Parità di trattamento: una chimera negli appalti misti

L’omogeneità di trattamento, che deriva dalla responsabilità solidale di cui all’art. 3 l. n. 139/1960, può avere senso in relazione ai lavoratori tutti sottoposti alla disciplina privatistica, ma non fra dipendenti pubblici e privati in questo caso, infatti, il trattamento retributivo minimo da estendere ai dipendenti dell’appaltatore pubblico sarebbe difficilmente individuabile, a causa della non equiparabilità di qualifiche e di struttura della retribuzione del settore pubblico e del settore privato.

Questa la posizione espressa dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 14146, depositata l’8 luglio 2015. Eguale trattamento per i dipendenti dell’appaltante e quelli dell’appaltatore non a tutti costi. Il caso sottoposto alla Corte di Cassazione riguarda l’applicazione dell’art. 3 l. n. 1369/1960 abrogata dal d.lgs. n. 276/2003 , ai sensi del quale gli imprenditori che appaltano opere o servizi da eseguirsi all’interno delle aziende con organizzazione e gestione propria dell’appaltatore, sono tenuti in solido con quest’ultimo a corrispondere ai lavoratori da esso dipendenti un trattamento retributivo e normativo che non sia inferiore a quello spettanti ai lavoratori da loro dipendenti. La Corte territoriale aveva ritenuto applicabile tale disposizione anche all’appaltatore del caso di specie, ossia un’azienda ospedaliera che, sebbene fosse un ente pubblico non economico con finalità di assistenza sanitaria, risultava organizzato secondo i più solidi criteri imprenditoriali, primo fra tutti, il principio di economicità. Il giudice di merito, quindi, accertava una gestione privatistica dell’ente che giustificava l’applicazione della norma citata. Ne conseguiva il diritto alla parità di trattamento retributivo e normativo tra i dipendenti dell’azienda ospedaliera e quelli della società appaltatrice, una cooperativa sociale incaricata di svolgere servizi di pulizia e facchinaggio. Le norme in gioco. L’art. 1676 c.c. sulla responsabilità solidale tra appaltante ed appaltatore non è sovrapponibile con l’art. 3 l. n. 1369/1960. Infatti, la norma civilistica ha come condizione per la sua applicazione la mera esistenza del contratto di appalto, in presenza del quale i dipendenti dell’appaltatore sono legittimati a svolgere le pretese relative al rapporto di lavoro direttamente nei confronti dell’appaltante, sino alla concorrenze del debito che quest’ultimo ha verso l’appaltatore. Diversamente, per fondare la responsabilità solidale tra appaltante ed appaltatore, il citato art. 3 presuppone, non solo l’esistenza di un contratto di appalto, ma anche che questo sia stato concesso per opere o servizi da eseguirsi all’interno dell’azienda”. Vi è, quindi, un quid pluris rispetto alla norma civilistica. Non solo, le due azioni differiscono tra loro anche per struttura e finalità con l’azione codificata i lavoratori dell’appaltatore possono ottenere dal committente il pagamento di quanto a loro dovuto dall’appaltatore. Il committente, quindi, soddisfa il debito altrui in virtù di una legittimazione sostitutoria. L’azione prevista dalla norma speciale, invece, considera l’eventuale intervento del committente, come garanzia che quest’ultimo appresta nei confronti dei lavoratori dell’appaltatore, garanzia volta ad impedire che l’appalto sia sfruttato come strumento di disconoscimento dei diritti di cui i lavoratori godrebbero se fossero alle dipendenze dirette dell’appaltatore. La ratio. In altri termini, si pensi ad un committente che, per previsione legislativa o collettiva, sia tenuto a fornire un ricco trattamento retributivo e normativo ai propri dipendenti l’ampia tutela offerta ai propri lavoratori potrebbe essere troppo pesante per l’imprenditore, il quale, per divincolarsi dai pesanti oneri, potrebbe decidere di appaltare un’opera o un servizio, da eseguirsi entro la sua azienda, ad un diverso imprenditore, il quale ha vincoli più leggeri nei confronti dei propri dipendenti. Onde evitare tale escamotage, ecco la norma ormai abrogata della parità di trattamento dei lavoratori dell’appaltante e dell’appaltatore, di cui al citato art. 3 Se appaltante