se l'indennità serve a risarcire le conseguenze retributive e contributive del danno da mancato lavoro è evidente che il legislatore considera solo i periodi di non lavoro ai fini di tale risarcimento. Ed infatti esclude dal computo il periodo sino alla scadenza del termine, che è periodo di lavoro, in cui il lavoratore è stato retribuito e quindi non ha subito, né può subire conseguenze negative sul piano retributivo o contributivo. In tale periodo la retribuzione è dovuta e detto periodo si computa ai fini degli effetti riflessi e dell'anzianità di servizio. L'anzianità di servizio maturata in questo periodo lavorato, vale a tutti gli effetti. Rileva persino per la quantificazione della indennità volta a risarcire il danno derivante dalla perdita del lavoro, perché è uno dei criteri indicati dall'art. 8 della legge 604 del 1966, richiamati dall'art. 32, quinto comma, della legge 183 del 2010. Il problema oggetto della presente controversia deriva dal fatto che il datore di lavoro ha stipulato con il lavoratore non un unico contratto a termine, ma una serie di contratti a termine. Il legislatore non ha espressamente considerato questo caso, ma l'interpretazione logico-sistematica della norma impone di ritenere che, se è estraneo al risarcimento il periodo del primo contratto a termine, lo saranno anche i periodi lavorati in successivi contratti a tempo determinato. Sarebbe assurdo affermare che per questi periodi la retribuzione non spetti e sia assorbita nella indennità, ma è patimenti contrario alla logica della norma ritenere che questi periodi di lavoro è come se non fossero stati effettuati e non rilevino ai fini dell'anzianità di servizio e delle sue implicazioni economiche. Questi periodi non possono non avere lo stesso trattamento giuridico del periodo di lavoro per il primo contratto a termine in quanto, al pari del primo, sono estranei al danno determinato dal non lavoro, quindi estranei alla indennità prevista dal legislatore per risarcire le conseguenze retributive e contributive di quel pregiudizio. Il risarcimento riguarderà solo i periodi di non lavoro. Solo per questi periodi vi è un danno da risarcire e un pregiudizio da ristorare. Pertanto l'indennità prevista dall'art. 32, risarcisce il danno subito per il mancato lavoro e lo risarcisce in tutte le sue conseguenze retributive e contributive, in tal senso è onnicomprensiva. Mentre non riguarda il periodo in caso di un unico contratto a termine o i periodi di lavoro in caso di più contratti a termine . I diritti relativi a questi periodi non possono essere intaccati e inglobati nell'indennizzo forfetizzato del danno causato dal non lavoro. Per questi periodi non vi è niente da risarcire ed il risarcimento mediante indennizzo non può, in una sorta di eterogenesi dei fini, risolversi nella contrazione di diritti legati da un rapporto di corrispettività con la prestazione lavorativa effettuata. Questa ricostruzione è in continuità con quanto affermato nelle prime sentenze sull'art. 32, come interpretato dalla legge n. 92 del 2012. In particolare, Cass. n. 15265 del 12 settembre 2012, nell’enucleare il principio di diritto parla di indennità forfetizzata ed onnicomprensiva per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo considerato intermedio. Forfetizzazione dei danni determinatisi nel periodo intermedio, significa che l'indennizzo non incide sui diritti maturati in quel periodo nella parte del rapporto che non ha determinato danni non tocca le retribuzioni per i periodi lavorati e gli effetti riflessi di tali retribuzioni, né tocca l'anzianità lavorativa maturata in tale o in tali periodi. La medesima pronuncia afferma legittimamente la sentenza impugnata ha considerato nell'anzianità lavorativa e retributiva tutti i periodi effettivamente lavorati, da sommarsi a quelli successivi alla formale assunzione a tempo indeterminato, in ragione del principio ripetutamente affermato da questa Corte Cass., sez. un., 5 marzo 1991, n. 2334 e succ. . L'affermazione è netta ed è esplicito il richiamo alla sentenza delle Sezioni unite che, come si è visto, affermò che nel caso di trasformazione, in unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, di più contratti a termine succedutisi fra le stesse parti, per effetto dell'illegittimità dell'apposizione del termine, gli intervalli non lavorati fra l'uno e l'altro rapporto, in difetto di un obbligo del lavoratore di continuare ad effettuare la propria prestazione o di tenersi disponibile ad effettuarla, non implicano il diritto alla retribuzione . e nemmeno sono computabili come periodi di servizio, mentre i periodi lavorati danno diritto alla retribuzione e sono rilevanti ai fini della maturazione degli scatti di anzianità. Quest'ultimo profilo dell'assetto dato dalle Sezioni unite del '91 alla materia - sottolinea la sentenza del 2012 - va oggi pienamente riaffermato non essendo stato scalfito minimamente dallo ius superveniens costituito dalla legge 183 del 2010. Le più recenti Cass. 16 giugno 2014, n. 13630 e Cass. 17 giugno 2014, n. 13732 hanno fissato il seguente principio di diritto L'art. 32, quinto comma, della legge n. 183 del 2010 commisura l'indennità, dovuta nei casi di conversione, all'ultima retribuzione globale di fatto, così riferendosi al danno subito dal lavoratore, ossia alla perdita della retribuzione ed accessori per essere stato allontanato dal proprio posto di lavoro nel periodo compreso tra l'allontanamento e la sentenza di merito. L'espressione onnicomprensiva, adoperata dal legislatore con riferimento all'indennità, si riferisce soltanto al danno ora detto, e non a quanto spetta al lavoratore per eventuale ricostruzione della carriera, una volta unificati i diversi rapporti a tempo determinato in un unico rapporto a tempo indeterminato. In questo principio di diritto è detto chiaramente che l'indennizzo onnicomprensivo copre soltanto il danno derivante dall'allontanamento dal lavoro e quindi il danno subito per il non lavoro nel periodo o nei periodi non lavorati. Il che ancora una volta conferma che i diritti per i periodi in cui si è prestato lavoro non vanno ricompresi nell'indennità risarcitoria perché non sono stati danneggiati, sono fuori dal perimetro del danno e quindi del risarcimento. Quanto alle conseguenze giuridiche di tale assetto sull'anzianità, la Corte in queste ultime sentenze aggiunge, e non potrebbe essere più chiara, che L'espressione onnicomprensiva, adoperata dal legislatore con riferimento all'indennità, si riferisce soltanto al danno ora detto, e non a quanto spetta al lavoratore per eventuale ricostruzione della carriera, una volta unificati i diversi rapporti a tempo determinato in un unico rapporto a tempo determinato. In conclusione, nonostante i problemi lessicali derivanti dal fatto che probabilmente il legislatore ha configurato l'indennità avendo presente il caso, statisticamente più frequente, della stipulazione di un unico contratto a termine, deve affermarsi che l'indennità prevista dall'art. 32 legge 183 del 2010 ristora in generale il danno subito dal lavoratore per l'allontanamento dal lavoro, tanto se questo sia stato unico, quanto se sia stato ripetuto. Per tali periodi di non lavoro, mentre prima il lavoratore aveva diritto ad essere comunque retribuito a decorrere dalla messa a disposizione delle energie lavorative pur non avendo lavorato, oggi è prevista solo l'indennità da un minimo di 2,5 ad un massimo di 12 mensilità. Al contrario, per il periodo di lavoro o i periodi di lavoro, in caso di sequenza di contratti il lavoratore ha diritto ad essere retribuito ed ha diritto a che tale periodo o tali periodi siano computati ai fini della anzianità di servizio e, quindi, della maturazione degli scatti di anzianità. Questa interpretazione del quinto comma dell'art. 32 della l. n. 183 del 2010 è la più coerente sul piano logico sistematico. Si coordina con i tratti del sistema delineato dalle Sezioni unite che, come si è visto e come hanno sottolineato le decisioni del 2012, sotto questo profilo rimangono fermi, ed è in continuità con i primi interventi di questa Corte successivi alla modifica legislativa. È coerente con i principi espressi dall'art. 5 della legge n. 230 del 1962 e dall'art. 6 del decreto legislativo n. 368 del 2001, nonché con i principi costituzionali e del diritto dell'Unione Europea in particolare con il principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato, anche e specificamente in ordine all'anzianità di servizio, affermato con la Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato. La Corte territoriale non si è attenuta agli indicati principi. Il secondo motivo non è fondato. La parte che censuri la sentenza di primo grado, lamentando una liquidazione inferiore al dovuto ed al di sotto dei minimi in relazione alla natura e valore della causa ha l'onere di fornire al giudice di appello gli elementi essenziali per la rideterminazione del compenso spettante al professionista, indicando, in maniera specifica ed analitica, gli importi e le singole voci riportate nella nota spese prodotta in primo grado solo in presenza della quale il giudice non può limitarsi ad una globale determinazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato in misura inferiore a quelli esposti, ma ha l'onere di dare adeguata motivazione dell'eliminazione e della riduzione di voci da lui operata . In mancanza delle suddette indicazioni - cui la parte non può ovviare ex post con la riproduzione in sede di ricorso per cassazione della nota spese è da presumere che la liquidazione sia avvenuta con riferimento a quel che risulta dagli atti, quanto alla corrispondenza fra l'attività svolta dal difensore e la somma spettante a titolo di spese, diritti ed onorari cfr. Cass. 9 luglio 2009, n. 16149 si vedano anche Cass. 27 marzo 2013, n. 7654 Cass. 4 luglio 2011, n. 14542 Cass. 9 luglio 2009, n. 16149 Cass. 19 giugno 2009, n. 14455 . Nella specie, dal motivo di appello, come risultante dal ricorso per cassazione pag. 23 , si evince che il ricorrente si era lamentato della incongruità della liquidazione delle spese opponendo un preteso importo complessivo di diritti ed onorari redatto con la considerazione dei valori medi dello scaglione di riferimento indicato in quello di valore compreso tra Euro 51.700,00 ed Euro 103.300,00 . Non risulta, però, che l'appellante avesse precisato nel ricorso al giudice del gravame le voci singolarmente determinanti il suddetto importo complessivo né invero risulta se e quando la relativa nota spese fosse stata sottoposta al giudice di primo grado. Neppure, invero, era stata espressamente dedotta, in sede di appello, una liquidazione degli onorari in misura inferiore ai minimi delle tariffe professionali così come innanzi al giudice di appello non era stata specificamente censurata la determinazione quantitativa dei diritti e degli onorari con riferimento a tutti i parametri tariffati rilevanti. Il devolutum , dunque, era stato circoscritto alla sola incongruità della liquidazione tanto dei diritti quanto degli onorari senza che il giudice di appello fosse messo in condizione di rilevare l'eventuale specifico errore. Anche in questa sede di legittimità ove per la prima volta il ricorrente si duole di una liquidazione al di sotto dei minimi di cui alla tariffe professionali ratione temporis vigenti è mancato ogni elemento per valutare l'espletamento di determinate attività difensive svolte a favore della parte, nonché per l'individuazione dell'esatto scaglione tariffario di riferimento in ragione del valore complessivo della lite sulla base del contenuto effettivo della decisione criterio del decisum . Tali considerazioni, unitamente al rilievo che la determinazione degli onorari di avvocato costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice che, se contenuto tra il minimo e il massimo della tariffa, non richiede specifica motivazione e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità, se non quando l'interessato specifichi le singole voci della tariffa che assume essere state violate cfr. in tal senso Cass. 23 maggio 2002, n. 7527 Cass. 22 giugno 2004, n. 11583 Cass. 11 gennaio 2006, n. 270 , precludono a questa Corte una positiva delibazione della doglianza. In conclusione, si propone l'accoglimento del primo motivo di ricorso ed il rigetto del secondo la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Cagliari che deciderà la causa attenendosi al principio di diritto enunciato nelle sopracitate decisioni ed in particolare in Cass. n. 262 del 12 gennaio 2015 Nel caso di trasformazione, in unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, di più contratti a termine succedutisi fra le stesse parti, per effetto dell'illegittimità dell'apposizione del termine, l'indennità risarcitoria, dovuta ai sensi dell'art. 32, comma 5, della legge 4 novembre 2010, n. 183, ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprendendo tutti i danni - retributivi e contributivi - causati dalla perdita del lavoro a causa dell'illegittima apposizione del termine, con riferimento agli intervalli non lavorati fra l'uno e l'altro rapporto a termine al contrario, i periodi lavorati, non solo nel primo, ma anche nei successivi contratti del periodo intermedio, una volta inseriti nell'unico rapporto a tempo indeterminato, fanno parte della anzianità lavorativa e retributiva e devono essere considerati ai fini della quantificazione degli aumenti periodici di anzianità , il tutto con ordinanza, ai sensi dell'art. 375 cod. proc. civ., n. 5”. 2 - Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla consolidata giurisprudenza di legittimità in materia e non scalfite dalla memoria ex art. 380 bis cod. proc. civ. con la quale le società insistono perché venga rimessa alle Sezioni Unite di questa Corte la questione relativa all'ambito di operatività ed alla corretta lettura dell'art. 32, 5 comma, della legge n. 183/2010, per come chiarito ed interpretato dall'art. 1, 13 comma, della legge n. 92/20102 , sulla base di un evidenziato contrasto tra decisioni delle sezioni semplici. Non si ravvisa, infatti, alcuna opportunità di rimettere gli atti al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, atteso che non ricorrono i presupposti per tale rimessione, a fini di nomofilachia. L'orientamento giurisprudenziale espresso nei termini esposti è in continuità, come già detto nella relazione che precede, con Cass. 15265 del 2012 richiamante i principi già affermati da Cass., sez. un., 5 marzo 1991, n. 2334 che ha delineato i tratti del sistema risarcitorio ed altre decisioni coeve. Quanto alle decisioni invocate dalla società Cass. n. 13630/2014 e Cass. n. 13732/2014 nelle quali, secondo l'opzione interpretativa espressa in memoria, sarebbe stato affermato un principio di diritto che non potrebbe che avere un unico ed inequivocabilmente significato e cioè che gli scatti di anzianità, eventualmente maturati nel periodo cosiddetto intermedio, non sono dovuti, restando assorbiti nell'indennità risarcitoria , è sufficiente ancora richiamare il principio di diritto affermato anche in tali sentenze, del seguente tenore La L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5 commisura l'indennità, dovuta nei casi di conversione del contratto a tempo indeterminato, all'ultima retribuzione globale di fatto, così riferendosi al danno subito dal lavoratore, ossia alla perdita della retribuzione ed accessori , per essere stato allontanato dal proprio posto nel periodo compreso tra l'allontanamento e la sentenza di merito. L'espressione onnicomprensiva, adoperata dal legislatore con riferimento all'indennità, si riferisce soltanto a detto danno e non a quanto spetti al lavoratore per eventuale ricostruzione della carriera, una volta unificati i diversi rapporti a tempo determinato in un unico rapporto a tempo indeterminato . In definitiva, come già affermato da Cass. nn. 13630 e 13732 del 2014, cui hanno dato continuità, da ultimo, Cass. n. 262/2015 e numerose decisioni coeve conformi, l'indennità prevista dall'art. 32, risarcisce il danno subito per il mancato lavoro e lo risarcisce in tutte le sue conseguenze retributive e contributive, in tal senso è onnicomprensiva. Mentre non riguarda il periodo in caso di un unico contratto a termine o i periodi di lavoro in caso di più contratti a termine . I diritti relativi a questi periodi non possono essere intaccati e inglobati nell'indennizzo forfetizzato del danno causato dal non lavoro. Per questi periodi non vi è niente da risarcire ed il risarcimento mediante indennizzo non può, in una sorta di eterogenesi dei fini, risolversi nella contrazione di diritti legati da un rapporto di corrispettività con la prestazione lavorativa effettuata. Ricorre con ogni evidenza il presupposto dell'art. 375, n. 5, cod. proc. civ. per la definizione camerale del processo. 3 - Conseguentemente va accolto il primo motivo di ricorso e rigettato il secondo la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Cagliari. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta il secondo cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Cagliari.