Sì ai contratti a tempo determinato, ma la ragione giustificativa del termine deve essere specifica

In base all’art. 10, comma 7, d.lgs. n. 368/01, i CCLN possono inserire limiti quantitativi alle assunzioni a termine per programmi radiofonici e/o televisivi e per spettacoli, ma deve trattarsi di programmi e spettacoli specifici”.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 14708/15, depositata il 14 luglio. Il caso. La Corte di appello di Roma dichiarava nullo il contratto a termine stipulato tra la RAI e un programmista regista, e instaurava invece tra le parti un contratto a tempo indeterminato. La stessa Corte capitolina condannava poi la RAI al risarcimento dei danni a favore del lavoratore. La RAI domanda la cassazione della sentenza adducendo tre motivi. Apposizione del termine sufficientemente dettagliata. Con i primi due mezzi di ricorso, che la S.C. ritiene di trattare congiuntamente, la società contesta la ritenuta nullità del clausola appositiva del termine per genericità della stessa. Richiamando diverse pronunce precedenti Cass. n. 7244/14 e Cass., n. 18532/13 , la S.C. ricorda il principio generale, confermato dall’art. 1, d.lgs. n. 368/01, secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, rappresentando l’apposizione del termine un’ipotesi eccezionale. In particolare, l’art. 1 del decreto prima citato ha previsto l’onere di precisare le ragioni giustificatrici di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” del termine finale. Tali ragioni devono essere enunciate in maniera sufficientemente dettagliata, in modo tale da consentire la conoscenza della loro effettiva portata e il relativo controllo di effettività. Esonero dai limiti quantitativi . Fatte tali considerazioni, la S.C. ribadisce che l’art. 10, comma 7, d.lgs. n. 368/01, ancor prima di essere stato modificato, lungi dal determinare una specifica e autonoma causale che giustifichi l’apposizione di un termine al contratto di lavoro, si limita a esonerare per le ipotesi espressamente indicate dalla norma stessa il datore di lavoro dal rispetto dei limiti quantitativi di utilizzazione delle assunzioni a termine, individuati, in via generale, dai CCNL conclusi dai sindacati comparativamente più rappresentativi, ma sempre osservando la legge. Questo implica che, nel caso in esame, i contratti collettivi possono inserire dei limiti quantitativi alle assunzioni a termine per programmi radiofonici e/o televisivi e per spettacoli, ma deve comunque trattarsi di programmi e spettacoli specifici. Risarcimento danni. Con riguardo al terzo mezzo di ricorso, con cui la RAI contesta la decisione risarcitoria stabilita dai Giudici di merito, la S.C. ritiene che la Corte romana avrebbe dovuto applicare lo jus superveniens rappresentato dalla l. n. 183/10, art. 32, commi 5, 6, 7, sussistendone l’interesse della RAI. Secondo l’interpretazione datane dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 303/11, la disciplina contenuta in tali commi risponde alla ratio legis di introdurre un criterio di liquidazione del danno più agevole, certa e omogenea applicazione . In particolare, il comma 5 prima citato stabilisce che nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il Giudice condanna la parte datoriale al risarcimento del lavoratore, prescrivendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata di tale norma, il danno forfettario dall’indennità in questione copre soltanto il periodo intermedio”, ossia quello compreso tra la scadenza del termine e la sentenza che accerta la nullità di questo e dichiara la conversione del rapporto. Pertanto, a partire da tale sentenza, il datore di lavoro è tenuto a rintegrare il lavoratore e a versargli le retribuzioni dovute, anche in caso di mancata riammissione effettiva. Allo stesso tempo, sempre in linea con la pronuncia costituzionale, il nuovo regime risarcitorio non ammette la detrazione dell’ aliunde perceptum . Sicché l’indennità onnicomprensiva assume una chiara valenza sanzionatoria. Essa è dovuta in ogni caso, al limite anche in mancanza di danno, per avere il lavoratore prontamente reperito un’altra occupazione . Dunque, la disposizione contenuta nel comma 5 va interpretata nel senso che l’indennità ivi prevista ristora interamente il pregiudizio subito dal lavoratore, incluse le conseguenze retributive e contributive riguardanti il periodo compreso tra la scadenza del termine e la decisione con cui il Giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro. Di conseguenza, la Corte di Cassazione accoglie il terzo motivo e cassa la sentenza in relazione a tal punto, con rinvio alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 1 aprile – 14 luglio 2015, n. 14708 Presidente Stile – Relatore Tria Svolgimento del processo 1.