Il codice antimafia si applica anche ai contratti di lavoro… e giustifica il licenziamento

Il d.lgs. n. 159/2011 cosiddetto Codice antimafia , per il suo carattere di normativa speciale, con finalità di ordine pubblico, comprende tutti i contratti relativi al bene e all’azienda sequestrata, nonché tutti i rapporti di collaborazione con le persone indicate dalla normativa predetta e dunque anche ai rapporti di lavoro subordinato in essere con i soggetti indicati dall’art. 35 del decreto stesso, per i quali è prevista la risoluzione del rapporto con recesso da parte dell’amministratore giudiziario.

Questo è il principio affermato dalla Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 14467, depositata il 10 luglio 2015. La vicenda. Il caso riguarda un licenziamento intimato dall’amministratore giudiziario di azienda sottoposta ad amministrazione giudiziaria, ai sensi del Codice antimafia, a un lavoratore, figlio della persona nei cui confronti era stata avviata la procedura di prevenzione. Un lavoratore in forza presso un’azienda in amministrazione giudiziaria ai sensi del d.lgs. n. 159/2011, Codice delle leggi antimafia e misure di prevenzione, veniva licenziato, ai sensi degli artt. 35 e 56 del citato codice. Il lavoratore impugnava il licenziamento e il Tribunale del lavoro, con ordinanza, accoglieva il ricorso, disponendo la reintegrazione del lavoratore. A seguito di opposizione, il Tribunale pronunciava sentenza con cui confermava l’illegittimità del licenziamento, ma disponeva la condanna dell’azienda al risarcimento anziché alla reintegrazione. Proposto reclamo alla Corte d’appello da parte dell’azienda, la Corte riformava parzialmente la sentenza di primo grado, riducendo soltanto il quantum dell’indennità risarcitoria. Proponeva ricorso per cassazione l’azienda. Le norme del Codice antimafia perseguono finalità di ordine pubblico Il recesso adottato dall’azienda ricorrente, previa autorizzazione del giudice all’amministratore giudiziario, si fonda sugli artt. 35 e 56 del citato d.lgs Così le norme art. 35 non possono essere nominate le persone nei cui confronti il provvedimento è stato disposto, il coniuge, i parenti, gli affini e le persone con esse conviventi, né le persone condannate ad una pena che importi l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o coloro cui sia stata irrogata una misura di prevenzione. Le stesse persone non possono, altresì svolgere le funzioni di ausiliario o di collaboratore dell'amministratore giudiziario”. E art. 56 Se al momento dell'esecuzione del sequestro un contratto relativo al bene o all'azienda sequestrata è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti, l'esecuzione del contratto rimane sospesa fino a quando l'amministratore giudiziario, previa autorizzazione del giudice delegato, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del proposto, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di risolvere il contratto, salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto”. e il licenziamento adottato sarà giustificato. Il motivo di censura proposto dalla ricorrente viene ritenuto fondato dalla Suprema Corte. La Corte di merito infatti pur avendo correttamente individuato la fonte normativa, di ordine pubblico, del recesso adottato, ed avendone esclusa la natura disciplinare, ha errato ritenendo violato l’obbligo da parte dell’azienda di specificare i motivi del licenziamento. Se è vero, secondo i giudici di legittimità, che tale obbligo di motivazione debba ritenersi sussistente anche nel recesso in esame, è altrettanto vero che il richiamo alle norme del Codice antimafia evidenziate nel provvedimento di recesso appare idoneo a soddisfare l’obbligo di specificazione dei motivi di licenziamento. Nel provvedimento espulsivo è stato indicato l’art. 35 del Codice, la procedura preventiva attuata nei confronti dell’azienda datrice di lavoro e la disposizione impartita dal Giudice all’amministratore di recedere da tutti i rapporti in essere con i soggetti rientranti nell’elencazione di cui all’art. 35 dunque anche il rapporto di lavoro in essere con il figlio del soggetto nei confronti del quale è stata disposta la misura di prevenzione. Con ciò appare pienamente soddisfatto l’onere di specificazione dei motivi. D’altra parte, afferma la Suprema Corte, appare evidente il carattere speciale e la finalità di ordine pubblico della normativa invocata, che, infatti, ricomprende tutti i beni e tutti i rapporti di collaborazione in essere con l’azienda sequestrata, anche i contratti di lavoro subordinato che troveranno necessariamente risoluzione nei confronti dei soggetti contemplati dall’art. 35, d.lgs. n. 159/2011, non per ragioni di ordine disciplinare, bensì per un motivo oggettivo ostativo alla prosecuzione del rapporto. Da qui l’accoglimento del motivo di ricorso proposto, con decisione del giudizio nel merito senza rinvio, e rigetto dell’impugnativa di licenziamento originariamente proposta

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 19 febbraio – 10 luglio 2015, n. 14467 Presidente Vidiri – Relatore Nobile Svolgimento del processo Con nota del 23-10-2012 la Soil Geo s.r.l., in amministrazione giudiziaria, comunicava a T.M. che a seguito del decreto n. 86/2012 del Tribunale di Palermo, Sezione Misure di Prevenzione, ai sensi dell'art. 56 d.lgs. n. 159/2011, il rapporto di lavoro instaurato con lo stesso doveva intendersi risolto con effetto immediato a far data dal 19-10-2012 . Il detto provvedimento espulsivo veniva impugnato dal T. e il Giudice del lavoro del Tribunale di Palermo, con ordinanza del 2-5-2013, in accoglimento del ricorso, disponeva la reintegrazione del lavoratore e condannava la detta amministrazione giudiziaria al pagamento delle retribuzioni dal licenziamento all'effettiva reintegra. Con sentenza in data 6-12-2013 il giudice, in parziale accoglimento dell'opposizione proposta ex art. 1 commi 51 e ss. l. n. 92/2012 dalla Soil Geo s.r.l., confermata la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato tra le parti e ritenuto il licenziamento carente di motivazione oltre che inosservante del procedimento disciplinare, dichiarava l'inefficacia del licenziamento stesso e nel contempo dichiarava risolto il rapporto di lavoro e condannava la società opponente al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata a 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, oltre al rimborso delle spese processuali. Avverso la detta sentenza la Soil Geo s.r.l. proponeva reclamo, il T. si costituiva ed in via incidentale chiedeva la riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui aveva negato il diritto alla reintegrazione. La Corte d'Appello di Palermo, con sentenza depositata il 20-3-2014, in parziale riforma della pronuncia di primo grado riduceva l'indennità risarcitoria dovuta dalla Soil Geo s.r.l. al T.M. a otto mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, confermando nel resto l'impugnata sentenza, compensando per 2/3 le spese di entrambi i gradi e condannando la società a pagare al T. il restante terzo. In sintesi la Corte territoriale, qualificato come licenziamento l'atto risolutivo comunicato in data 23-10-2012 e ritenuta corretta la lettura della fattispecie operata dal primo giudice, il quale, una volta disattesa la legalità formale del provvedimento espulsivo, per essere lo stesso privo di motivazione oltre che inosservante delle garanzie disciplinari, aveva, nondimeno, rinvenuto la sussistenza di una circostanza oggettiva, impeditiva all'ulteriore prosecuzione del rapporto di lavoro, nella previsione dell'art. 35 comma 3 del d.lgs. n. 159/2011, affermava che, al di là del pur discutibile inquadramento del licenziamento de quo nell'ambito del licenziamento ontologicamente disciplinare, appariva senz'altro integrata la violazione dell'obbligo di motivazione che legittimava l'applicazione del disposto di cui all'art. 18 comma 6 l. 30/70 nel testo novellato dall'art. 1 comma 42 della l. n. 92/2012. La Corte, poi, accoglieva in parte il reclamo della società, rilevando che nella specie la determinazione dell'indennità risarcitoria nella misura massima era stata fatta in considerazione del fattore della violazione delle garanzie disciplinari, le quali, però, non erano invocabili nel caso in esame caratterizzato dalla fonte iure imperii del fatto risolutivo occorso, per cui, tenendo conto delle altre circostanze la detta indennità andava ridotta ad otto mensilità. Per la cassazione di tale sentenza la Soil Geo s.r.l. ha proposto ricorso con due motivi. Il T. è rimasto intimato. Motivi della decisione Con il primo motivo la ricorrente denuncia improcedibilità ed inammissibilità del giudizio per difetto di giurisdizione ai sensi degli artt. 57 e ss. del d.lgs. n. 159/2011, ed all'uopo rileva che la Soil Geo s.r.l. è in amministrazione giudiziaria giusta provvedimento del Tribunale di Palermo, Sezione misure di prevenzione, del 20-7-2012, reso ai sensi della normativa antimafia, con conseguente temporaneo difetto di giurisdizione del giudice civile ordinario, tale da rendere improponibile od improseguibile la domanda, dovendo applicarsi la specifica e dettagliata procedura, prevista dagli artt. 57 e ss. del citato d.lgs., per l'accertamento dei crediti dei terzi interamente devoluta al Tribunale che ha emesso il provvedimento di sequestro. Il motivo è inammissibile. Come è stato precisato da questa Corte, infatti, è inammissibile l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata per la prima volta in sede di legittimità, stante il giudicato implicito formatosi sulla pronuncia di merito, ove la questione non sia stata sollevata nei gradi anteriori di giudizio v. Cass. 26-9-2013 n. 22097, Cass. 10-7-2013 n. 17056, Cass. S.U. 22-4-2013 n. 9693 . Nel caso in esame sia in primo che in secondo grado la causa è stata decisa nel merito e la questione del temporaneo difetto di giurisdizione risulta sollevata per la prima volta in questa sede, di guisa che il motivo deve ritenersi inammissibile. Con il secondo motivo, denunciando violazione degli artt. 35 e 56 del d.lgs. 159/2011 e dell'art. 18 l. n. 300/1970, la ricorrente, in sostanza, lamenta che la Corte territoriale ha violato la normativa del codice antimafia, in quanto, pur riconoscendo la natura speciale e di ordine pubblico della stessa stante la fonte iure imperii del fatto risolutivo occorso nella vicenda in esame ha ritenuto nella specie violato l'art. 2 della l. n. 604/1966 e inapplicabile l'art. 56 del d.lgs. n. 159/2011. In particolare la ricorrente rileva che tale ultima norma trova applicazione anche ai rapporti di lavoro ed in specie a quei rapporti che in virtù della previsione di cui all'art. 35 dello stesso d.lgs., non possono essere proseguiti, per cui l'amministratore giudiziario può risolverli, come è avvenuto nel caso in esame, su autorizzazione del Giudice. Tale motivo è fondato, come di seguito, e tanto basta per accogliere il ricorso. Il d.lgs. n. 159/2011 Codice antimafia all'art. 41, comma 4, stabilisce che I rapporti giuridici connessi all'amministrazione dell'azienda sono regolati dalle norme del codice civile, ove non espressamente disposto e all'art. 56, Rapporti pendenti dispone che 1. Se al momento dell'esecuzione del sequestro un contratto relativo al bene o all'azienda sequestrata è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti, l'esecuzione del contratto rimane sospesa fino a quando l'amministratore giudiziario, previa autorizzazione del giudice delegato, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del proposto, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di risolvere il contratto, salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto . Lo stesso d.lgs. all'art. 35 comma 3 stabilisce, poi, che Non possono essere nominate le persone nei cui confronti il provvedimento è stato disposto, il coniuge, i parenti, gli affini e le persone con esse conviventi, né le persone condannate ad una pena che importi l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o coloro cui sia stata irrogata una misura di prevenzione. Le stesse persone non possono, altresì, svolgere le funzioni di ausiliario o di collaboratore dell'amministratore giudiziario . Essendo evidente il carattere speciale della normativa e la finalità di ordine pubblico, che non può che comprendere tutti i contratti relativi al bene e all'azienda sequestrata, nonché tutti i rapporti di collaborazione con le persone indicate, deve affermarsi la applicabilità della normativa speciale anche ai rapporti di lavoro, per i quali, quindi al di là di quanto previsto dalla normativa ordinaria, che resta applicabile ove non espressamente disposto , è prevista, tra l'altro, una risoluzione del rapporto con recesso da parte dell'amministratore giudiziario, autorizzato dal giudice, nei confronti dei soggetti indicati dall'art. 35. In tal caso è la stessa legge speciale che, in ragione della finalità di ordine pubblico, prevede la giustificazione del licenziamento, che, del resto, non ha natura disciplinare. Orbene la Corte di merito, nella fattispecie, seppure correttamente ha ritenuto la fonte ime imperii recte di ordine pubblico del fatto risolutivo occorso ed ha escluso la applicabilità delle garanzie proprie del licenziamento disciplinare, erroneamente non ha applicato compiutamente la normativa speciale ed erroneamente ha ritenuto che nella specie è stato violato l'obbligo di specificazione dei motivi del licenziamento, previsto dall'art. 2 della legge n. 604 del 1966 nel testo vigente . Seppure, infatti, deve convenirsi sulla applicabilità di tale obbligo costituente comunque principio generale in materia di licenziamenti anche al recesso de quo, nel caso in esame, a ben vedere, il detto obbligo in effetti risulta soddisfatto. Con la lettera di recesso, come si legge nella sentenza, l'Amministratore giudiziario ha, infatti, comunicato al T.M. figlio di T.S., nei confronti del quale era stato iniziato il procedimento di prevenzione , che a seguito del Decreto n. 86/2012 del Tribunale di Palermo, Sezione misure di prevenzione, ai sensi dell'art. 56 d.lgs. n. 159/2011, il rapporto di lavoro con lo stesso instaurato dalla Soil Geo s.r.l. doveva intendersi risolto con effetto immediato a far data dal 19-10-2012 . Orbene ritiene il Collegio che tale richiamo alla procedura e al decreto del Tribunale che, richiamato il disposto dell'art. 35 del citato d.lgs. e le persone ivi indicate, aveva ordinato all'Amministratore di rimuovere da qualsiasi incarico o comunque compito tutti i soggetti che rivestano tali caratteristiche , risulta senz'altro sufficiente al fine della specificazione dei motivi del licenziamento, non essendo di certo tenuto l'Amministratore ad esporre analiticamente e dettagliatamente tutti gli elementi di fatto e di diritto posti a base del recesso e tanto meno la evidente stretta parentela con il soggetto destinatario della procedura . In tali sensi, va quindi, accolto il ricorso. L'impugnata sentenza va pertanto cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, dovendo ritenersi legittimo ed efficace il recesso de quo, la causa, ex art. 384, comma secondo, c.p.c., va decisa nel merito con il rigetto della domanda introduttiva del T Infine, in considerazione della novità delle questioni e dell'esito delle fasi di merito, ricorrono i presupposti per compensare le spese dell'intero processo fra le parti. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa l'impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta la domanda introduttiva del T., compensa le spese dell'intero processo.