Risoluzione del rapporto per mutuo consenso: la mera inerzia del lavoratore dopo l’impugnazione del licenziamento non basta

Ai fini della configurabilità della risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso non è di per sé sufficiente la mera inerzia del lavoratore dopo l’impugnazione del licenziamento, essendo necessaria la prova di altre significative circostanze denotanti una chiara e certa volontà delle parti di porre definitivamente fine a ogni rapporto lavorativo.

Così ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 14818/15, depositata il 15 luglio. Il caso. Il Tribunale di Salerno respingeva, per accertata risoluzione del contratto per mutuo consenso, la domanda di una donna diretta alla declaratoria di illegittimità dell’apposizione, da parte del suo datore di lavoro, del termine nel contratto di lavoro intercorso tra le parti, per esigenze eccezionali dovute a una riorganizzazione aziendale. La Corte d’appello di Salerno respingeva il gravame e la donna ricorreva in Cassazione denunciando vizio di motivazione e violazione e falsa applicazione di norme. Nel ricorso si sosteneva che la Corte territoriale avesse confermato la risoluzione del rapporto per mutuo consenso a fronte del mero lasso di tempo intercorso dalla cessazione di fatto del rapporto al primo atto di costituzione in mora accipiendi . Risoluzione del rapporto per mutuo consenso. La Cassazione riprende un consolidato orientamento di legittimità cfr. Cass., n. 1780/2014, n. 5887/2011 n. 23319/2010 n. 23057/2010 n. 16932/2011 secondo cui, ai fini della configurabilità della risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso – costituente un’eccezione in senso stretto v. Cass. n. 10526/2009 il cui onere della prova grava evidentemente sull’eccipiente Cass., n. 2279/2010 - non è di pe sé sufficiente la mera inerzia del lavoratore dopo l’impugnazione del licenziamento, essendo necessaria anche la prova di altre significative circostanze, denotanti una chiara e certa volontà delle parti di porre definitivamente fine a ogni rapporto lavorativo Percezione dell’indennità di fine lavoro. La Corte sottolinea inoltre che le circostanze che denotano la volontà delle parti di porre definitivamente fine a ogni rapporto lavorativo non possono ravvisarsi, come invece ritenuto dalla Corte di merito, nella mera percezione del t.f.r., ossia dell’indennità di fine lavoro. Si tratta, infatti, di un emolumento connesso alle esigenze alimentari del lavoratore, la cui pur volontaria accettazione non può costituire indice di una volontà di risoluzione del rapporto. In tal senso le pronunce della Cassazione n. 2044/2012 e n. 21310/2014 in cui si sottolinea come il reperimento di una nuova occupazione risponda ad esigenze di sostentamento quotidiano e non indica la volontà del lavoratore di rinunciare ai propri diritti verso il precedente datore di lavoro. Per questo motivo il ricorso viene accolto e la sentenza viene rinviata alla Corte d’appello di Napoli.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 23 aprile – 15 luglio 2015, n. 14818 Presidente Venuti – Relatore Balestrieri Svolgimento del processo F.E. proponeva appello avverso la sentenza dei Tribunale di Salerno, con cui venne respinta, per accertata risoluzione dei contratto per mutuo consenso, la sua domanda diretta alla declaratoria di illegittimità dell'apposizione del termine da parte delle Poste Italiane s.p.a. nel contratto di lavoro intercorso tra le parti dal 1.8.98 al 30.9.98 ex art. 8 del c.c.n.l. 1994 e successive integrazioni, per esigenze eccezionali conseguenti la riorganizzazione aziendale in atto. La Corte d'appello di Salerno, con sentenza depositata il 6 aprile 2009, respingeva il gravame. Propone ricorso per cassazione la E., affidato a cinque motivi. Resiste con controricorso la società Poste Italiane. Motivi della decisione 1. - Con il primo motivo la lavoratrice denuncia la violazione e falsa applicazione degli arti. 1372, 1418, 1419 e 1422 c.c., per avere la Corte territoriale confermato la risoluzione del rapporto per mutuo consenso, a fronte del mero lasso di tempo intercorso dalla cessazione di fatto del rapporto al primo atto di costituzione in mora accipiendi, oltre a vizio di motivazione. Il motivo è fondato ed assorbe l’intero ricorso. Ed invero, secondo il consolidato orientamento di legittimità cfr. da ultimo Cass. 28.1.14 n. 1780. Cass. 11.3.11 n. 5887, Cass. 18.11.10 n. 23319, Cass. 15.11.10 n. 23057 Cass. 11.3.11 n. 5887, Cass. 4.8.11 n. 16932 , ai fini della configurabilità della risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso - costituente una eccezione in senso stretto, Cass. 7 maggio 2009 n. 10526, il cui onere della prova grava evidentemente sull'eccepiente, Cass. 1°febbraio 2010 n. 2279 - non è di per sé sufficiente la mera inerzia del lavoratore dopo l'impugnazione del licenziamento, essendo piuttosto necessario che sia fornita la prova di altre significative circostanze denotanti una chiara e certa volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo. Tali significative circostanze non possono ravvisarsi, come ritenuto dalla Corte di merito, nella mera percezione del t.f.r. indennità di fine lavoro , trattandosi di emolumento connesso alle esigenze alimentari del lavoratore, la cui pur volontaria accettazione non può costituire indice di una volontà di risoluzione del rapporto. In tal senso, da ultimo, Cass. ord. n. 2044/12, con riferimento al reperimento di nuova occupazione, che, rispondendo ad esigenze di sostentamento quotidiano, non indica la volontà del lavoratore di rinunciare ai propri diritti verso il precedente datore di lavoro, cfr. altresì in tal senso Cass. 9.10.14 n. 21310. 2.- Il ricorso deve pertanto accogliersi, restando assorbiti i restanti motivi, la sentenza impugnata cassarsi in relazione alla censura accolta, con rinvio ad altro giudice, in dispositivo indicato, per l'ulteriore esame della controversia, oltre che per la liquidazione delle spese di lite, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Napoli.