- La sentenza attualmente impugnata, in riforma della sentenza del Tribunale di Roma n. 10109/2009 1 dichiara la nullità del contratto a termine stipulato tra la RAI-RADIOTELEVISIONE ITALIANA s.p.a. e R.L. il 5 novembre 2004 e dichiara costituito, dalla suddetta data, un contratto a tempo indeterminato tra le parti 2 condanna la RAI al risarcimento dei danni, in misura pari alle retribuzioni dovute per il programmista regista di quarto livello a decorrere dal 14 aprile 2007 e fino al triennio successivo alla scadenza dell'ultimo contratto, oltre agli accessori di legge. La Corte d'appello di Roma, per quel che qui interessa, precisa che a il lavoratore ha esposto, nel ricorso introduttivo, di aver lavorato, come programmista regista, alle dipendenze della RAI con una serie di 13 contratti a termine succedutisi dal 1997 al 2007 b il Tribunale adito, con la sentenza impugnata, ha respinto il ricorso, ritenendo il rapporto risolto per dimissioni intervenute il 27 gennaio 1998 e considerando legittimi i successivi contratti a termine stipulati ex d.lgs. n. 368 del 2001 c non sono configurabili le suddette dimissioni per mancanza di prova degli elementi richiesti al riguardo dalla giurisprudenza di legittimità, in aggiunta al decorso del tempo d gli ultimi quattro contratti, stipulati a partire dal 5 novembre 2004 indicano come unica ragione di carattere produttivo dell'assunzione la partecipazione alla realizzazione del programma, di volta in volta, specificato e tale clausola è nulla sia perché formulata in modo troppo generico, sia perché, anche se si vuole superare tale difetto formale, il datore di lavoro avrebbe dovuto comprovare l'esistenza delle esigenze produttive così genericamente indicate e il rapporto causale tra tali esigenze e l'assunzione a tempo determinato del lavoratore f deve aggiungersi l’irrilevanza, al riguardo, dell'art. 10 del d.lgs. n. 368 del 2001, che non introduce una specifica ipotesi di assunzione temporanea per programmi o spettacoli, ma si limita a prevedere che i contratti collettivi possono introdurre limiti quantitativi di assunzioni a termine fra l'altro per programmi e spettacoli, ma pur sempre specifici g per effetto della dichiarata nullità deve riconoscersi la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dal 5 novembre 2004 h essendo il rapporto di cui si discute cessato di fatto alla scadenza dell'ultimo contratto a termine, al lavoratore vanno riconosciute, a titolo risarcitorio, le retribuzioni maturate nei tre anni successivi alla costituzione in mora della società essendo questo un lasso di tempo da ritenere sufficiente per il reperimento di altra occupazione da parte dell'interessato i si precisa, infine, che la RAI non ha riproposto in appello l'eccezione di compensazione tra le somme dovute al ricorrente e quanto corrisposto a titolo di indennità contrattuale del 35%. 2.- Il ricorso di RAI-RADIOTELEVISIONE ITALIANA domanda la cassazione della sentenza per tre motivi resiste, con controricorso, R.L. . Entrambe le parti depositano anche memorie ex art. 378 cod. proc. civ Motivi della decisione I - Sintesi dei motivi di ricorso. 1.- Il ricorso è articolato in tre motivi. 1.1.- Con il primo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione dell'art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 368 del 2001, anche in relazione all'art. 2697 cod. civ Si rileva che la Corte d'appello ha affermato la nullità della clausola appositiva del termine per gli ultimi quattro contratti stipulati a partire dal 5 novembre 2004, per genericità della stessa non corroborata da idonee prove della società, volte a dimostrare la specifica necessità dell'assunzione. Si sostiene che, in tal modo, la Corte romana non avrebbe considerato che, come si desume anche dal comma 2 del suddetto art. 1, il legislatore ha ritenuto necessaria, ma anche sufficiente, la indicazione diretta o indiretta per iscritto delle ragioni indicate nel comma 1, senza prevedere -prima della legge n. 247 del 2007 - l'onere del datore di lavoro di provare le suddette ragioni legittimanti. Nella specie, la causale è stata indicata in modo sufficientemente particolareggiato, nel senso richiesto dalla normativa del 2001, mentre la Corte territoriale ha interpretato tale normativa alla luce dell'elaborazione giurisprudenziale formatasi su quella previgente. 