ed appaltatore sono due soggetti privati, è relativamente facile sovrapporre le tutele spettanti ai rispettivi dipendenti, ma se appaltante ed appaltatore sono l’uno soggetto pubblico e l’altro privato, tale sovrapposizione è impraticabile. La ragione di ciò è la profonda differenza tra le strutture dei rapporto di lavoro, tra le voci retributive ed assistenziali ecc., per questo la giurisprudenza di legittimità aveva già escluso l’applicazione dell’art. 3 l. n. 1369/1960 per i casi in cui le parti dell’appalto fossero state un ente pubblico ed un imprenditore privato. Non solo, un ente pubblico non può ritenersi destinatario di una disciplina posta per impedire l’escamotage di non assumere direttamente personale, poiché esso non sarebbe in grado di farlo, dovendo necessariamente ricorrere a rigorose procedure di assunzione, sottoposte al controllo pubblico. Ecco, quindi, giustificata l’esclusione dell’applicazione dell’art. 3 agli appalti c.d. misti. La sentenza impugnata è, quindi, cassata, in ragione della natura palesemente pubblica dell’appaltatore.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 21 aprile – 8 luglio 2015, n. 14146 Presidente Macioce – Relatore Amendola Svolgimento del processo 1.- Con sentenza del 7 maggio 2008, la Corte di Appello di Milano, in riforma sul punto delle pronunce di primo grado, ha condannato, in solido, l'Azienda Ospedaliera Ospedale omissis e la Cooperativa Sociale La Solidarietà a r.l. a corrispondere a C.C. e agli altri dipendenti della Cooperativa indicati in epigrafe, che avevano prestato servizio presso la struttura ospedaliera, le differenze tra quanto dovuto sulla base del contratto collettivo del settore Sanità del 7 aprile 1999 e quanto effettivamente percepito dalla Cooperativa. In sintesi, la Corte territoriale ha ritenuto operante nella fattispecie concreta l'art. 3 della l. n. 1369 del 1960, assumendo che la disposizione troverebbe applicazione anche per gli appalti di servizi da parte di enti pubblici e considerando in fatto che, pur avendo l'Azienda ospedaliera natura di ente pubblico non economico con finalità di assistenza sanitaria, essa risulta organizzata con criteri imprenditoriali, in quanto gestita secondo il principio dell'economicità, da intendersi come astratta idoneità dell'attività a coprire i costi e a raggiungere il pareggio di bilancio, anche tramite l'ausilio di finanziamenti pubblici . 2.- Per la cassazione di tale sentenza l'Azienda Ospedaliera ha proposto ricorso del 5 maggio 2009 affidato a tre motivi, conclusi ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c. pro tempore vigente. Ad esso hanno resistito con controricorso i lavoratori epigrafati, depositando memoria ex art. 378 c.p.c Non hanno invece svolto attività difensiva B.C. , +Altri nonché la Cooperativa Sociale La Solidarietà a r.l Motivi della decisione 3.- Preliminarmente occorre delibare l'eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dai contro ricorrenti, in quanto esso sarebbe stato azionato quando era ormai decorso il termine breve di cui all'art. 325 c.p.c A sostegno deducono che la sentenza sarebbe stata notificata il giorno 11 febbraio 2009 a mezzo posta presso il domicilio eletto dall'Azienda Ospedaliera nell'Ufficio legale ubicato in omissis , come indicato nelle memorie d'appello in atti dai difensori avvocati Lavinia Vercesi e Fabrizia Caroli . L'eccezione non può trovare accoglimento. A mente dell'art. 326 c.p.c. il termine perentorio per l'impugnazione in cassazione stabilito dall'articolo precedente decorre dalla notificazione della sentenza . La notificazione della sentenza, nei confronti della parte costituita, deve essere effettuata, anche nel rito del lavoro, al suo procuratore Cass. SS.UU. n. 7827 del 1991 e, costituendo presupposto formale indispensabile per la decorrenza del termine breve per impugnare, non ammette equipollenti, essendo peraltro irrilevante l'eventuale conoscenza che il procuratore abbia altrimenti avuto della sentenza tra le altre Cass. n. 5421 del 1997 . L'essenzialità del riferimento nominativo al procuratore della parte nella notificazione discende dalla forma legale prevista artt. 285 e 170 c.p.c. , secondo