Tutela delle condizioni di lavoro e licenziamento illegittimo sono due storie diverse

Si ha litispendenza quando tra due o più giudizi vi sia identità di soggetti coinvolti nella lite ed il petitum, cioè il bene della vita per la cui tutela si agisce, e la causa petendi, cioè il fatto costitutivo della domanda, siano i medesimi.

Lo afferma la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 13393, depositata il 30 giugno 2015. Il caso. Il tribunale di Mantova rigettava l’eccezione di litispendenza formulata da una società, formulata in un giudizio proposto da un lavoratore avente ad oggetto una domanda di risarcimento del danno ai sensi dell’art. 2087 c.c. in relazione alla condotta datoriale consistita nella mancata adozione nell’esercizio dell’impresa delle misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del ricorrente rispetto alla diversa, precedente, causa pendente tra le stesse parti, che aveva ad oggetto il risarcimento del danno non patrimoniale subito dal lavoratore per effetto dell’illecito comportamento datoriale domanda formulata nel giudizio di accertamento dell’illegittimità del licenziamento intimato dalla società al recupero e delle conseguenze risarcitorie dello stesso . Secondo i giudici, mentre la prima domanda in ordine di tempo aveva come presupposto i fatti allegati alla domanda di accertamento dell’illegittimità del licenziamento che ne costituiva l’oggetto, nell’altro giudizio di responsabilità, ai sensi dell’art. 2087 c.c., erano state allegate, a fondamento, delle circostanze di fatto differenti. La società ricorreva in Cassazione, chiedendo la declaratoria di litispendenza. Elementi necessari per la litispendenza. La Corte di Cassazione ricorda che si ha litispendenza quando tra due o più giudizi vi sia identità di soggetti coinvolti nella lite ed il petitum , cioè il bene della vita per la cui tutela si agisce, e la causa petendi , cioè il fatto costitutivo della domanda, siano i medesimi. Tutela delle condizioni di lavoro. La responsabilità del datore di lavoro per violazione delle disposizioni dell’art. 2087 c.c. ha ad oggetto una domanda di risarcimento del danno conseguente alla mancata tutela delle condizioni di lavoro e della salute del lavoratore nello svolgimento della sua prestazione la parte che subisce l’inadempimento ha l’onere di allegare e dimostrare l’esistenza del fatto materiale e le regole di condotta ritenute violate, provando che è stato posto in essere un comportamento contrario alle clausole contrattuali, a norme inderogabili di legge, a regole generali di correttezza e buona fede o alle misure da adottare per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori. Invece, il datore di lavoro deve provare che l’impossibilità della prestazione, o la sua non esatta esecuzione, derivi da causa a lui non imputabile. Licenziamento illegittimo. Differentemente, il risarcimento del danno non patrimoniale conseguente all’illegittimo licenziamento ha come presupposto, oltre all’inesistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo di risoluzione del rapporto di lavoro con onere del datore di provare l’esistenza di tale giustificatezza , anche la prova, da parte del lavoratore, che un danno ulteriore è derivato dal comportamento datoriale, consistito nell’illegittima risoluzione del rapporto. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza 26 marzo – 30 giugno 2015, n. 13393 Presidente Curzio – Relatore Garri Fatto e diritto Il Tribunale di Mantova, con ordinanza del 13 giugno 2014, comunicata il successivo 16 giugno, ha rigettato l'eccezione di litispendenza formulata dalla Riva e Mariani Group s.p.a. RMG s.p.a. nel giudizio proposto da Salvatore Recupero - iscritto al n. rg. 888 del 2013 - ed avente ad oggetto una domanda di risarcimento del danno ex articolo 2087 c.c. in relazione alla condotta datoriale consistita nella mancata adozione nell'esercizio dell'impresa delle misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del ricorrente rispetto alla diversa causa pendente tra le stesse parti - iscritta al n. rg 56 del 2012 - che aveva ad oggetto il risarcimento del danno non patrimoniale subito dal lavoratore per effetto dell'illecito comportamento datoriale domanda formulata nel giudizio di accertamento dell'illegittimità del licenziamento intimato dalla società al Recupero e delle conseguenze risarcitorie dello stesso . Il Tribunale ha accertato che la domanda di risarcimento del danno formulata nel giudizio n. 56 del 2012 aveva, necessariamente, come presupposto i fatti allegati alla domanda di accertamento dell'illegittimità del licenziamento che ne costituiva l'oggetto mentre nel giudizio di responsabilità ex articolo 2087 c.c. rg 888 del 2013 erano state allegate, a suo fondamento, circostanze di fatto differenti rispetto a quelle poste a base della illegittimità del licenziamento. Avverso l'ordinanza che ha respinto l'eccezione di litispendenza propone ricorso ex articolo 42 c.p.c. la RMG s.p.a. che ne chiede la revoca e la declaratoria della litispendenza. Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso. Tanto premesso rileva la Corte che il ricorso è infondato e deve essere rigettato. Si ha litispendenza quando tra due o più giudizi vi sia identità di soggetti coinvolti nella lite ed il petitum bene della vita per la cui tutela si agisce e la causa petendi fatto costitutivo della domanda siano i medesimi cfr. Cass.15 gennaio 1996 n. 282 e S.U. 31.7.2014 n. 17443 . Orbene, in adesione a quanto osservato nella requisitoria del Procuratore Generale depositata in atti, nel caso in esame uno dei giudizi il n. 56 del 2012 ha ad oggetto l'illegittimità del licenziamento intimato al Recupero ed il conseguente risarcimento del danno non patrimoniale patito. L'altro il n. 888 del 2012 ha come oggetto una domanda di risarcimento del danno ai sensi dell'articolo 2087 c.c. Orbene mentre la responsabilità del datore di lavoro per violazione delle disposizioni dell'articolo 2087 cod. civ. ha ad oggetto una domanda di risarcimento del danno conseguente alla mancata tutela delle condizioni di lavoro e della salute del lavoratore nello svolgimento della sua prestazione - di tal che la parte che subisce l'inadempimento ha l'onere di allegare e dimostrare l'esistenza del fatto materiale e le regole di condotta che assume essere state violate, provando che è stato posto in essere un comportamento contrario o alle clausole contrattuali che disciplinano il rapporto, a norme inderogabili di legge, alle regole generali di correttezza e buona fede ovvero alle misure che debbono essere adottate per tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro mentre è il datore di lavoro che deve provare che l'impossibilità della prestazione o la non esatta esecuzione della stessa o comunque che il pregiudizio che colpisce la controparte derivano da causa a lui non imputabile - il risarcimento del danno non patrimoniale conseguente all'illegittimo licenziamento ha come presupposto oltre all'inesistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo di risoluzione del rapporto di lavoro con onere a carico del datore di lavoro di offrire la prova positiva dell'esistenza di tale giustificatezza anche la prova, questa a carico del lavoratore, che un danno ulteriore è derivato dal comportamento datoriale consistito però nella illegittima risoluzione del rapporto. Si tratta, all'evidenza di cause petendi differenti e sarà compito dei singoli giudici verificare la rilevanza delle circostanze di fatto allegate ai fini della prova da acquisire. In conclusione il ricorso deve essere rigettato. La mancata costituzione del recupero, rimasto intimato, esime dal provvedere sulle spese. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso. Nulla per le spese. Ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater del d_p.r. n. 115 del 2002 da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dell'articolo 13 comma 1 bis del citato d.p.r