1.2- Con il secondo motivo si denuncia carenza di motivazione sulla idoneità, o meno, delle ragioni indicate nei contratti a termine stipulati a partire dal 5 novembre 2004 ad integrare il requisito della legittimità dell'assunzione temporanea ai sensi dell'art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001. Si assume che, nella motivazione, la Corte romana avrebbe dovuto considerare idonee ad integrare apprezzabile esigenza produttiva, nell'ambito di una impresa produttrice di programmi o spettacoli, la realizzazione di un programma o spettacolo per il quale sia necessariamente funzionale l'espletamento di mansioni quali quelle del programmista regista, tanto più dopo aver considerato superabile l'asserito difetto formale di congrua specificazione. 1.3.- Con il terzo motivo la RAI, infine, sostiene che la statuizione risarcitoria contenuta nella sentenza impugnata sarebbe illegittima per contrasto con lo jus superveniens di cui all'art. 32, commi da 5 a 7, della legge n. 183 del 2010, di cui chiede l'applicazione. II - Esame delle censure. 2.- I primi due motivi di ricorso - da esaminare congiuntamente, data la loro intima connessione - non sono fondati, in quanto le congrue e logiche argomentazioni che la Corte d'appello ha posto a base alla statuizione di nullità delle clausole appositive del termine per i contratti stipulati a partire dal 5 novembre 2004, nel vigore della disciplina di cui al d.lgs. n. 368 del 2001 non meritano alcuna delle censure formulate dalla ricorrente, essendo conformi ai consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte, secondo cui a l'art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, anche anteriormente alla modifica introdotta dall'art. 39 della legge n. 247 del 2007, ha confermato il principio generale in base al quale il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo l'apposizione del termine un'ipotesi derogatoria pur nel sistema, del tutto nuovo, della previsione di una clausola generale legittimante l'apposizione del termine per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo . Pertanto, in caso di insussistenza delle ragioni giustificative del termine, e pur in assenza di una norma che sanzioni espressamente la mancanza delle dette ragioni, in base ai principi generali in materia di nullità parziale del contratto e di etero-integrazione della disciplina contrattuale, nonché alla stregua dell'interpretazione dello stesso art. 1 citato nel quadro delineato dalla direttiva comunitaria 1999/70/CE recepita con il richiamato decreto , e nel sistema generale dei profili sanzionatoli nel rapporto di lavoro subordinato, tracciato dalla Corte cost. n. 210 del 1992 e n. 283 del 2005, all'illegittimità del termine ed alla nullità della clausola di apposizione dello stesso consegue l'invalidità parziale relativa alla sola clausola e l'instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato vedi, fra le tante Cass. 21 maggio 2008, n. 12985 Cass. 27 marzo 2014, n. 7244 b in tema di apposizione del termine al contratto di lavoro, il legislatore ha imposto, con l'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 368 del 2001, un onere di specificazione delle ragioni giustificatrici di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo del termine finale, che debbono essere sufficientemente particolareggiate così da rendere possibile la conoscenza della loro effettiva portata e il relativo controllo di effettività, dovendosi ritenere tale scelta in linea con la direttiva comunitaria 1999/70/CE e dell'accordo quadro in essa trasfuso, come interpretata dalla Corte di Giustizia UÈ sentenza del 23 aprile 2009, in causa C-378/07 ed altre sentenza del 22 novembre 2005, in causa C-144/04 , la cui disciplina non è limitata al solo fenomeno della reiterazione dei contratti a termine ossia ai lavoratori con contratti di lavoro a tempo determinato successivi ma si estende a tutti i lavoratori subordinati con rapporto a termine indipendentemente dal numero di contratti stipulati dagli stessi, rispetto ai quali la clausola 8, n. 3 cosiddetta clausola di non regresso dell'accordo quadro prevede - allo scopo di impedire ingiustificati arretramenti di tutela nella ricerca di un difficile equilibrio tra esigenze di armonizzazione dei sistemi sociali nazionali, flessibilità del rapporto per i datori di lavoro e sicurezza per i lavoratori - che l'applicazione della direttiva non costituisce un motivo valido per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell'ambito coperto dall'accordo vedi per tutte Cass. 27 gennaio 2011, n. 1931 Cass. 2 agosto 2013, n. 18532 c in tema di contratto a tempo determinato, mentre nella vigenza dell'art. 23 della legge 28 febbraio 1987, n. 56 - con cui era stata affidata alla contrattazione collettiva, nazionale o locale, la possibilità di autorizzare contratti a termine per causali, di carattere oggettivo o anche meramente soggettivo, ulteriori rispetto a quelle previste legge 18 aprile 1962, n. 230 - era sufficiente il richiamo, nel contratto stesso, alla previsione del contratto collettivo, così da consentire, anche in tale evenienza, il controllo giudiziario sull'operato delle parti ed evitare l'arbitrio che il silenzio avrebbe consentito, nel regime introdotto dal d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368 costituisce regola generale l'obbligo di apporre nel contratto individuale di lavoro la ragione giustificativa del termine, la cui enunciazione deve essere specifica ex plurimis Cass. 18 ottobre 2013, n. 23702 Cass. 17 marzo 2014, n. 6108 . D'altra parte, il chiaro tenore letterale dell'art. 10, comma 7, del d.lgs. n. 368 del 2001 non può che portare a ritenere - in accordo con quanto affermato dalla Corte d'appello - che tale disposizione, fin dalla sua originaria versione poi modificata dalla legge 24 dicembre 2007, n. 247 , lungi dall’individuare una causale specifica ed autonoma giustificante l'apposizione di un termine al contratto di lavoro, si limita ad esonerare - per talune ipotesi puntualmente indicate dalla norma stessa - la parte datoriale dal rispetto dei limiti quantitativi di utilizzazione delle assunzioni a termine, la cui individuazione viene, in linea generale, affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi, ma sempre nel rispetto della legge. Ciò comporta che, in base a tale norma, i contratti collettivi possono, fra l'altro, introdurre limiti quantitativi alle assunzioni a termine per programmi radiofonici e/o televisivi e per spettacoli, ma si deve pur sempre trattare di programmi e spettacoli specifici , come, del resto è indicato dalla norma stessa. 3.- Il terzo motivo di ricorso è, invece, fondato. Va, infatti osservato che, a prescindere dalla irritualità della limitazione del risarcimento dei danni ad una somma parametrata alle retribuzioni che sarebbero state percepite dal lavoratore dalla data di messa in mora sino alla scadenza del terzo anno successivo alla data di interruzione del rapporto più volte affermata da questa Corte vedi per tutte Cass. 2 aprile 2010, n. 8119 , quel che conta è che, non risultando che sul punto relativo alle conseguenze risarcitorie della illegittimità delle assunzioni a termine si sia formato un giudicato, in conformità della consolidata giurisprudenza di questa Corte vedi, per tutte Cass. 1 ottobre 2012, n. 16642 Cass., 22 settembre 2014, n. 19924 Cass. 4 marzo 2015, n. 4359 , nella specie deve trovare applicazione, per la determinazione delle conseguenze risarcitorie, lo jus superveniens rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, sussistendone l'interesse della RAI. I commi 5, 6 e 7 dell'art. 32 citato dispongono che 5. Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra uni minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8. 6. In presenza di contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l'assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contralto a termine nell'ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell'indennità fissata dal comma 5 è ridotto alla metà. 7. Le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 trovano applicazione per tutti i giudizi, ivi compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge. Con riferimento a tali ultimi giudizi, ove necessario, ai soli fini della determinazione della indennità di cui ai commi 5 e 6, il giudice fissa alle parti un termine per l'eventuale integrazione della domanda e delle relative eccezioni ed esercita i poteri istruttori ai sensi dell'art. 421 c.p.c. . Tale disciplina, applicabile a tutti i giudizi pendenti, anche in grado di legittimità v. già Cass. 28 gennaio 2011, n. 2112 , alla luce della sentenza interpretativa di rigetto della Corte costituzionale n. 303 del 2011, risponde alla ratio legis di introdurre un criterio di liquidazione del danno di più agevole, certa ed omogenea applicazione , rispetto alle obiettive incertezze verificatesi nell'esperienza applicativa dei criteri di commisurazione del danno secondo la legislazione previgente . La norma di cui al comma 5, che non si limita a forfetizzare il risarcimento del danno dovuto al lavoratore illegittimamente assunto a termine, ma, innanzitutto, assicura a quest'ultimo l'instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato , in base ad una interpretazione costituzionalmente orientata va intesa nel senso che il danno forfetizzato dall'indennità in esame copre soltanto il periodo cosiddetto intermedio, quello, cioè, che corre dalla scadenza del termine fino alla sentenza che accerta la nullità di esso e dichiara la conversione del rapporto , con la conseguenza che a partire da tale sentenza è da ritenere che il datore di lavoro sia indefettibilmente obbligato a riammettere in servizio il lavoratore e a corrispondergli, in ogni caso, le retribuzioni dovute, anche in ipotesi di mancata riammissione effettiva altrimenti risultando completamente svuotata la tutela fondamentale della conversione del rapporto in lavoro a tempo indeterminato . Nel contempo, sempre alla luce della citata pronuncia della Corte costituzionale, il nuovo regime risarcitorio non ammette la detrazione dell'aliunde perceptum. Sicché l'indennità onnicomprensiva assume una chiara valenza sanzionatoria. Essa è dovuta in ogni caso, al limite anche in mancanza di danno, per il avere il lavoratore prontamente reperito un'altra occupazione . Peraltro, la garanzia economica in questione non è né rigida, né uniforme e, anche attraverso il ricorso ai criteri indicati dalla L. n. 604 del 1966, art. 8 consente di calibrare l'importo dell'indennità da liquidare in relazione alle peculiarità delle singole vicende, come la durata del contratto a tempo determinato evocata dal criterio dell'anzianità lavorativa , la gravità della violazione e la tempestività della reazione del lavoratore sussumibili sotto l'indicatore del comportamento delle parti , lo sfruttamento di occasioni di lavoro e di guadagno altrimenti inattingibili in caso di prosecuzione del rapporto riconducibile al parametro delle condizioni delle parti , nonché le stesse dimensioni dell'impresa immediatamente misurabili attraverso il numero dei dipendenti . Così interpretata, la nuova normativa, risultata nell'insieme, adeguata a realizzare un equilibrato componimento dei contrapposti interessi , ha superato il giudizio di costituzionalità sotto i vari profili sollevati, con riferimento agli artt. 3, 4, 11, 24, 101, 102, 111 e 117, primo comma, Cost Del resto, in tale senso è stata intesa la disposizione di cui al comma 5 del citato art. 32 della n. 183 del 2010, dalla norma interpretativa di cui all'art. 1, comma 13, della legge 28 giugno 2012, n. 92, che ha stabilito che la suddetta disposizione si interpreta nel senso che l'indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro . A ciò consegue l'accoglimento del terzo motivo, che, in modo pertinente ed ammissibile, investe il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta vedi, fra le altre Cass. 4 gennaio 2011, n. 80 Cass. 31 gennaio 2012 n. 1411 . III – Conclusioni. 4.- In sintesi il terzo motivo di ricorso deve essere accolto e gli altri motivi vanno respinti. La impugnata sentenza va pertanto cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, la quale, attenendosi ai principi sopra richiamati, provvederà nella specie anche ai sensi di quanto disposto in rito dal comma 7 del citato art. 32, statuendo altresì sulle spese del presente giudizio di cassazione. 5.- In ragione della funzione di nomofilachia affidata dall'ordinamento a questa Corte di cassazione, si ritiene opportuno enunciare, ai sensi dell'art. 384, primo comma, cod. proc. civ., il seguente ulteriore - rispetto a quelli diretti al giudice di rinvio - principio di diritto il chiaro tenore letterale dell'art. 10, comma 7, del d.lgs. n. 368 del 2001 non può che portare a ritenere che tale disposizione, fin dalla sua originaria versione poi modificata dalla legge 24 dicembre 2007, n. 247 , lungi dall'individuare una causale specifica ed autonoma giustificante l'apposizione di un termine al contratto di lavoro, si limita ad esonerare - per talune ipotesi puntualmente indicate dalla norma stessa - la parte datoriale dal rispetto dei limiti quantitativi di utilizzazione delle assunzioni a termine, la cui individuazione viene, in linea generale, affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi, ma sempre nel rispetto della legge. Ciò comporta che, in base a tale norma, i contratti collettivi possono, fra l'altro, introdurre limiti quantitativi alle assunzioni a termine per programmi radiofonici e/o televisivi e per spettacoli, ma si deve pur sempre trattare di programmi e spettacoli specifici, come, del resto è indicato dalla norma stessa”. P.Q.M. La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso e rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata, in relazione alle censure accolte, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione.