L’indennità di posizione e la retribuzione di risultato non vanno computate ai fini del diritto alla conservazione del trattamento economico più favorevole

La Corte di Cassazione stabilisce che il diritto a conservare il trattamento economico più favorevole derivante dall’incarico cessato non ricomprende anche la retribuzione di risultato e la parte variabile della retribuzione di posizione, che non possono essere riconosciute alla nuova posizione giuridica.

Così si è pronunciata la sezione Lavoro della Corte di Cassazione con sentenza n. 14568, depositata il 13 luglio 2015. Il caso. La Corte d’appello di Roma, confermando la sentenza di rigetto del Tribunale, respingeva la domanda presentata da un direttore regionale dell’Agenzia delle Entrate immesso nelle funzioni di commissione tributaria finalizzata all’accertamento del suo diritto all’incremento del trattamento economico goduto fino al raggiungimento di un trattamento complessivo non inferiore a quello percepito nella posizione di provenienza con particolare riferimento alla parte variabile della retribuzione di posizione connessa con l’incarico in precedenza svolto ed all’indennità di risultato. Parte variabile della retribuzione connessa all’incarico dirigenziale? Avverso tale pronuncia, proponeva appello il soccombente, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, L. n. 266/2005 e degli artt. 13, 38, 39 e 40 del contratto collettivo del personale dirigente dell’area prima per il quadriennio 1998 – 2001. Il ricorrente sosteneva la connessione della parte variabile della retribuzione all’incarico dirigenziale specificamente conferito al dirigente, individuato sulla base della graduazione delle posizioni dirigenziali e delle relative responsabilità, nonché che la parte variabile della retribuzione di posizione costituisce pur sempre una componente della retribuzione avente carattere fisso e continuativo e che sia la componente fissa che quella variabile concorrono al calcolo del trattamento di quiescenza e dell’indennità di buonuscita o di fine servizio. Trattamento fondamentale e trattamento accessorio. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha ricordato come sia la giurisprudenza di legittimità, sia la giurisprudenza amministrativa abbiano sostenuto la distinzione tra trattamento fondamentale e trattamento accessorio. Se è vero, inoltre, che l’art. 3, comma 57, l. n. 537/1993 ha stabilito che nei casi di passaggio di carriera di cui all’art. 202 della medesima legge al personale con stipendio o retribuzione pensionabile superiore a quello spettante nella nuova posizione è attribuito un assegno pensionabile, non riassorbibile e non rivalutabile, pari alla differenza tra lo stipendio o retribuzione pensionabile in godimento all’atto del passaggio e quello spettante nella nuova posizione, l’art. 1, l. n. 266/2005, fornendo interpretazione autentica di tale norma ha confermato che la retribuzione di posizione, quanto alla parte variabile, è strettamente legata all’effettivo espletamento dello specifico incarico dirigenziale, stabilendo che alla determinazione del citato assegno concorra il solo trattamento fisso e continuativo. Né può costituire rilievo di segno contrario, nell’opinione della Corte, la normativa contrattuale collettiva invocata dal ricorrente, dal momento che la stessa riguarda profili diversi, quali l’incidenza della retribuzione e degli elementi che la compongono sugli istituti indiretti e il mutamento di posizione del dirigente quanto ai presupposti di legittimità. Per tutte le considerazioni sopraesposte, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso in esame.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 21 aprile – 13 luglio 2015, n. 14568 Presidente Macioce – Relatore D’Antonio Svolgimento del processo La Corte d'appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di rigetto della domanda di F.S., già direttore regionale delle entrate per la Toscana e dal 12/5/2000 immesso, a seguito della partecipazione a procedura concorsuale, nelle funzioni di componente di commissione tributaria e collocato fuori ruolo, volta all'accertamento del suo diritto all'incremento del trattamento economico in godimento in guisa tale da raggiungere un trattamento complessivo non inferiore a quello percepito nella posizione di provenienza con particolare riferimento alla parte variabile della retribuzione di posizione connessa con l'incarico in precedenza svolto ed alla indennità di risultato con condanna dell'amministrazione al pagamento in suo favore delle differenze. La Corte ha rilevato che ai sensi dell'art 24 dlgs n 165/2001 la retribuzione del personale con qualifica di dirigente era determinata dal CCNL per le aree dirigenziali prevedendo che il trattamento economico accessorio fosse correlato alle funzioni attribuite ed alle connesse responsabilità. Risultava, pertanto, evidente secondo la Corte che solo la retribuzione fissa, stabilita in misura uguale per tutti gli appartenenti alla stessa fascia, poteva ritenersi rientrare nel trattamento economico fondamentale e quindi non soggetta a variazioni in quanto attinente alla qualifica, mentre la parte variabile era correlata alla funzione e quindi destinata a remunerare l'effettivo livello di responsabilità, l'impegno richiesto, la rilevanza e collocazione istituzionale dell'ufficio e della funzione tale parte variabile non costituiva un compenso fisso e di ammontare determinato per tutta la carriera. La Corte d'appello ha affermato che l’indennità di posizione non poteva essere compresa nel trattamento fisso e continuativo di cui all'art 3, comma 57, l. n. 537/1993, come interpretato dall'aer 1, co 226, l. n. 266 del 2005, con la conseguenza che era irrilevante quanto affermato dal ricorrente circa l'efficacia di tale compenso ai fini pensionabili o della buonuscita in quanto tale efficacia era fondata sul carattere remunerativo ma non mutava la misura variabile del compenso ai fini del suo mantenimento nel corso della carriera La Corte d'appello ha affermato, inoltre, l'irrilevanza del richiamo alle norme sul comando trattandosi di ipotesi diversa a quella in esame in cui il dirigente aveva scelto di svolgere una diversa funzione partecipando, di sua iniziativa, ad una procedura concorsuale . La Corte ha poi affermato il difetto di legittimazione passiva del Ministero in relazione al periodo antecedente al 25/11/99 essendo legittimata l'Agenzia delle Entrate . Avverso la sentenza ricorre il F. con due motivi ulteriormente illustrati con memoria ex art 378 cpc Resiste il Ministero. Il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata. Motivi della decisione Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 226, nonché degli artt. 13, 38, 39 e 40 del contratto collettivo del personale dirigente dell'area prima per il quadriennio 1998 - 2001. Formula il seguente quesito se per effetto degli articolo 13, comma 4, 38, 39 e 40, commi 1 e 2, del CCNL 98/01 nonche dell'art 2, comma 2, del ceni 2000/2001 la parte variabile della retribuzione di posizione abbia o meno carattere fisso e continuativo ai fini della determinazione dell'assegno personale non riassorbibile e non rivalutabile di cui all'ari 1, comma 226, della L. n. 226/2005. Sostiene il ricorrente che la parte variabile della retribuzione di posizione è connessa all'incarico dirigenziale specificamente conferito al dirigente, così come individuato sulla base della graduazione delle posizioni dirigenziali in relazione alle responsabilità connesse all'incarico che la parte variabile della retribuzione di posizione costituisce pur sempre una componente della retribuzione avente carattere fisso e continuativo e che entrambe le componenti della retribuzione di posizione, quella fissa e quella variabile, concorrono nella base di calcolo del trattamento di quiescenza, nonché dell'indennità di buonuscita o di fine servizio. Il motivo è infondato. Sia la giurisprudenza amministrativa Cons, Stato, ad. plen., 11 dicembre 2006, n. 14 che quella di questa corte Cass., sez. lav., 15 maggio 2007, n. 11084, Cass n 12498/2012 concordano nel distinguere tra trattamento fondamentale e trattamento accessorio. In particolare Cons. Stato, ad. plen., 11 dicembre 2006, n. 14, citata dallo stesso ricorrente, ha affermato che il diritto del dirigente, cessato dall'incarico di direttore generale di un Ministero e nominato consigliere della Corte dei Conti, a conservare il più favorevole trattamento economico dell'incarico cessato non ricomprende anche la retribuzione di risultato e la parte variabile della retribuzione di posizione, che quindi non possono essergli riconosciute nella nuova posizione giuridica. Sicché può ritenersi che la retribuzione di posizione, quanto alla parte variabile, è strettamente legata allo specifico incarico dirigenziale. È vero che la L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 3, comma 57, prevede che, nei casi di passaggio di carriera di cui all'art. 202 del citato testo unico approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, ed alle altre analoghe disposizioni, al personale con stipendio o retribuzione pensionabile superiore a quello spettante nella nuova posizione è attribuito un assegno personale pensionabile, non riassorbibile e non rivalutabile, pari alla differenza fra lo stipendio o retribuzione pensionabile in godimento all'atto del passaggio e quello spettante nella nuova posizione. Tale disposizione, tuttavia, è stata oggetto di interpretazione autentica ad opera della L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 226, legge finanziaria 2006 che ha previsto che l'art. 3, comma 57, citato, si interpreta nel senso che alla determinazione dell'assegno personale non riassorbibile e non rivalutabile concorre il trattamento, fisso e continuativo, con esclusione della retribuzione di risultato e di altre voci retributive comunque collegate al raggiungimento di specifici risultati o obiettivi. Ciò che conferma che la retribuzione di posizione, quanto alla parte variabile, è strettamente legata all'effettivo espletamento dello specifico incarico dirigenziale. Nè rileva in senso contrario la normativa contrattuale collettiva invocata dal ricorrente l'art. 37 del contratto collettivo del personale dirigente dell'area prima per il quadriennio 1998 - 2001, che distingue tra retribuzione fissa e retribuzione di posizione variabile il successivo art. 40, comma 1, che stabilisce che i nuovi trattamenti retributivi hanno effetto sul trattamento ordinario di previdenza, di quiescenza, sull'indennità di buonuscita e di fine servizio, e in particolare, al secondo comma, prevede che gli effetti del primo comma si applicano anche alla retribuzione di posizione parte fissa e parte variabile l'art. 13 che prevede che il dirigente ha diritto, in caso di mutamento di mansioni, ad un incarico dirigenziale equivalente perché riguarda profili diversi l'incidenza della retribuzione e degli elementi che la compongono sugli istituti indiretti e il mutamento di posizione del dirigente quanto ai presupposti di legittimità di cui non si dubita nella specie . Si tratta quindi di profili che non incidono sulla questione controversa in causa, per la quale occorre invece far riferimento direttamente alla disciplina di fonte legale e segnatamente alla L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 226, citata. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione articolo 57,73 e 74 digs n 300/1999, dell'art 5 del dm 28 dicembre 2000, dell'art 20 del dpr n 107 del 2001 sulla legittimazione passiva dell'Agenzia delle Entrate per il periodo antecedente . Detto motivo, relativo alla legittimazione dell'Agenzia delle Entrate, resta assorbito dal rigetto del primo motivo. Alla soccombenza consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del presente giudizio liquidate in € 5.000,00 oltre spese prenotate a debito.