le forme tipiche del processo di cognizione, e, quindi, quale notificazione da effettuarsi al procuratore costituito della controparte. Forma legale che si fonda sul rapporto di rappresentanza tecnica, che lega la parte al procuratore domiciliatario Cass. n. 9298 del 2007 , così assicurando, attraverso un vincolo giuridico tra le parti, la finalità - essenziale ai fini del termine per l'impugnazione - che la sentenza sia portata a conoscenza della parte per il tramite del suo rappresentante processuale, professionalmente qualificato a vagliare l'opportunità dell'impugnazione su tali aspetti, diffusamente, Cass. n. 9431 del 2012, la quale evidenzia altresì che l'essenzialità del rispetto della forma legale suddetta si lega strettamente con la scelta del legislatore di attribuire altri fini, quelli esecutivi, alla notificazione effettuata alla parte personalmente art. 479 c.p.c., co. 2, come modificato dal D.L. n. 35 del 2005, convertito, con mod., nella 1. n. 80 del 2005 , con necessità di accertare l'inequivoca volontà del notificante di utilizzare lo strumento acceleratorio e sollecitatorio, che l'ordinamento processuale gli attribuisce . Nella specie dalla relata di notifica della sentenza impugnata, depositata nel fascicolo dei controricorrenti, risulta che la stessa è stata effettuata a mezzo posta all'Azienda Ospedaliera in persona del legale rappresentante p.t., nel domicilio eletto presso la sede legale dell'Azienda - Ufficio Affari legali in OMISSIS , e che l'avviso di ricevimento è stato indirizzato all'Azienda Ospedaliera e sottoscritto da una impiegata ivi addetta. Tale forma di notificazione non è idonea a far decorrere il termine breve per l'impugnazione in assenza di qualunque richiamo al procuratore costituito dell'ente. La circostanza che i difensori dell'Azienda Ospedaliera avessero eletto domicilio presso la stessa non muta tale conclusione in quanto la sola identità di domiciliazione non assicura che la sentenza giunga a conoscenza della parte tramite il suo rappresentante processuale, professionalmente qualificato a vagliare l'opportunità dell'impugnazione da ultimo Cass. n. 9843 del 2014 . In proposito questa Corte ha avuto modo di affermare ancora Cass. n. 9431/2012 cit. che, in considerazione dei fondamenti giuridici della necessità del rispetto della forma legale, non possano considerarsi frutto di approccio formalistico le decisioni che hanno ritenuto la inidoneità della notifica ai fini del termine breve finanche nelle mani dello stesso procuratore Cass. n. 17790 del 2003 o, anche, nel caso di elezione di domicilio della parte presso l'ufficio legale e di notifica presso l'ufficio legale Cass. n. 9298 del 2007 . In queste ipotesi, infatti, mancava, rispettivamente, l'estrinsecazione della volontà della parte di perseguire il fine acceleratorio dell'appello in tempi brevi ed il legame giuridico posto dal legislatore con il procuratore domiciliatario, che non può estendersi all'organo amministrativo di cui l'avvocato faccia parte. 4.- Ciò posto, i motivi del ricorso possono essere come di seguito sintetizzati con il primo mezzo di impugnazione si denuncia contraddittoria motivazione sui fatto controverso e decisivo per il giudizio relativo alla natura imprenditoriale dell'attività svolta dall'Azienda Ospedaliera di omissis ci si duole che dal testo della sentenza impugnata risulti come sia stato accertato che l'Azienda non svolgesse attività imprenditoriale, al fine di escludere l'applicabilità dell'art. 1 della l. n. 1369 del 1960, salvo ritenere l'esatto contrario, allorché si è trattato di applicare l'art. 3 della stessa legge con il secondo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della l. n. 1369 del 1960 interrogando la Corte sul se detta norma possa trovare applicazione per i contratti di appalto conclusi da azienda ospedaliera, quale ente pubblico non economico che non svolge attività o rende un servizio con gestione imprenditoriale, bensì persegue un preciso fine istituzionale consistente nell'erogare prestazioni di natura sanitaria ed assistenziale verso la collettività, nell'interesse dello Stato con il terzo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., in combinato disposto con gli artt. 115 e 414 c.p.c., per avere la sentenza impugnata attribuito all'azienda ospedaliera la natura di ente pubblico non economico con finalità sanitaria organizzata con criteri imprenditoriali, in quanto gestita secondo il principio dell'economicità, da intendersi come astratta idoneità dell'attività a coprire i costi e a raggiungere il pareggio di bilancio, anche tramite l'ausilio di finanziamenti pubblici, senza che tale prova sia stata fornita dalla parte all'uopo onerata. 5.- In via pregiudiziale va esaminata l'eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione sostenuta dai controricorrenti sull'assunto che vi sarebbe carenza di interesse ad impugnare da parte dell'Azienda Ospedaliera in quanto non costituirebbe oggetto di gravame da parte di alcuno la statuizione della Corte territoriale sull'operatività nella fattispecie anche dell'art. 1676 c.c., per cui la pronunzia di applicazione o meno dell'art. 3 l. n. 1369/1960 rimarrebbe una mera enunciazione di principio senza alcun effetto sostanziale . Il Collegio ritiene che l'eccezione non possa essere accolta. Questa Corte ha già avuto modo di rilevare Cass. n. 11753 del 1998 che l'azione ex art. 1676 cod. civ. non è sovrapponibile senza residui a quella ex art. 3 della l. n. 1369/1960, trovando esse fondamento su fatti costitutivi diversi ed avendo differenti finalità e strutture. Invero, la prima, con riguardo al fatto costitutivo giuridicamente qualificato come contratto di appalto, presuppone puramente e semplicemente l'esistenza del medesimo, in presenza del quale i dipendenti dell'appaltatore sono, per ciò solo, legittimati a svolgere le pretese nascenti dal loro rapporto di lavoro direttamente nei confronti del committente, fino a concorrenza del debito che questi ha verso il primo nel tempo in cui essi propongono la domanda. La seconda, invece, presuppone non solo la detta esistenza, ma anche un quid pluris, attinente all'oggetto dell'appalto prevede, cioè, che la responsabilità solidale fra committente ed appaltatore si fondi sulla circostanza che l'appalto sia stato concesso per opere o servizi da eseguirsi all'interno dell'azienda . In tale situazione, dunque, l'esistenza del contratto di appalto è condizione necessaria, ma non sufficiente perché i dipendenti dell'appaltatore siano legittimati ad invocare la responsabilità solidale del committente, insorgendo quest'ultima solo in relazione alla natura dell'opera o del servizio, scilicet ad un fatto costitutivo ulteriore che implica un nuovo e diverso tema di indagine rispetto a quello prospettato dalla domanda fondata sul disposto dell'art. 1676 cod. civ Le due azioni sono anche diverse per finalità e struttura in quella codificata il committente, il quale, nei limiti di quanto deve all'appaltatore, paghi gli ausiliari di questi, soddisfa un debito altrui, in virtù di una legittimazione sostitutoria, eccezionalmente concessa a questi ultimi, verso il committente medesimo che sia debitore per la causa specifica dell'esecuzione dell'opera o del servizio per il quali i lavoratori hanno prestato la loro opera e sono rimasti creditori in quella prevista dalla norma speciale, invece, rileva l'aspetto della garanzia apprestata in favore dei lavoratori dell'appaltatore e diretta ad impedire che l'appalto costituisca uno strumento di disconoscimento di quei diritti dei quali essi diverrebbero titolari, se dipendessero direttamente dal committente, come pure potrebbero, attesa la non estraneità dell'oggetto dell'appalto al ciclo produttivo dell'azienda facente capo a quest'ultimo. Pertanto il giudizio promosso ai sensi dell'art. 1676 c.c. dagli ausiliari dell'appaltatore per conseguire direttamente dal committente quanto loro è dovuto è fondato su diversi presupposti di applicabilità e realizza diversi effetti rispetto all'ipotesi regolata dall'art. 3 della legge n. 1369 del 1960, nella quale l'appaltante è tenuto verso i dipendenti dell'appaltatore senza gli stessi limiti cfr. Cass. n. 4067 del 1999 . Dal rilievo che si tratta di azioni autonome e distinte e dal diverso regime di responsabilità che ne consegue deriva che, per certo, l'Azienda Ospedaliera ha un interesse ad impugnare una sentenza d'appello che l'ha condannata proprio sulla base dell'applicazione dell'art. 3 della l. n. 1369 del 1960, con conseguenze anche sulla disciplina delle spese del doppio grado. 6.- Il primo ed il secondo motivo del ricorso vanno esaminati congiuntamente per la loro reciproca connessione. Essi sono ammissibili in quanto, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., sono conclusi il primo da un adeguato momento finale di sintesi, con indicazione del fatto controverso, ed il secondo da idoneo quesito. Inoltre gli atti e i documenti, tra cui il contratto collettivo, di cui i controricorrenti eccepiscono la mancata indicazione e produzione non costituiscono il fondamento essenziale ai fini della delibazione dei motivi di gravame prospettati. Le censure sono altresì fondate. L'art. 3, co. 1, della l. n. 1369/1960, su cui la Corte milanese ha fondato la condanna dell'Azienda Ospedaliera, nel testo pro tempore vigente, stabiliva Gli imprenditori che appaltano opere o servizi, compresi i lavori di facchinaggio, di pulizia o di manutenzione ordinaria degli impianti, da eseguirsi nell'interno delle aziende con organizzazione e gestione propria dell'appaltatore, sono tenuti in solido con quest'ultimo a corrispondere ai lavoratori da esso dipendenti un trattamento minimo inderogabile retributivo e ad assicurare un trattamento normativo, non inferiore a quelli spettanti ai lavoratori da loro dipendenti . Il comma 3 sanciva poi la responsabilità degli imprenditori committenti anche per l'adempimento di tutti gli obblighi derivanti dalle leggi di previdenza e di assistenza . L'intenzione del legislatore dell'epoca era quella di paralizzare, attraverso il sistema del nulla escluso , qualsiasi sollecitazione ad appalti in senso lato ubbidienti a logiche non conformi alla piena liceità dello strumento giuridico utilizzato, e quindi di escludere in radice qualsiasi interesse anche meramente economico dell'appaltante di ricorrere alla rimessione a terzi di attività rientranti nel proprio ciclo produttivo la responsabilità solidale di entrambi i soggetti, interessati al contratto di appalto, per tutto quanto dovuto al dipendente dell'appaltatore, in perfetta sovrapposizione con quanto dovuto al dipendente del committente, è evidentemente ritenuto dal legislatore l'unico strumento idoneo a scongiurare il ricorso a tale strumento contrattuale al di fuori dei limiti di liceità cui la norma legislativa in esame è informata così Cass. n. 1337 del 2007 . Rispetto poi al dibattito sviluppatosi sulla questione se solo il soggetto qualificabile come imprenditore potesse ritenersi destinatario del sistema di garanzie delineato per il lavoratore dalla l. n. 1369 del 1960, ovvero qualsiasi soggetto, anche pubblico, questa Corte ha privilegiato una ben chiara opzione interpretativa. Già in tema di divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro sancito dall'art. 1 della l. n. 1369/60, si è affermato che esso rinviene applicazione anche ove il rapporto di lavoro intercorra con enti pubblici non economici, in relazione, però, non a tutte le attività svolte da tali enti, bensì solo a quelle che abbiano carattere imprenditoriale, giacché la legge citata - pur non ponendo limitazioni in ordine all'eventuale natura pubblicistica del datore di lavoro - si riferisce tuttavia solo ad attività che, per i loro contenuti sostanziali, siano espressione dell'esercizio dell'impresa cfr., ex plurimis, Cass. n. 6531 del 2013, Cass. n. 2964 del 2008, Cass. n. 15783 del 2004 e quindi alle sole attività a carattere imprenditoriale degli enti pubblici Cass. n. 928 del 1988 Cass. n. 8808 del 1987 Cass. n. 580 e 5801 del 1985 Cass. n. 7110 e 7165 del 1986 Cass. n. 13 del 1981 Cass. n. 9 del 1980 Cass. n. 355 del 1976 Cass. n. 233 del 1974 . Si è altresì di recente ribadito che la legge citata si riferisce . solo ad attività che per i loro contenuti sostanziali siano espressione dell'esercizio dell'impresa, dovendosi coordinare le disposizioni che stabiliscono il divieto e le conseguenze del divieto stesso, con le altre norme che limitano o escludono la facoltà delle amministrazioni di assumere personale senza le formali e pubbliche procedure prescritte dal legislatore ed imposte dall'art. 97 Cost. Cass. n. 11383 del 2014 conforme Cass. n. 11387 del 2014 . Anche per la responsabilità solidale di cui all'art. 3 della l. n. 1369 del 1960, nonostante si tratti di conseguenze meramente patrimoniali e non costitutive di un rapporto di lavoro alle dipendenze di una pubblica amministrazione, questa Corte ha più volte statuito che essa presuppone chiaramente e sostanzialmente e non solo nominalisticamente, quale equivalente della espressione datore di lavoro la natura di imprenditore del soggetto appaltante come è fatto palese dal riferimento, nello stesso articolo, ad aziende e impianti , con esclusione di enti pubblici che non esercitino attività di impresa cfr. Cass. n. 9107 del 1991 Cass. n. 243 del 2003 Cass. n. 11383 e 11387 del 2014 Cass. n. 20232 del 2014 . Si è argomentato Cass. n. 9107/1991 cit. che la omogeneità di trattamento può avere senso in relazione a lavoratori tutti sottoposti alla disciplina privatistica, anche se dettata da differenti contratti collettivi, ma non fra lavoratori privati e impiegati pubblici, fra cui il trattamento retributivo minimo inderogabile da estendere ai dipendenti dell'appaltatore sarebbe ben difficilmente individuabile, non fosse altro che per la diversità e non equiparabilità di qualifiche e di struttura della retribuzione del settore pubblico e del settore privato. Parimenti insostenibile, infine, parrebbe l'addossare allo Stato, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 3, gli obblighi previdenziali propri del sistema assicurativo obbligatorio del settore privato. La soluzione adottata, del resto, appare in armonia con lo spirito informatore della legge, volta a reprimere il fenomeno del marchandage du travail nel mercato del lavoro cfr. Cass. 9 dicembre 1971 n. 3568, 13 dicembre 1983, n. 6855 Corte Cost. 9 luglio 1963, n. 120 , mercato al quale lo Stato attinge con mezzi in buona parte ben diversi da quelli dei privati imprenditori, cosicché non può ritenersi destinatario di una disciplina posta per impedire l'escamotage di non assumere direttamente personale, cui imprenditori poco scrupolosi ricorrono per alleggerire il costo della manodopera artificio cui, a parte ogni altra considerazione, Io Stato non sarebbe in grado di ricorrere a causa delle procedure di assunzione e di controllo cui la sua attività è sottoposta . Alla stregua degli esposti consolidati insegnamenti merita le censure che le sono mosse la sentenza impugnata che prima ha escluso l'applicabilità dell'art. 1 della l. n. 1369 del 1960, rilevando che l'Azienda Ospedaliera di OMISSIS ha natura di ente pubblico non economico, in quanto gestisce il servizio pubblico della sanità operando in tale settore con struttura e finalità di tipo pubblicistico e istituzionale e che le prestazioni lavorativa subordinate, oggetto del contratto di appalto, sono prive di carattere imprenditoriale e sono correlate ai pubblicistici fini istituzionali dell'ente, in quanto attività di ausilio a quella sanitaria e a quella amministrativa proprie del presidio ospedaliero , e poi ha contraddittoriamente condannato la medesima Azienda, ai sensi dell'art. 3 della stessa legge, in quanto gestita secondo il criterio dell'economicità, da intendersi come astratta idoneità dell'attività a coprire i costi e a raggiungere il pareggio di bilancio, anche tramite l'ausilio di finanziamenti pubblici . 7.- Conclusivamente il primo ed il secondo motivo di ricorso vanno accolti e, in relazione ad essi, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla stessa Corte di Appello, in diversa composizione, per nuovo esame sulla natura imprenditoriale dell'attività svolta dall'Azienda Ospedaliera Ospedale omissis ai fini dell'applicabilità dell'art. 3 della l. n. 1369 del 1960 pro tempore vigente e per la regolazione delle spese, anche della presente fase di legittimità. Da quanto precede resta assorbito il terzo mezzo di gravame relativo alla contestazione della prova che l'attività dell'attuale ricorrente sia svolta con criterio di economicità. P.Q.M. La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese.