Non affisso il codice disciplinare, la sanzione è illegittima

È illegittima la sanzione inflitta a un dipendente pubblico per violazione di specifiche norme comportamentali aziendali, se il codice disciplinare non viene affisso in un luogo accessibile a tutti i dipendenti.

Così ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 15218/15, depositata il 21 luglio. Il caso. La Corte d’appello di Napoli, riformando la sentenza di primo grado, dichiarava illegittima la sanzione disciplinare della sospensione temporanea dal servizio con annessa privazione della retribuzione comminata da un Comune a una dipendente per aver usufruito, in violazione di quanto disposto dal dirigente, di un protocollo interno del settore di competenza per il deposito di documentazione relativa a una pratica riguardante un invalido. La lavoratrice affidava infatti a una persona estranea all’Amministrazione i documenti da recapitare al protocollo generale. Il Comune ricorre in Cassazione. Intuibilità dell’illiceità della condotta. In tema di sanzioni disciplinari conservative ed espulsive , la S.C. premette che non occorre procedere all’affissione del codice disciplinare in tutte le ipotesi in cui il lavoratore possa intuire immediatamente l’illiceità della propria condotta, perché contraria al c.d. minimo etico o a norme di rilevanza penale Cass., n. n. 1926/11 . Violazione di puntuali regole aziendali. Tuttavia, proseguono gli Ermellini, quando il comportamento censurato al lavoratore consista in violazione non di generali obblighi di legge, ma di precise regole comportamentali convenzionalmente previste, l’affissione si rende indispensabile. Affissione in luogo accessibile a tutti i dipendenti. Inoltre, il Collegio ricorda che in tema di sanzioni disciplinari nei confronti di dipendenti pubblici, l’art. 25, n. 10, CCNL stabilisce che si deve dare massima pubblicità al codice disciplinare, tramite affissione in luogo accessibile a tutti i dipendenti. Tale forma di pubblicità è tassativa e non sostituibile con altre Cass., n. 6976/10 . Pertanto, nel caso di specie, il Collegio ritiene che, la Corte territoriale, rilevando che l’illecito contestato riguardava la violazione di specifiche disposizioni attinenti all’organizzazione aziendale, ha correttamente considerato fondamentale l’affissione del codice disciplinare, a cui il Comune non aveva invece provveduto. Per questi motivi, la Corte di Cassazione respinge il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 6 maggio – 21 luglio 2015, numero 15218 Presidente Stile – Relatore Bandini Svolgimento del processo Con sentenza 23/2/09 la Corte d'Appello di Napoli, in riforma della pronuncia resa dal giudice di prima istanza, dichiarava l'illegittimità della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per quattro giorni, irrogata dal Comune di Lauro nei confronti di P.A.M. con provvedimento in data 4/7/03, per violazione consistita nell'aver disattese la specifica disposizione impartitale dal dirigente di usufruire di un protocollo interno del settore di competenza per il deposito di documentazione attinente ad una pratica relativa ad un invalido, avendo la dipendente affidato a persona estranea alla Amministrazione, i documenti da recapitare al protocollo generale. La Corte territoriale fondava il proprio convincimento essenzialmente sul rilievo della intervenuta violazione dell'obbligo di affissione del codice disciplinare sancito dalla L. 20 maggio 1970 numero 300, articolo 7. Osservava che nella specie si verteva in tema di applicazione di una sanzione conservativa che il Comune non aveva dedotto né tantomeno provato, di aver pubblicizzato mediante affissione in luogo accessibile a tutti, il codice disciplinare così come previsto dall'articolo 23 comparto regioni-autonomie locali che detto adempimento, diversamente dall'ipotesi di contestazione di comportamenti contrari agli interessi dell'impresa o ai doveri morali generalmente condivisi, era irrinunciabile, non essendo oggetto di addebito, fattispecie integranti ipotesi di reato o violazione di regole elementari di vita, bensì illeciti consistiti nella violazione di prescrizioni strettamente attinenti all'organizzazione datoriale. Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione il Comune di Lauro affidato a tre motivi. P.A.M. non ha svolto attività difensiva. Motivi della decisione Con il primo motivo si denuncia, ex articolo 360 numero 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell'articolo 2697 c.c., articolo 7 L. 20 maggio 1970 numero 300, artt. 112-420-421 c.p.c. nonché difetto di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex articolo 360 numero 5 c.p.c Si critica la decisione impugnata per aver argomentato in ordine alla mancata allegazione della affissione in luogo accessibile a tutti, del codice disciplinare, tralasciando di considerare che in sede di memoria di costituzione nel giudizio di primo grado, era stata espressamente dedotta la circostanza della intervenuta affissione della normativa del c.c.numero l. applicabile ratione temporis relativa alle infrazioni e sanzioni disciplinari, era stata regolarmente affissa nell'Albo Pretorio, e che detta circostanza non era stata oggetto di contestazione ex adverso. Con il secondo mezzo di impugnazione, si deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 2697 c.c., articolo 7 L. 20 maggio 1970 numero 300, nonché difetto di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Parte ricorrente stigmatizza l'argomentare dei giudici del gravame, laddove hanno reputato l'adempimento concernente l'affissione del codice disciplinare in luogo visibile a tutti, come indefettibile ai fini della validità della sanzione irrogata e si richiama all'orientamento espresso in sede di legittimità che estende l'interpretazione flessibile dell'articolo 7 L.300/70 secondo cui la pubblicità del codice disciplinare non è necessaria se la mancanza addebitata dipende dalla violazione di norme di legge e, comunque, di doveri fondamentali del lavoratore , anche alle sanzioni disciplinari conservative. Con il terzo motivo si denuncia, ex articolo 360 numero 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 47 e 55 d.lgsl. 30 marzo 2001 numero 1659 nonché dell'articolo 7 L. 20 maggio 1970 numero 300. Si lamenta che la sentenza impugnata abbia tralasciato di considerare il dettato normativo di cui all'articolo 47 comma 8 d. lgsl.165/01, alla cui stregua per i contratti collettivi di lavoro nel pubblico impiego privatizzato, è prescritta la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Si osserva, quindi, che i contratti collettivi di lavoro nella P.A. sono atti normativi che configurano una categoria di fonti di diritto oggettivo ed, in quanto tali, non rendono necessario l'obbligo di procedere alla pubblica affissione. I motivi, che per presupporre la soluzione di questioni giuridiche fra loro connesse possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati. Occorre premettere che giurisprudenza di questa Corte, anche relativamente alle sanzioni disciplinari conservative - e non per le sole sanzioni espulsive - ha ritenuto che, in tutti i casi nei quali il comportamento sanzionatorio sia immediatamente percepibile dal lavoratore come illecito, perché contrario al cd. minimo etico o a norme di rilevanza penale, non sia necessario provvedere alla affissione del codice disciplinare, in quanto il lavoratore ben può rendersi conto, anche al di là di una analitica predeterminazione dei comportamenti vietati e delle relative sanzioni da parte del codice disciplinare, della illiceità della propria condotta vedi ex plurimis, Cass. 27 gennaio 2011 numero 1926 . Da quanto esposto emerge, tuttavia, che quando la condotta contestata al lavoratore appaia violatrice non di generali obblighi di legge ma di puntuali regole comportamentali negozialmente previste e funzionali al miglior svolgimento del rapporto di lavoro, l'affissione si presenta necessaria. Orbene, in linea con tale orientamento, la Corte territoriale, muovendo dalla constatazione che, nella specie, la contestazione riguardava illeciti consistenti nella violazione di prescrizioni strettamente attinenti alla organizzazione aziendale, ha ritenuto la essenzialità della affissione del codice disciplinare. Va inoltre, considerato che, in tema di procedimento disciplinare nei confronti di dipendenti pubblici, la disposizione di cui all'articolo 25, numero 10, del c.c.numero l. del 6 luglio 1995 per il personale degli enti locali, prevede che al codice disciplinare deve essere data la massima pubblicità mediante affissione in luogo accessibile a tutti i dipendenti. La particolare disciplina contenuta nel CCNL di settore - di natura pubblicistica e quindi oggetto di accertamento ed interpretazione diretta da parte della Corte di Cassazione - prevede che al codice disciplinare deve essere data una particolare forma di pubblicità, che è tassativa e non può essere sostituita con altre vedi, in tali sensi, Cass. 23 marzo 2010 numero 6976 . In tale prospettiva resta superato anche il rilievo sollevato dal ricorrente con riferimento alla natura normativa dei contratti collettivi di lavoro nelle pubbliche amministrazione, che sono l'esito di un procedimento regolato ex lege articolo 47 d.lgsl. numero 165/01 la cui efficacia si perfezione con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Non può, infatti, ritenersi in questa sede invocabile il principio, pur enunciato da questa Corte, alla cui stregua la previsione nella disposizione di legge, pubblicata nella Gazzetta ufficiale, è sufficiente alla conoscenza da parte della generalità e rende inutile la suddetta affissione vedi Cass. 8 gennaio 2007 numero 56 . Ciò in quanto è il contenuto stesso della disposizione collettiva che disciplina la fattispecie scrutinata - relativa all'obbligo di idonea pubblicità del codice disciplinare - che palesa come inderogabile siffatto obbligo, e rende inapplicabile sia quella giurisprudenza la quale ha ritenuto non necessaria l'affissione del codice disciplinare quando la violazione è percepita come tale dal senso comune o in base ai principi generali vedi Cass. cit. numero 6976/10 , sia quell'orientamento che sulla natura normativa delle disposizioni collettive di comparto, fonda il giudizio di non necessità della affissione del codice disciplinare in luogo accessibile a tutti. Conclusivamente, essendo la norma pattizia chiara nel senso di negare che la pubblicazione per affissione ammetta equipollenti, deve ritenersi che la statuizione della Corte di Appello, che su detta disposizione si fonda vedi pag.5 , è ineccepibile e si sottrae alle censure svolte. Né, onde pervenire a diverse conclusioni, può aderirsi alla tesi prospettata con il primo motivo di doglianza, secondo cui sarebbe stato onere della lavoratrice contestare la allegazione contenuta in sede di memoria di costituzione nel giudizio di primo grado, e relativa alla circostanza della intervenuta affissione della normativa del c.c.numero l. applicabile ratione temporis concernente le infrazioni e sanzioni disciplinari nell'Albo Pretorio, oltre che fornire prova contraria. Nella specie, infatti, nel ricorso introduttivo la P. ha lamentato la mancata affissione del codice disciplinare con la conseguenza che, di fronte a tale doglianza, era onere del Comune convenuto non solo contestare tale assunto, ma anche fornire la prova del relativo adempimento vedi ex plurimis, Cass. numero 4572 del 1995 , ciò che non è avvenuto. In definitiva, sotto tutti i profili delineati, il ricorso si presenta privo di pregio e va pertanto respinto. Nessuna statuizione va emessa in punto spese, non avendo l'intimata svolto attività difensiva. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.